A partire dalla fine degli anni ’70 tutti i più avanzati sistemi di welfare
dell’Unione europea hanno riformato il mix di politiche su cui erano stati
edificati i sistemi nazionali di protezione sociale dopo il 1945. La
crescita della competizione globale, la ristrutturazione industriale,
l’austerity di bilancio, il cambiamento delle relazioni familiari e
l’invecchiamento demografico hanno messo in discussione i sistemi di welfare
dell’età dell’oro, un tempo stabili e sovrani. Recentemente, inoltre, le
questioni nazionali relative al lavoro e al
welfare si sono sempre più intrecciate con i processi di integrazione
politica ed economica dell’Europa. A questo proposito si può affermare che
nell’Unione europea ha avuto inizio un’era di sistemi di welfare a sovranità
limitata. Tutte queste forze unite insieme hanno generato una spinta al
cambiamento politico e alla trasformazione del sistema che supera di gran
lunga la nozione comune di «ridimensionamento» del welfare. La «nuova»
struttura del welfare suggerisce la necessità di passare da una nozione di
protezione
sociale la cui prospettiva è dominata dallo «scontro tra politica e mercato»
a una nozione di investimento sociale basata sulla prospettiva
dell’«incontro tra politica e mercato».
A partire dagli anni ’90 la maggioranza degli Stati membri dell’Unione
europea ha coraggiosamente intrapreso una riforma globale del sistema. In
molti Stati membri della UE la portata reale della riorganizzazione del
welfare si riduce a nulla più che una revisione del sistema. Tuttavia,
negare che i sistemi di welfare europei siano sclerotici non significa
affermare che siano in buona salute. Quando vi sono milioni di cittadini
privi di lavoro e livelli costantemente alti di disoccupazione giovanile,
soprattutto negli Stati membri più grandi, non è certamente il caso di
rallegrarsi. Il welfare state fu concepito come risposta ai rischi
dell’economia industriale nella cornice dello Stato-nazione.
In breve, il welfare state va considerato come un sistema imperfetto «in
evoluzione», i cui obiettivi, propositi, funzioni e istituzioni cambiano nel
tempo, seppure con lentezza. Per pianificare e costruire un developmental
welfare state, occorre adottare un approccio che tenga conto del corso di
vita, distinguendo diverse fasce di popolazione – bambini, adulti in giovane
età, persone in età di lavoro, pensionati e persone che necessitano di
assistenza. La prima domanda che l’approccio si pone è: quale combinazione
di servizi, di sostegno al reddito e di misure di attivazione va messa in
campo per ottenere una migliore protezione sociale e una maggiore
partecipazione per ciascuno di questi gruppi.
La riforma del welfare non è un processo semplice. Le misure correttive sono
difficili ma vengono definite e implementate sul terreno della competizione
politica. Inoltre la riforma del welfare è un processo politico fortemente
riflessivo e ad alta intensità di conoscenza.
Ne consegue, in questa prospettiva, che il welfare state va inteso come un
sistema «evolutivo», i cui obiettivi, propositi, funzioni e istituzioni
cambiano nel tempo, anche se in modo lento e imperfetto.
In termini di innovazione istituzionale, il Consiglio europeo di Lisbona ha
riconosciuto formalmente il Metodo aperto di coordinamento come nuova forma
di governance europea, basata su linee guida comuni da trasporre nelle
politiche nazionali, associata con monitoraggi periodici, valutazioni e
revisioni reciproche organizzate come processi di apprendimento e
accompagnate da indicatori utilizzati come strumenti per mettere a confronto
le migliori pratiche.
Il compito dei sistemi di politica sociale e occupazionale dovrebbe essere
innanzi tutto quello di sostenere lo sviluppo di ogni persona con misure
proporzionate alle capacità e alle necessità di ciascuno, consentendo in tal
modo a tutti gli individui di esprimere pienamente le loro potenzialità. In
secondo luogo una sfida chiave per tutte le economie politiche europee è
quella di progettare un sistema di welfare che non solo affronti in
maniera adeguata i «nuovi» e i «vecchi» rischi sociali, ma soprattutto sia
capace di collegare pienamente tale sforzo con l’economia dinamica. La
strada per migliorare la protezione sociale negli anni a venire risiede
soprattutto nello sviluppo radicale dei servizi, tra i quali vanno
annoverati l’istruzione, la sanità, la cura e lo sviluppo dell’infanzia,
l’assistenza agli anziani, la politica della casa, i trasporti e i servizi
all’impiego. Se l’Europa vuole essere competitiva nella nuova società basata
sulla conoscenza vi è la necessità urgente di investire in capitale umano
per l’intero corso di vita. Due tendenze ci spingono a modificare la nostra
concezione del pensionamento:
a) lo stato di salute di ogni generazione successiva di anziani è
migliore di quella precedente, se si considera che nella situazione attuale
un uomo di 65 anni può aspettarsi di vivere in salute per altri 10 anni;
b) il divario tra vecchiaia e istruzione si sta riducendo
rapidamente, tanto che in futuro gli anziani saranno molto più in grado di
adattarsi alle nuove condizioni del mercato del lavoro rispetto a oggi, con
l’aiuto della riqualificazione e dell’apprendimento lungo tutto il corso
della vita.
La sfida consiste nel come distribuire le spese addizionali che accompagnano
inevitabilmente l’invecchiamento della popolazione. Di importanza cruciale
resta la garanzia di una pensione minima, finanziata dalla fiscalità
generale e legata all’andamento dell’inflazione, per la prossima generazione
di lavoratori flessibili. Sarà difficile ottenere pensioni sostenibili senza
innalzare i tassi di occupazione dei lavoratori anziani e senza innalzare
almeno a 67 anni l’età di pensionamento. Posticipare il pensionamento è una
misura tanto equa quanto efficace. Il pensionamento flessibile e
l’introduzione di incentivi per posticipare il pensionamento potranno
alleviare notevolmente l’onere delle pensioni.
Il futuro del welfare state europeo non è predeterminato. Nel tentativo di
rimediare alle disfunzioni delle politiche avviate nell’età dell’oro, i
responsabili politici nazionali e dell’Ue sembrano impegnati a combinare tra
loro elementi che provengono da diversi regimi di welfare. I processi di
coordinamento aperto, con la loro attenzione alle «nuove» piuttosto che alle
«vecchie» categorie di rischio sociale – in particolare l’invecchiamento
attivo e il rinvio del pensionamento, l’impiego part-time, l’apprendimento
lungo l’intero corso di vita, il congedo parentale, le pari opportunità, la
flexicurity (equilibrio tra flessibilità e sicurezza), la riconciliazione
tra lavoro e vita familiare e l’esclusione sociale –, hanno già assunto un
ruolo chiave nella ricalibratura in corso del welfare state. In conclusione,
la riforma della politica sociale continua a essere un’impresa da affrontare
a livello nazionale: le riforme devono essere approvate dai governi eletti e
dai partiti politici nazionali, preferibilmente con il sostegno degli
interessi organizzati, e realizzate per mezzo di strutture amministrative
nazionali.
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Anziani & società
Gli italiani tagliano le spese, con un potere d’acquisto in
picchiata da anni. L’inflazione ha infatti eroso qualsiasi vantaggio
guadagnato e non consente di mettere da parte molti soldi. Così abbiamo
toccato il record negativo di risparmio dal 1999. A tenere sono soprattutto
gli investimenti fissi, quelli per la casa ad esempio, spesso sostenuti dal
pensionato di famiglia che corre in aiuto di un nipote disoccupato o un
figlio precario.
Pensioni: nel 2050 un quinto degli assegni saranno
inferiori alla pensione sociale, con importi sotto i 450 euro. Tra i più
colpiti i lavoratori autonomi, le donne e i lavoratori precari. Già oggi
oltre la metà degli italiani teme di non disporre in vecchiaia di un reddito
sufficiente a garantire un livello dignitoso di vita. Il 71,9% delle
pensioni in Italia non supera i 1.000 euro. Una pensione su due è sotto i
500 euro. A parità di imponibile, l’importo di una pensione italiana, al
netto delle tasse, è inferiore del 15% rispetto a Francia, Spagna e
Germania.
Redditi: calano i redditi delle famiglie, che nel 2010 hanno subito un calo
di potere d’acquisto di quasi due punti percentuali. A soffrire di più sono
lavoratori dipendenti e pensionati, gli unici che hanno visto aumentare le
imposte pagate, soprattutto nei capoluoghi di provincia. Alla fascia 60-64
anni, poi, va anche il record negativo di incremento del reddito. Ad
incidere nel bilancio domestico soprattutto i carichi familiari; e
spesso figli o non autosufficienti in casa costringono le donne ad
abbandonare il lavoro.
Spesa sociale: viene finanziata per il 62% da risorse
proprie dei Comuni che nel 2008 hanno destinato a interventi e servizi oltre
6,5 miliardi di euro La presenza massiccia di donne straniere ha mutato
radicalmente il sistema dell’assistenza, creando una sorta di welfare
parallelo e spesso sommerso. Si tratta in gran parte di donne provenienti
dall’est Europa, che svolgono un lavoro prezioso per le famiglie che
favorisce la permanenza dell’anziano in casa propria.
Alzheimer: In Italia
800mila malati, ogni anno 100mila nuovi casi. Il 50% non arriva alle unità
di assistenza
La malattia colpisce soprattutto dopo i 65 anni e la diagnosi precoce per
ora resta l’unica terapia percorribile per rallentare il decorso della
patologia. La nuova rete di Uva servirà a rendere uniforme sul territorio le
terapie farmacologiche e venire incontro alle famiglie, le principali
protagoniste nella gestione del malato.
Sanità: mediamente, tra la prenotazione e l’erogazione dell’accertamento
diagnostico passano cinquanta giorni. Ma i tempi di attesa variano molto a
seconda della modalità di richiesta: telefonando direttamente all’ospedale o
all’ambulatorio i giorni si riducono a 40 giorni, contro i 50 di chi ha
prenotato allo sportello e addirittura i 76 di chi ha ottenuto la
prenotazione chiamando il Cup (Centro Unico Prenotazioni).
Consumi: Carrello
della spesa stravolto dai rincari dei prezzi. La dieta mediterranea in preda
all’anarchia con pane e pasta quasi scomparsi dalla tavola, così come carne,
pesce, frutta, vino ed olio d’oliva. Caccia alle offerte e ai supermercati
più convenienti che consentono di risparmiare fino a dieci euro a settimana,
ma anche boom di prodotti di qualità inferiore o da discount. E a
preoccupare adesso sono anche i danni per la salute del menù low cost.
Ho cercato con questa mia esposizione sottolineare il divario esistente tra
la formulazione di una teoria economica e la realtà vissuta. Manca, a mio
giudizio, un coerente esame dei problemi, da non vedere sotto aspetti di
corrente politica, ma piuttosto di effettiva presa di coscienza degli
stessi, quindi con un effettivo proposito di superamento nell’interesse di
tutta la collettività al di sopra ed al di fuori di qualsivoglia rivalità o
pensiero politico. Forse sarò un sognatore, ma non mi pare una cosa tanto
difficile da realizzare.
Franco Salza