da IL NOTIZIARIO (periodico del Circolo del Personale Comit Milano n. 42 maggio 1972  anno VIII  

 

 

 

Federico Fellini - l'Ercole della cinematografia italiana - ha compiuto la sua ultima fatica: "Roma".
Per un felliniano sfegatato come me tentare un discorso critico (o meglio quasi critico) su questo film senza lasciarsi prendere la mano dalla parzialità propria dei "fans" è un'altra erculea fatica. Cercherò comunque di essere obiettivo ad ogni costo.
Anche se "Roma" non è il miglior film del regista riminese, è però il più felliniano dei film di Fellini. In questa pellicola abbiamo un'ulteriore conferma della genialità dell'uomo, della sua netta, precisa, inconfondibile personalità artistica.
Si potrà muovere qualsiasi critica a Fellini, ma nessuno potrà affermare che questo regista non ha il senso dello spettacolo, s'intende a livello di genio (a livello normale tutti i registi hanno il senso dello spettacolo!)
Il film è formalmente condotto a mo' di documentario ma sostanzialmente è opera autobiografica. Non è un documentario su Roma (Roma intesa oggettivamente) ma è Roma riflessa in Fellini: un paragone fra Roma come apparve trenta anni fa per la prima volta a Fellini e Roma come gli appare ora, un parallelo fra il rapporto Roma-Fellini giovane di belle speranze e quello Roma-Fellini grande regista affermato.
Coloro che pensano di vedere la Roma degli intrallazzi ministeriali, degli scandali delle aree fabbricabili e di tanti altri tristi fenomeni che costellano il nostro attuale costume di vita nazionale non saranno accontentati. Si va a vedere Fellini e quanto la sua geniale fantasia ha immaginato, e basta!
Fellini non è moderno.
I problemi individuali nella concezione artistica moderna non hanno alcuna rilevanza, sono importanti i problemi collettivi, i problemi sociali. Ma in Fellini manca l'occhio sociale e in questo senso egli non è moderno.
In una scena di "Roma" un gruppo di studenti rimprovera a Fellini-attore il "disimpegno" politico-sociale del suo film, "lo faccio quello che mi è più congeniale" risponde il Nostro.
Fellini è un cineasta "stricto sensu", non è un sociologo né un politico.
Sarebbe impensabile commissionargli un film come "Banditi ad Orgosolo" di De Seta. Fellini è il regista del film che "fa spettacolo", cerca in Roma ciò che "fa spettacolo" così come Chaplin cercava la "vis comica" contenuta nelle situazioni di tutti i giorni, lo non credo ai fiumi di parole scritte sui film di Chaplin, circa il loro contenuto sociale (esempio classico la satira dell'automazione in "Tempi moderni"). Chaplin non pensava ad altro che a far ridere, Chaplin era semplicemente un comico di genio.
II messaggio sociale che certi critici moderni vedono nel cinema chapliniano è una deformazione voluta e fantasiosa. A prova della mia affermazione (che so non condivisa dalla maggioranza) cito l'ultimo film di Chaplin "La contessa di Hong-Kong" dove purtroppo l'artista inglese è rovinosamente caduto: se avesse posseduto una sensibilità alla problematica sociale (e con i tempi che corrono non manca certo materia di ispirazione! ) ci avrebbe potuto dare un ennesimo capolavoro anziché un'opera insulsa, vuota, affatto ispirata, certamente non degna della sua firma.
Chiedo scusa per questa digressione, necessaria per poter individuare più agevolmente il tipo di tradizione artistica dalla quale proviene il cinema felliniano, e torno a Fellini.
Sotto il profilo formale, dunque, i film di Fellini "fanno spettacolo", ma sotto il profilo contenutistico - non essendoci problemi sociali trattati in via diretta - che cosa c'è? C'è la stessa materia prima che troviamo nelle comiche di Chaplin: una grande umanità, quella vera, quella tradizionale, calda, regolata sui battiti del cuore, rimasta immutata da Adamo ed Eva sino ai giorni nostri, non quella fredda dei sociologi, dei politici, dei futurologi, degli ecologi, degli psicologi, di tutto quello stuolo di individui che si peritano di ordinare, programmare, inquadrare il caotico mondo in cui viviamo.
E non c'è alcun regista vivente (ad esclusione naturalmente di Chaplin ormai "pensionato") che sappia dare ai propri film una carica di umanità cosi" viva e così penetrante, avulsa da ogni retorica (dalla quale talvolta non riesce a liberarsi nemmeno il grande De Sica). E questa umanità la troviamo sia nei gesti osceni della "pensionante" di una "casa chiusa ante legem" sia nel "civis romanus" in trattoria che si "abbuffa" di spaghetti. Cavare dell'arte dalle oscenità di un avanspettacolo da bassifondi o dallo squallore della sala d'aspetto di una casa di tolleranza è impresa da genio.
Il film "Roma" non è opera omogenea. Ci sono alcune cadute di tono che si verificano quando Fellini (certamente per imposizioni esterne) rinuncia ad essere Fellini.
La pagina più geniale del film è la sfilata di moda ecclesiastica che una principessa della nobiltà nera immagina di ospitare nel suo palazzo: balletto e corteo di suore, frati e vescovi in toilettes sfarzosamente assurde conclusi dall'apparizione in un secentesco trionfo d'oro e di luce d'un Papa in cui si riconosce Pio XII, accolto dagli astanti con isterico giubilo.
Questo episodio - da solo - basterebbe per riscattare tutto il film; è la dimostrazione lampante delle infinite possibilità del cinema al servizio della fantasia di un artista-genio.

Luciano Converso (Torino)

 

 

 

 

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