Pesaro, domenica 11 agosto 2013 - Maurizio Dania   

 

L’edizione critica dell’ultima opera composta dal genio di Pesaro, curata per la Fondazione Rossini in collaborazione con Casa Ricordi, da M. Elizabeth e C. Bartlet è  stata accolta ieri sera da un successo straordinario all’Adriatic Arena, il cui merito deve essere condiviso da tutti i protagonisti cantanti, e che ha coinvolto anche la regia, per alcuni sicuramente discutibile, di Graham Vick.

Eppure se una menzione speciale deve essere resa nota, questa sposa la direzione e concertazione di Michele Mariotti che fin dalla celebre sinfonia, ha portato immediatamente una ventata di aria fresca, entusiasmante. Andrea Faidutti ha preparato splendidamente il coro, certo i professori dell’orchestra erano attentissimi, molto preparati e non hanno sbagliato nulla, rimanendo concentratissimi fino alla fine, ma senza Mariotti, quale sarebbe stato il risultato? Il giovane figlio del sovrintendente Gianfranco, ha dimostrato ciò che già si capiva quando salì sul podio del Comunale di Bologna: la sua non era una nomina di politica famigliare, ma il giusto approdo per un grande musicista. Non ho altre parole per esprimere la mia gioia nell’averlo seguito fin dagli inizi e di aver sempre notato che le sue direzioni, già ottime, miglioravano per la capacità di gestire con pochi gesti anche i momenti difficili, per come era seguito dagli orchestrali, per la sapienza della sua concertazione,  come solo sa fare un veterano prestigioso. Una serata trionfale.

Nicola Alaimo ha interpretato Guglielmo Tell. In una scenografia tradizionale ricordavo Zancanaro, ma con Vick occorre essere anche attori e se possedesse anche una voce capace di porgere nei momenti lirici, maggiore emozione, la sua serata sarebbe stata non solo  da applausi, ma trionfale.  Specie durante il terzo atto, il suo “ je suis Guillaume Tell enfin!” ha pienamente convinto. Accanto a lui Jemmy, Amanda Forsythe, ha cantato molto bene anche se non è un mezzosoprano, come ci si poteva attendere,  ma un soprano d’agilità la cui voce ben si amalgamava sia con quella del padre, che con quella del soprano che ha interpretato Mathilde, Marina Rebeka. Quest’ultima mi è piaciuta dal terzo atto in poi, da quando rivolta a Gesler, un elegante e ottimo attore Luca Tittoto, inizia la frase “Pour notre amour plus d’espérance”. A volte il soprano pare essere al limite dell’urlo, negli acuti, ma credo che la mia sia stata solo un’impressione. Gessler è crudele, è un tiranno che si prende gioco di tutti, è il Governatore rappresentante degli Asburgo. Ovviamente legato sentimentalmente a Mathilde, amata da Arnoldo. Juan Diego Florez era atteso da anni, in questo ruolo, difficile, pesante per la sua vocalità,  ma che ha affrontato in tono, emettendo tutte le note scritte, riuscendo ancora una volta a scatenare gli applausi del pubblico, che  ha accolto tutto ciò che ha cantato nel quarto atto, con clamore, ritmando il suono delle mani, battendo i piedi sul legno dell’Arena. A mio parere  è stato splendido nell’ “Asile héréditaire” sciorinando e sgranando acuti stratosferici con una lucentezza che è nelle caratteristiche della sua vocalità, ed ha offerto quanto di meglio si possa udire oggi  nell’“Amis, amis, secondez ma vengeance”, concluso da un solo “Aux Armes!”, perfetto, ma certo all’estremo delle sue forze.  C’è da notare che Florez da qualche anno sa essere bravissimo e convincente anche quando il suono deve essere più lirico, dolce, amoroso, senza usare alcun falsetto, ed il duetto d’amore con Mathilde mi avrebbe commosso se Marina Rebeka avesse avuto una voce non scrivo alla Caballè, o alla Freni, ma più elastica, capace anche nella respirazione di legare senza respirare come invece si è notato fin dalla prima frase di “Sembre foret, déserte triste et sauvage” seguita dall’incontro con Arnoldo che le dichiara il suo amore. Orfila e Alberghini sono stati all’altezza della loro fama e bravi nei loro ruoli Alessandro Luciano, Wojtek Gierlach e Veronica Simeoni. Celso Albelo era il pescatore. Un uomo e un cantante certamente emozionato. Personalmente ho molta simpatia per questo tenore che ha iniziato benissimo quando canta “Accours dans ma nacelle”, emettendo successivamente un ottimo acuto, leggermente meno appariscente quando ne ripete un altro poco dopo; la sua prestazione sarà sicuramente più elegante nelle repliche perché ha le doti per essere migliore. C’erano ovviamente anche i balletti. Li ho trovati splendidi. Dal passo a sei, agli altri: bellissimo, a mio parere,  il passo a tre e coro tirolese nel terzo atto, e prima la marcia dei soldati, il tutto quando c’è il coro che ha sempre cantato con trasporto e precisione, è stato condito con preziosismi orchestrali e ritmo implacabili, dall’abile bacchetta di Mariotti.  L’opera è monumentale, occorrerebbe scrivere passo dopo passo e lascio ai testi pubblicati ovunque il compito di narrare la storia il cui testo si ispira alla tragedia di Schiller, ma la musica è straordinaria, tanto che verrebbe spontaneo scrivere W Rossini, il quale la musicò nel 1828, impiegandoci cinque mesi.  Tutto è reso vivo dalla partitura e l’opera è romantica, preannunciando gli sviluppi che avrà la lirica successivamente. Regia: l'immagine ricorrente che Vick ci presenta per il suo Guillaume Tell  e' una cinepresa. Le riprese sono fatte da ufficiali che devono testimoniare, in una finzione di impeccabile letizia, una Svizzera da cartolina illustrata, a beneficio di una borghesia spensierata di inizio secolo inconsapevolmente sull'orlo del precipizio. Una barca appare sospesa nel nulla, con lo sfondo dipinto di un lago azzurro, e due amanti costretti a sostenerne la finzione, in un mix di menzogna calcolata e verità' casuale che si alternerà' nel corso dello spettacolo. Ed e' forse il momento più' riuscito della regia, quando la bugia diventa insostenibile e il popolo violentato in senso fisico ed emotivo si ribella allo  sradicamento dalla propria terra. Questa a mio giudizio è la chiave di lettura del  regista. L’appartenenza  alla terra, le origini, la patria, la restituzione o la nascita di un'identità' legando il luogo a loro stessi. Non importa dove il dolore genera la ribellione, dove la storia si svolge e chi ne sono i protagonisti, l'importante e' ritrovare la coesione necessaria per potere riaffermare le proprie radici naturali. Non e' un caso che forse il momento più' didascalico della regia, quando Arnold ricorda con nostalgia la presenza del padre morto, le immagini che scorrono in sottofondo sono quelle in bianco e nero dell'infanzia, ma sono anche quelle in cui il figlio viene incoraggiato a toccare la terra, a farne solchi, a seminare nuove pianticelle e ad averne cura. Il contrasto, tra il mondo dei ricchi e potenti e il popolo oppresso, spesso genera momenti imbarazzanti di umiliazione fisica e morale come nel caso della festa del  terzo atto, in cui l'obbligo di ballare per festeggiare un secolo di dominazione austriaca, si svolge con efferata crudeltà' psicologica a volte fin troppo esibita. Meglio ricorrere nuovamente alla macchina da presa, per generare una finzione di spensierata allegria in cui nessun retroscena e' concesso e in cui l'immagine ufficiale possa essere distorta a proprio piacere. Le luci sono molto fredde, taglienti, spesso bianche e abbaglianti; a volte si crea forzatamente un'atmosfera algida e distaccata, come nella bella scena dei cavalli che nonostante il loro immobilismo riescono comunque a delimitare la “sombre foret,  desert  triste et sauvage “. La liberazione da questo gelo avviene quando i  muri bianchi vengono imbrattati di sangue, nella terribile immagine di un cavallo con la testa mozzata, nella distruzione del muro su cui in rosso cremisi erano state scritte le parole della rivolta. Il tutto si risolve, come per la musica, nel magnifico finale, con un perfetto “coup de teatre”:  il soffitto bianco scende verso il pavimento generando una scala rossa su cui salirà' il figlio di Tell. Ci sarà il futuro. L'immagine e' pura emozione, in uno spettacolo memorabile.  Qualche isolato buuu finale, tra scroscianti applausi, nulla ha tolto all’ intelligente regia di Vick, ottimamente servito dal costumista, dal coreografo e da Giuseppe di Iorio che si è occupato del progetto luci.

 

 

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Piazza Scala - agosto 2013