Ci risiamo. Puntualmente, quasi ogni anno dopo il successo di cassetta de “Il sangue dei vinti” di alcuni anni fa, Giampaolo Pansa sforna in libreria un’altra serie di storie riguardanti il “martirio” dei “vinti” fascisti nei giorni della Liberazione, pescandole qua e la per l’Italia, interpretate e rivisitate, mai inserite nel contesto di quei giorni, mai spiegate come atti isolati o rivalse individuali incontrollate, combattute dai comandi militari e dai Comitati di Liberazione.

Rilevo quanto dico dalle prime recensioni, come quella piuttosto laudatoria di Molinaroli su “Libertà”, del libro “Bella Ciao” in uscita in questi giorni, che non ho letto e non ho intenzione di leggere, come invece ho fatto per i primi libri che ho commentato a suo tempo su queste colonne, visto che le tesi di fondo sono sempre le stesse e ci sarebbe quindi ben poco da aggiungere.

Già il titolo trasuda sarcasmo di cattivo gusto, dato che la canzone omonima è ormai diventata un mito del rifiuto di tutti i fascismi comunque camuffati.

Quando uscì il primo libro, già allora fu chiaro l’intento di sfruttare a fini di cassetta non solo la diffusa ignoranza da parte di molti di quella parte della nostra storia, dovuta agli avvenimenti politici del dopoguerra, con la guerra fredda e la divisione del mondo in due blocchi, ma anche una certa sopravvivenza nell’animo di molti italiani di tossine infiltrate dal ventennio. Non era, come ha sostenuto lo stesso Pansa, la mancanza di fonti d’informazione. Molti ne hanno scritto fin dai primi anni, “vincitori” e “vinti”.

Era facile prevedere e gli storici lo affermarono quasi all’unisono, che l’operazione sarebbe continuata con nuovi capitoli e nuovi episodi di quella che fu una guerra spietata dove per venti mesi migliaia di italiani si posero al servizio degli occupanti nazisti aiutandoli ad opprimere i loro connazionali, a spedirne molti nei campi del nord Europa, a fucilare, a distruggere paesi, a sfruttare le nostre risorse, già falcidiate dalle guerre insensate del nostro regime. E molti altri decisero di resistere.

In altri paesi occupati dai nazisti le rivalse e le vendette, ma anche le condanne giudiziarie per i collaborazionisti, furono molto più severe (vedi Francia, Polonia, Jugoslavia, Grecia, Cecoslovacchia, Russia). Da noi, passati i primi giorni e le prime settimane, salvo rari casi personali, non solo i collaborazionisti non furono più molestati, una generosa amnistia per iniziativa di Palmiro Togliatti fu varata, ma in gran parte tornarono ai loro impieghi, alle loro cariche,  anche rioccupando posizioni a suo tempo sottratte ad altri per meriti politici.

Ormai è sempre più chiaro che la tesi di base di Pansa è quella di addossare a tutta la Resistenza un certo numero di azioni individuali, anche misfatti commessi da frange clandestine, e soprattutto di attribuire al Partito Comunista e alle formazioni partigiane da questo controllate e ai loro comandi, un presunto disegno di sterminio di quelle di orientamenti diversi, generalizzando episodi singoli come quello di Porzus in Friuli. In questa tesi rientra anche l’affermazione non vera che i partigiani fossero in grandissima parte comunisti, mentre è noto che non poche formazioni erano di colore diverso e addirittura, in parte preponderante, senza colore. E’ noto anche che se certi comandanti erano orientati politicamente e magari di incerta osservanza comunista o paracomunista, la massima parte dei combattenti non aveva alcun serio orientamento politico, dopo tanti anni di monocultura di stato. Nota a tutti è anche la partecipazione diffusa dei cattolici e dei parroci alla Resistenza ed è noto il sacrificio della vita di molti di loro. Non è inoltre sostenibile che i capi comunisti di certe formazioni partigiane pensassero seriamente ad instaurare un regime di tipo sovietico, con il paese occupato per intero dagli anglo-americani.

La differenza sostanziale fra i misfatti degli uni, proseguiti per i venti mesi di occupazione da parte delle forze armate tedesche e della collaborazione da parte delle milizie di Salò e, d’altro lato, le vendette da parte di gruppi o di singoli di estrazione partigiana nell’immediato dopoguerra è che i primi agirono sistematicamente per ordini dall’alto o dagli occupanti nazisti anche sulle popolazioni civili, spesso per pura rappresaglia, coinvolgendo anziani, donne e bambini, mentre la Resistenza non agì mai contro le popolazioni e anche le uccisioni di fascisti colpevoli o meno di atti criminali, anche di semplici collaboranti, avvenne quasi sempre per iniziativa individuale e addirittura, spesso, in forma clandestina.

E’ iniziato l’anno in cui si celebrerà il settantennio di quell’epopea che una minoranza d’italiani, appoggiata dal consenso popolare, combatté per liberare il paese dalla barbarie nazifascista e non saranno certamente le storie romanzate e le apologie di Pansa a sminuirne i valori, come non avranno successo  certi auspici di silenziare i ricordi storici, non solo della Resistenza, pagina gloriosa della nostra Repubblica, ma quelli tragici dell’Olocausto e delle reciproche “pulizie etniche” ai nostri confini orientali.

 

Giacomo Morandi

 

 

 

 

 

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Piazza Scala - febbraio 2013