Vorrei fare qualche commento sul recente decreto del governo, chiamato IMU/Banca d’Italia perché contenente misure sull’abolizione della seconda rata dell’IMU prima casa e sulla rivalutazione delle quote del capitale della Banca d’Italia, convertito in legge alcune sere fa a larga maggioranza, dopo una disgustosa bagarre delle ultime ore per iniziativa dei deputati grillini che vollero protestare per la decisione della Presidenza della Camera di troncare la discussione e l’ostruzionismo in corso, per evitare la decadenza del decreto, prevista per legge poche ore dopo in caso di mancata conversione..
Lascio da parte il vergognoso comportamento di numerosi membri della Camera che tentarono di impedire l’esercizio del voto prima e si scatenarono poi sugli stessi banchi del governo e gli episodi di violenza da diverse parti, a seguito della decisione della Presidente Boldrini.
Che cosa era in gioco in quel momento? Da un lato la possibile decadenza del provvedimento di abolizione della seconda rata IMU 2013 sulla prima casa, oggetto di tira e molla per mesi a causa delle promesse elettorati del PDL e della forzata acquiescenza degli altri partiti. Dall’altro, contenuta nello stesso provvedimento legislativo, la rivalutazione del valore delle quote nel capitale della Banca d’Italia, possedute da decenni, per legge, da una sessantina di banche italiane, Casse di Risparmio, Compagnie d’Assicurazione ed altri enti.
La proprietà della Banca d’Italia era stata così stabilita fin dai tempi in cui la quasi totalità dei partecipanti era di pertinenza pubblica e ovviamente era rimasta nei loro bilanci, a valore irrisorio, anche all’atto della loro privatizzazione. Il valore attribuito all’intero capitale della Banca d’Italia era fermo a quello iniziale del 1936 di Euro 156.000 (300 milioni di lire). mai rivalutato.
Il criterio per il quale il capitale della nostra banca centrale era stato così attribuito, fin dalla metà dello scorso secolo, è sicuramente discutibile, anche per il fatto che, a seguito delle acquisizioni e fusioni degli ultimi anni, le due banche italiane principali, Intesa Sanpaolo e Unicredit, risultano titolari, da sole, di più del 60% delle quote, (il decreto, ora convertito, ne dispone una sostanziale riduzione), ma era naturalmente regolato in modo che non ci fossero conflitti del tipo “controllore/controllato” e che la gestione della banca fosse il più possibile indipendente da influenze politiche e governative. Lo Statuto lo garantiva e lo garantisce tutt’ora molto efficacemente, come impedisce la confusione degli interessi con quelli delle banche formalmente partecipanti. L’alternativa era la totale nazionalizzazione della Banca d’Italia, come avviene in altri stati in Europa e in America e non mi nascondo che forse sarebbe stata opportuna, a condizione di preservarne l’indipendenza gestionale. Peraltro, un provvedimento del genere non sarebbe di facile attuazione in questo momento e comunque dovrebbe essere vagliato e negoziato in sede comunitaria e di B.C.E.
Allo stato delle cose, tuttavia, la situazione della proprietà è quella che è e il governo, con questo decreto, ha voluto ottenere due risultati: consentire con un semplice artificio contabile una sensibile ricapitalizzazione delle banche in vista degli “stress test” in arrivo nell’anno in corso, senza alcun esborso di denaro fresco, come è avvenuto invece in altri paesi (è evidente che la solidità e l’equilibrio dei bilanci delle banche sono indici indispensabili per una solida economia, a beneficio in primo luogo dei cittadini). Il secondo risultato è quello di ottenere ulteriore tassazione dalle banche stesse, sulla base della ricapitalizzazione sopra descritta, con ulteriori entrate per lo stato per centinaia di milioni all’anno, necessarie per coprire in parte l’abolizione della rata IMU, ed è ciò che lega i due provvedimenti contenuti nel decreto, in apparenza discordanti.

Giacomo Morandi
Febbraio 2014                                                                                             

 

 

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Piazza Scala - febbraio 2014