da "Nuova realtà", periodico dell'Associazione Bancari

Cassa di Risparmio di Puglia - UBI><Banca Carime

numero 2 - giugno 2012

 

Le agenzie di rating, nate agli inizi del Novecento negli Stati Uniti, analizzano la solidità finanziaria di soggetti quali stati, enti, governi, imprese, banche, assicurazioni.

Fungono principalmente da intermediari di informazione tra coloro che emettono titoli e gli investitori.

Le principali agenzie sono tutte statunitensi: Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch.

Ma come valutano le agenzie di rating la solidità finanziaria delle controparti esaminate?

Analizzano sostanzialmente la capacità del debitore di far fronte al rimborso del proprio debito finanziario ed esprimono la valutazione con un indicatore di sintesi, il rating, che espone l’entità del rischio di credito ricorrendo a una scala che va da un valore massimo ad uno minimo: più è alto il rating minore è il rischio di investimento.

Per formulare un rating vengono presi in considerazione parametri di tipo quantitativo, come l’analisi di bilancio, e qualitativo, sostanzialmente riconducibile all’analisi del settore e alla valutazione del management.

Il rating valuta due categorie di rischio, il rischio commerciale ed il rischio paese e le misura su base temporale: il rating di breve periodo valuta la solvibilità entro i 12 mesi, mentre quello di lungo periodo valuta la solvibilità futura dell’emittente.

Le sigle con le quali le agenzie di rating esprimono i loro giudizi sono diverse:

_ Moody’s usa per le proprie valutazioni valori da Aaa a C per il lungo termine e, per il breve termine, da P-1 a NP;

_ S&P classifica i rating da un massimo di AAA ad un minimo di D per il lungo termine, mentre per il breve va da A1 a C;

_ Fitch ha un rating molto simile a quello di S&P per il lungo periodo, mentre per il breve va da F1 a F3 (categoria di investimento) e da B a D (categoria speculativa).

I rating con valutazione superiore a BBB rientrano nella categoria investment grade, quella cioè dove l’investimento è consigliato, mentre gli altri rientrano negli speculative grade, la categoria che richiama un investimento ad alto rischio di carattere speculativo.

Gli specialisti del settore valutano di continuo le variazioni dei rating. Quando il rating sale, tendendo verso il valore massimo AAA, si parla di upgrade; se le variazioni del rating peggiorano tendendo verso D, si parla di downgrade.

Quando il rating ha un livello qualitativo molto basso viene inserito nella categoria “Credit Watch”, viene cioè tenuto sotto stretta osservazione, ed inquadrato a seconda delle prospettive di rialzo piuttosto che di ulteriori ribassi.

Per quanto riguarda, invece, l’analisi di un rating nel medio-lungo periodo si utilizza il termine out look per indicare la previsione che ne viene fatta e che può essere positiva, negativa e stabile.

Tutto bene quindi? Sì, in linea di principio, meno nella pratica.

Se è infatti fuori discussione che il rating sia utile e necessario, è fuor di dubbio che il modello attualmente in essere sia da rivedere. L’influenza che le agenzie di rating hanno raggiunto è la diretta conseguenza di un’impostazione normativa che, limitando l’accesso al mercato di nuovi soggetti, ha accresciuto il potere delle agenzie, alimentando un circuito vizioso di relazioni

pericolose e di conflitti di interesse. Quote importanti delle agenzie di rating, ancorché diluite in un azionariato notoriamente diffuso, sono detenute da grossi operatori finanziari che sono anche azionisti di importanti banche americane.

E’ indubbio che le agenzie abbiano giocato un ruolo fondamentale all’interno della crisi che ha sconvolto i mercati finanziari negli ultimi anni e tutt’ora esse mantengono una indiscussa capacità nell’orientare le logiche di investimento.

E ciò, nonostante i casi negativi consegnati agli annali della storia come la tripla A mantenuta dalla Lehman Brothers o dalla Enron fino al giorno prima del fallimento. Per non parlare della Parmalat.

Anche le valutazioni degli stati non sono esenti da critiche. Con le loro scelte spesso discutibili sono capaci di far crollare la fiducia degli investitori.

Ne sono un esempio i downgrade a ripetizione di diversi stati europei che hanno peggiorato la stabilità delle piazze finanziarie e hanno messo in discussione l’Euro come moneta comune europea.

Anche senza mettere in dubbio la correttezza dei rating, tuttavia molti economisti imputano alle agenzie l’incapacità di cogliere la specificità del debito di Stato, rispetto a quello di un’azienda. Il modello, insomma, non convince e recentemente anche il presidente della Bce, Mario Draghi, è intervenuto sul tema per invitare tutti a “fare meno affidamento sulle agenzie di rating” e, anzi, “ad imparare a vivere senza di loro”.

L’assunto che se ne può trarre è che le agenzie di rating svolgono un ruolo importante in un contesto di stabilità finanziaria mentre in momenti di crisi e instabilità finanziaria la loro utilità si riduce fino ad assumere le caratteristiche di elemento destabilizzante.

 

 

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Piazza Scala - agosto 2012