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Diversi anni fa, in occasione di una ricerca su Mattioli
presso la ricca miniera del nostro Archivio Storico, mi
imbattei in un testo che raccontava la vicenda della
sepoltura del nostro storico Presidente a Chiaravalle.
Presi nota fedelmente e riportai il tutto in un file che
è riemerso nel mio computer quando ho cercato delle
informazioni sulle Abbazie della bassa milanese, in
occasione del recente convivio a Quintosole.
Non ricordo più la fonte, alla quale chiedo scusa per la
mancata citazione, ma trovo questa testimonianza
della personalità di Mattioli molto interessante e
meritevole di essere offerta ai pazienti lettori del
nostro sito.
F.V. - 16 ottobre 2010 |
Raffaele Mattioli a
Chiaravalle: il diavolo e l’acqua santa
a cura di Filippo
Vasta
Raffaele
Mattioli morì il 17 luglio 1973, a Roma. La salma venne
traslata a Milano e i funerali si celebrarono il
successivo 30 luglio,
nella vicina chiesa di S. Fedele.
I gesuiti di S. Fedele e anche la curia milanese
(arcivescovo il cardinale Colombo) avevano manifestato
qualche dubbio sull’opportunità di funerali religiosi,
ricordando il laicismo del banchiere, ma poi tutto si
era svolto in un’atmosfera di sobria e commossa
devozione.
La vicenda della sepoltura è invece molto interessante
nella sua singolarità ed attesta la personalità del
tutto particolare di Raffaele Mattioli.
Bernardo Crippa, autorevole dirigente della Comit ed
anche personaggio della politica milanese, fervente
cattolico e esponente democristiano, era, negli anni
’60, assessore del Comune di Milano con giurisdizione
sullo stato civile e, quindi, sui cimiteri.
Egli racconta che Mattioli, con il tono burbero che gli
era consueto, gli disse un giorno, tornando da un
funerale cui avevano entrambi partecipato: “poiché sei
assessore, devi cominciare a a pensare alla mia tomba,
che voglio in un certo posto”. Crippa rimase perplesso,
perché sapeva che la famiglia Mattioli aveva una tomba
al Monumentale, ove era sepolta la nipotina Ricciarda,
figlia di Maurizio, scomparsa in tenerissima età.
Ma Mattioli, che possedeva sempre idee precise e
definitive, aveva individuato il luogo: un posto al
cimitero dell’abbazia di Chiaravalle dei monaci
cistercensi di San Bernardo. “Mi piace la terra umida
della bassa milanese, i filari di pioppi. Inoltre, è
vicina a San Giuliano, dove ho conosciuto la Lucia”. In
fondo, don Raffaele era un sentimentale, con forte
propensione all’esteriorità, e si lasciava affascinare
dai simboli.
Racconta sempre Crippa: “Cominciammo ad andare a
visitare l’abbazia e conversare con i monaci. Mattioli
usava spesso il latino; la sua erudizione era immensa e
colpiva. Al terzo o quarto pellegrinaggio, innanzi a
quella che era stata un tempo la tomba di Guglielmina di
Boemia, disse che quello era il suo posto”.
Vale la pena di spendere qualche parola su Guglielmina
di Boemia. Era stata una delle protagoniste del
cristianesimo medievale del XII secolo. Femminista ante
litteram, predicava, a quell’epoca: “chi ha detto che
Dio è maschio?”. Si era stabilita a Milano nel 1271 e vi
morì circa dieci anni dopo. Fu sepolta con gran pompa a
Chiaravalle e la sua tomba divenne immediatamente centro
di un culto acceso, alimentato dai suoi seguaci,
chiamati Guglielmiti, fra i quali erano particolarmente
attivi il sacerdote Andrea Saramita e una monaca degli
Umiliati, suor Manfreda da Pirovano. Ad essi furono ben
presto attribuite idee eretiche, come ritenere
Guglielmina l’incarnazione dello Spirito Santo.
Ovviamente l’inquisizione non tardò a farsi viva e il
Saramita, Suor Manfreda, suor Jacopa de’ Bassani e altri
membri della setta furono debitamente mandati al rogo.
L’inquisizione provvide anche a profanare e distruggere
la tomba di Guglielmina a Chiaravalle e a trasformare il
suo status di santa in quello di eretica.
Ritornando a Mattioli, non fu difficile per lui
conquistare le simpatie dei monaci. Oltre alle generose
offerte, la Banca Commerciale intraprese il progetto
dell’edizione dell’Opera Omnia di San Bernardo, in dieci
volumi, con il testo latino revisionato e corretto in
una nuova versione critica, a fronte della prima
traduzione integrale italiana di tutti i testi
bernardiani. Un lavoro di vasto respiro, portato avanti
da un gruppo internazionale di studiosi che, mettendo a
frutto un secolo di ricerche, costituisce la base di
partenza per ogni indagine su San Bernardo.
C’erano però da risolvere i problemi burocratici. Il
cimitero di Chiaravalle, un giardinetto sul retro
dell’abbazia difeso da un muro in cotto, era sconsacrato
e disabilitato dai tempi della Repubblica Cisalpina e
non esistevano procedure che ne consentissero la
riapertura.
Sollecitato dal suo Presidente, Bernardo Crippa portò la
delibera in Consiglio Comunale che non poté che
approvarla: Mattioli, al momento dell’ingresso dei
socialisti nella nuova giunta di centro-sinistra
(sindaco Aniasi), aveva sopperito con le finanze della
Comit al taglio dei crediti operato dalla Cariplo del
cattolico e conservatore professor Giordano dell’Amore.
Ma è dalla Prefettura e, in particolare, dal Medico
Provinciale che arrivarono le difficoltà, peraltro del
tutto comprensibili. Infine, cogliendo l’occasione della
morte di un monaco, il medico diede il consenso e il
cimitero fu riaperto, ma solo per gli ospiti
dell’abbazia. Vista però la riluttanza di Mattioli a
farsi frate, fu trovata, d’intesa con il Priore, la
formula che il cimitero avrebbe ospitato monaci e
benefattori.
Nel frattempo Manzù aveva dato mano al monumento
funebre, opera che ora è stata riportata all’interno
dell’abbazia, per sottrarla alle intemperie.
Così, quando sopraggiunse la morte, tutto era pronto da
tempo. Nella primavera del 1974, poco meno di un anno
dopo i funerali, finalmente Raffaele Mattioli trovò la
pace eterna, lui laico, sul luogo che aveva ospitato
secoli prima le spoglie di una presunta eretica.
Exurrexi et aduc sum tecum. La scritta è riportata sulla
base del monumento di Manzù. Mattioli aveva espresso il
desiderio che il monumento rappresentasse una robusta
figura virile. Ma l’ispirazione di Manzù, in quel
periodo, vedeva solo figure femminili: ne venne fuori un
angelo.
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