La nostra escursione al Roque Nublo era stata proficua. Un'ora di cammino ben pagata. La nebbia iniziale del mattino si era diradata e dalla vetta avevamo incontrato un cielo luminoso che ci dava visibilità sino all'Isola di Tenerife. Sulla mia Canon avevo montato un 300 millimetri, inquadrato il vulcano innevato del Tejde e scattato un discreto numero di immagini: un buon bottino, di cui già ero soddisfatto. Una volta ritornati alla macchina, avevamo poi proseguito per il Passo Cruz de Tejeda, sui 1500 metri di altitudine. Il freddo ci penetrava, ma ne valeva la pena e il mio reportage stava divenendo un bijou.

Rientrammo al residence di Maspalomas nel primo pomeriggio e Ludovica lanciava già qualche starnuto. Ma, accanto al mare, si stava bene. Il sole caldo e il buon sapore dell'aria dell'isola ci invitavano a soffermarci sul balconcino per una frugale colazione. E s'era a fine dicembre, due giorni a capodanno.

Il tramonto s'avvicinava, le nuvole in cielo preannunciavano uno spettacolo di colore. Non volevo perdermi qualche scatto nel punto più strategico per quello scenario: il faro di Maspalomas, con lo sfondo del sole all'orizzonte dalla playa a margine del deserto. Così proposi a Ludovica di ripartire per quell'ultima luce del giorno.

"Ah, no, Max" mi rispose con fermezza "mi hai fatto prendere un gran freddo". Ciò detto estrasse il fazzolettino infilato nella manica della camicetta, in corrispondenza del polso, e si scrollò il naso ch'era già un pomodorino maturo.
"Non ti copri mai a sufficienza!" le dissi. Io che la conoscevo bene. E aggiunsi "Come vedi, il freddo l'ho preso anch'io, ma sto bene...".
"Ma, tu sudi anche quando sbadigli! Il freddo non lo senti... Comunque vai pure tu, io mi schiaccio un pisolo, visto che mi hai fatto alzare alle sei per godermi tutti quei chilometri in montagna."
Già! Ludovica aveva il sonno in tasca. Meglio così, avrei avuto la massima libertà d'azione come è giusto che sia in una certa misura tra compagni di viaggio.
"Senti, Max, prenota in un bel posticino per capodanno, mi piacerebbe una cenetta a base di pesce".
"Ci avevo pensato anch'io, Ludovica. Spero di trovare, dalle parti del faro, un buon posto".
"Con vista mare, mi raccomando! Per cenare in compagnia del canto delle onde".
"Come no?".

La salutai con un ciao e il mio dito indice puntato sul suo nasino dispettoso e uscii con la mia borsa da paparazzo. Pigiai il bottoncino del portachiavi della Clio che s'aprì con uno scatto, come un coltello a serramanico. E cliccai sul comando d'apertura della portiera. Tra dieci minuti sarei stato in ballo col parcheggio dalle parti dell'Hotel Riu, in prossimità del faro.

La spiaggia si preparava al tramonto, era tranquilla. In pochi erano rimasti ancora lì, ad ascoltare la risacca. Gli altri si erano spostati nei vari negozi della passeggiata a mare o se n'erano ritornati a casa.

Superai il faro e mi incamminai lungo il bagnasciuga, camminai per alcuni minuti sino a raggiungere la casetta azzurra del beachwatcher, ormai senza presidio, ai margini di Las Dunas de Maspalomas, un piccolo Sahara, in miniatura. La temperatura si manteneva intorno ai venti gradi e una leggera brezza non disturbava affatto i miei passi, anzi rendeva l'ambiente più gradevole e frizzante e favoriva la luce tersa apprezzata dai fotografi.

La casetta azzurra era attorniata da sedili e tavolini di metallo saldati alla piattaforma. Una di quelle postazioni mi avrebbe permesso di piazzarmi, indisturbato, col mio biancone (un 70-200 mm) per centrare il faro sullo sfondo del tramonto all'orizzonte, proprio come mi ero prefissato.

Da lì a poco il sole si preparò per chiudere quella bella giornata di fine dicembre e iniziai a scattare senza parsimonia. Le foto erano di grande effetto. Il cielo ravvivava i suoi colori ad ogni minuto: dall'arancio al rosso, al viola. Un capolavoro della natura, senza un preciso autore!

Quand'ecco una figura femminile ripercorrere il mio stesso cammino verso di me. Dapprima non bene identificabile, in quanto appariva come una silhouette contro luce, poi, man mano, si delineava nei sui lunghi capelli biondi e nell'abbigliamento: golfino e pantaloni neri. Teneva una mano in tasca e, nell'altra, una piccola fotocamera compatta argentata e, quando mi fu vicino, mi osservò in silenzio, si sedette a un tavolino d'angolo a pochi metri da me e si mise anche lei a fotografare mentre il crepuscolo incombeva.

Quando non era ormai più produttivo scattare altre immagini, ci alzammo quasi contemporaneamente dalle nostre postazioni e fu allora che mi si avvicinò. Mi si rivolse in inglese, ma quando le dissi di essere di Milano, con mia sorpresa, la sentii replicare che era di Milano anche lei, pur essendo di origine ungherese. A dieci anni si era trasferita in Italia e ora lavorava all'Ufficio Titoli della Banca Morgan. Che strana combinazione! Le chiesi come mai avesse scelto la Gran Canaria per la fine anno e mi rispose che voleva festeggiare lì, da single e in completa libertà, i suoi primi quarant'anni, già compiuti da pochi giorni.

"Ti ho subito notato, con quel cannone" mi disse. Mi piacciono le fotografie e mi dà l'aria che tu sia un bravo reporter. E allora mi son chiesta: Perché non chiedergli di scattarmi qualche foto per immortalarmi in occasione del mio compleanno?"

Ci presentammo. Si chiamava Ebe.

Lusingato, le risposi che sì, potevo scattarle dei ritratti, ma era già buio. Avevo bisogno di cambiare camera e di montare il flash.

Ebe aspettò con estrema calma i miei preparativi. Si tolse le ballerine e intinse i piedi nell'acqua. Da lì, con lo sfondo del mare, con l'immancabile sonorità del mare, voleva essere fotografata.

Mi guardai intorno. Eravamo da soli. Alle sette di sera.

Misi in posa la mia modella. Le chiesi di volgermi parzialmente le spalle e di girare lo sguardo voltandosi verso di me. Poi di mettere una mano tra i capelli. Ancora di guardarmi trapassandomi, come se fossi un fantasma, le proposi di pensare a cose tristi, poi a cose allegre. Più lampi di flash investirono il suo viso ravvivato da due begli occhi scuri a contrasto con i capelli biondo chiaro.

Quando le chiesi di mettersi le mani sotto il mento, prima avvolgendolo dalla parte delle palme, poi, alla rovescia, allineandole con i polsi piegati, a ponte, per reggerlo con plasticità, mi accorsi che quelle mani erano troppo spigolose anche per una quarantenne. Quelle mani... avevano tutta l'aria di essere quelle di un... uomo! Smisi di scattare. Ormai di ritratti di Ebe ce n'erano a iosa.

In quel momento mi accorsi di non aver provato quel trasporto che solitamente provavo quando una bella donna si rendeva disponibile a farsi inquadrare da me. Quel trasporto e quel feeling che spesso viene comunicato dall'inconscio di chi opera a quello di chi offre all'obiettivo il suo viso e il suo corpo questa volta non li avevo percepiti.

Sapevo che a Maspalomas erano presenti tre alberghi della catena Riu che erano rinomati per la frequentazione di gay e coppie gay. Questa dote aveva avuto un impulso di recente, da quando lo Stato spagnolo aveva varato la legge che riconosceva i matrimoni tra omosessuali.

Mi dissi: "Se Ebe dovesse alloggiare in un Hotel Riu, avrei la conferma di ciò che penso".

Ed era proprio così! D'un tratto mi decisi di impostare un discorso pragmatico. Mentre facevamo lentamente ritorno al faro, con la mano di Ebe infilata nel mio braccio sinistro e senza che Ebe si fosse rimessa le scarpine, l'affrontai di petto e, fuori dai denti, le chiesi se fosse gay.

Con un po' di sorpresa ma anche con molta calma, Ebe annuì e mi disse che pensava che anche io lo fossi. E, se lo fossi stato, magari avremmo potuto passare capodanno insieme, considerato che lei era senza compagnia e mancavano solo due giorni a quella data.

Le dissi che no. Che avevo una compagna un po' raffreddata che mi aspettava. Cercai di portare il discorso altrove. Meglio era non farle altre domande, per non cadere in qualche gaffe o sentirsi addosso quell'imbarazzo che poi ti strugge l'anima. Meglio continuare a pensare di avere accanto a me una donna a tutti gli effetti come davvero appariva, considerata anche la sua voce femminile. Certo che... Uno come me gay? In effetti, Maspalomas è molto frequentata da omosessuali e forse meno dagli etero. Perché non pensarlo? Ero solo, un fotografo, quindi un artista di una categoria che si presta a piacere ai gay... Giuro che non avevo gli occhi truccati, né lo smalto alle unghie. Ma forse Ebe aveva saputo cogliere in me la mia parte femminea. Chissà?

Le chiesi se fosse la prima volta che passava le vacanze a Gran Canaria.
"No" mi rispose "ci vengo da qualche anno per le vacanze invernali, mentre d'estate passo sempre un paio di settimane a Mykonos".
"Senti, Ebe, vorrei prenotare per due a capodanno, ma non un cenone maratona come quelli che si usavano una volta quando passavi il primo gennaio come un cappone che sta per esplodere. Una cena normale, pagando alla carta e che ti porti a festeggiare la mezzanotte alla frutta o al dolce con un buon vino per brindare".
"Oh, se c'è ancora posto, ti consiglio il Ristorante El Senador. Si mangia all'aperto, sul mare, dietro una vetrata. E' molto rinomato. E' qui vicino. Possiamo andare a sentire se vuoi".
"Certamente!" risposi, soddisfatto di aver individuato una chance che avrebbe potuto piacere a Ludovica.
La spiaggia era finita, Ebe si era rimessa le ballerine e aveva tolto la sua mano dal mio braccio. Pur conoscendomi da così poco tempo mi trattava con confidenza, come se fossi stato per lei un fratello maggiore o uno zio o un parente stretto. Pareva bisognosa d'affetto e, probabilmente, a Maspalomas era davvero da sola e, a Milano, magari emarginata per via del suo status. L'ambiente di banca poi non è certo dei più comprensivi nei confronti di quelli che chiamano i "diversi".

Entrammo al Ristorante, con sedie impagliate a mano, tovaglie amaranto e tavolini ben allineati e separati da vasi di aloe. Davvero carino.
Parlai col maître incaricato di prendere le prenotazioni e fissai alla carta per le ore 22 del 31. Chiesi un tavolo disposto verso il mare per cenare in compagnia del canto delle onde e mi fu concesso.
Poi mi rivolsi a Ebe che mi era stata vicino, in silenzio, a osservare la mia trattativa. "Grazie, Ebe, mi hai suggerito un bel posticino".
"E' uno dei migliori!".
"Non ne dubito".
"Mi accompagni all'albergo, Max?".
"Come no?".
"Sai, c'è un pezzo al buio e ho sempre qualche timore a percorrerlo da sola".
"Ci credo, una ragazza carina come te...".

Ebe infilò di nuovo la sua mano da uomo nell'incavo del mio braccio sinistro e proseguimmo.
Per me non si trattava di una deviazione, dato che l'albergo si trovava nello stesso viale di palme dove avevo parcheggiato la Clio.
Durante il tragitto mi parlò della sua storia, a cominciare dalla sua infanzia a Budapest, quando suo padre morì e sua madre pensò di trasferirsi in Italia come ballerina. Alla solitudine di un camerino di teatro si erano abituati gli occhi di un bambino che soffriva. Figlio unico affidato alle baby sitter, crebbe imparando a fronteggiare la carenza di affetto. Il rigore del collegio l'aveva portato alla laurea in economia. Questa la sintesi della sua apertura nei miei confronti nel percorso dal faro all'albergo, che ascoltai senza interromperla.
"Mi piace come ascolti, Max, fai venir voglia di parlare!".
"Forse parli anche perché ne hai bisogno, Ebe..." azzardai.
"Sì!" ammise "E con uno sconosciuto ancor di più!".

In prossimità della cancellata che circondava l'ingresso del Riu, il corpo così minuto di Ebe si fermò. Si diede una regolata ai capelli con una mano e mi chiese di spedirle le foto al suo indirizzo email.
Glielo promisi.
"Grazie, Max, ho passato un paio d'ore bellissime con te". E mi abbracciò mentre un lacrima scendeva sul suo viso di bambolina.
Ricambiai l'abbraccio e le battei con la mano tesa un colpettino sulla schiena.
"Ha fatto piacere anche a me. Ti spedirò le foto".
"Ci tengo molto".
"Buona fortuna, Ebe".
"Buon anno, Max".

Così me ne andai, girandole le spalle mentre lei entrava nel cortile del Riu. Raggiunsi la mia Clio ch'era buio pesto. Pigiai il bottoncino del portachiavi che s'aprì con uno scatto, come un coltello a serramanico. E cliccai sul comando d'apertura della portiera.

Aprii la porta del residence e ci trovai Ludovica intenta ad apparecchiare.
"Hai fatto le foto al tramonto, Max? Ho visto che il cielo era uno spettacolo stasera!".
"Già, rosso e arancione. Credo di aver fatto delle bellissime foto, Ludovica".
"Hai prenotato per fine anno?".
"Sì, in un posto molto carino, sul mare, per le dieci".
"E come si chiama?".
"Sorpresa!".

Il 31 di dicembre Ludovica ed io fummo puntuali, alle 22, per assicurarci il tavolo fronte mare che avevo prenotato a El Senador. Ci accomodammo.
Ludovica fu soddisfatta della mia scelta e si soffermò a esaminare il menu.
"Pesce per tutta la fine dell'anno, ma anche per un buon inizio di quello nuovo" disse Ludovica con una certa solennità. La seguii in tandem con l'aggiunta di una bottiglia di Chardonnay.

La festa era cominciata, eravamo assediati da una tavolata di norvegesi del tutto a rovescio rispetto alla loro tradizionale glacialità.

Quand'ecco Ludovica segnalarmi, un paio di tavoli poco più in là, una bionda appariscente in abito da sera a lustrini nero. "Che cosa ne dici di quella signora? Non trovi che abbia un viso davvero fotogenico, adatto ai tuoi tanto ambìti ritratti femminili?".

"Sesto senso di Ludovica?" pensai. Quella bionda sorridente non era altro che Ebe. Cenava accanto a un uomo di mezza età che si esprimeva in spagnolo. Un uomo distinto e ben dotato che pareva interessare Ebe ad ogni battito di ciglia.
"Non mi rispondi, Max?" m'incalzò Ludovica, mentre mi stavo riprendendo dal mio stupore e, al mio silenzio, aggiunse: "Max? Hai la faccia di un giocatore di golf dopo lo swing!".
"Certo che è fotogenica!" risposi dopo quella esitazione "E' fotogenica ed è anche una bella donna".
"Davvero una bella donna! Molto fine. Proprio per questo mi è parso che valesse la pena di segnalartela! Ma sarà ben difficile che tu la possa fotografare, caro Max. Per quest'anno ti dovrai rassegnare".
"Eh sì, per quest'anno dovrò accontentarmi di te, Ludovica, di te e di questo buon vino!".
"Buon anno, amore!" aggiunsi. Ed insieme con la mia compagna brindammo al nuovo anno e a quella bella vacanza... ma anche al mio reportage fotografico.

Dal molo di Maspalomas, i fuochi pirotecnici avevano iniziato il loro accompagnamento.
 


 

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Massimo Messa
Scrittore e Fotografo ex Comit (n. a Milano nel 1946).
Ha collaborato:
· per un ventennio alla rivista bimestrale della Banca Commerciale Italiana sulla quale ha scritto circa cinquanta articoli d'arte, storia, scienze e attualità, fornendo sempre, oltre al testo, anche ampi corredi di diapositive realizzate “sul campo”;
· nel 2004/2005, presso il Touring Club Italiano, in qualità di “socio-fotografo”, alla costituzione dell’Archivio Fotografico della rivista Qui Touring;
· a tutt’oggi con vari Istituti e Club di Milano e provincia per la realizzazione di serate di proiezione di slides inerenti a viaggi in Italia e all’estero;

- ha scritto, fra l'altro: Il fiore che non colsi - Breve come un sospiro - Viaggio a Ibiza - L'isola dell'utopia -  Il rimorso del peccato - Letture per non dormire - Donarsi per vivere

Massimo ci ha inviato la raccolta completa dei suoi racconti: li pubblicheremo gradualmente su Piazza Scala per permettervi di gustarli con maggior piacere.
Sito web:
http://www.massimomessaphotogallery.it

 

 

 

 

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Piazza Scala - agosto 2014