I racconti degli Amici Comit

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Come quasi tutti i funzionari e dirigenti della “grande Banca”, mentre ero in servizio ero molto rispettoso delle gerarchie ma, in ogni caso, educato all’autonomia del giudizio e all’indipendenza del ruolo ricoperto. La premessa è oggi necessaria per la descrizione di un episodio minimo, ma abbastanza simpatico per la personalità e il garbo degli attori coinvolti. Ai primi degli anni 90 ero Condirettore a Napoli, esperienza straordinaria sotto il profilo professionale ma, soprattutto, sotto quello umano. Dopo una partenza abbastanza formale con il precedente Direttore, nel marzo del 1993 alla guida del gruppo arrivò, fortunatamente per me, Pasqualino Menchise, col quale ero in cordiali rapporti sin da quando lui era un fine dicitore del credito agrario e chi scrive si trovava alla corte di Cesare Ferreri, a tirocinio provvisorio assieme a Italo Tursellino presso la specifica sezione della DC. Era quella volta il 1979: un paio di mesi di esperienza, niente di più, sufficienti, però, a creare da lontano un legame di stima col brillante settorista di Foggia. Ma torniamo a Napoli. Tra i nominativi amministrati dall’ottimo Giorgio Jesu c’erano i fratelli R., imprenditori senza dubbio meritevoli di fido ed esponenti  di prestigio nel comparto calzaturiero. Si trattava tuttavia di soggetti un po’ invasivi nelle relazioni creditizie. Tra le molteplici iniziative dei clienti spuntavano, ogni tanto, operazioni immobiliari personali per le quali venivano richieste cifre di un certo rilievo, sempre però unitariamente nel limite di autonomia della filiale per i rischi di prima categoria. Già questo fatto mi urticava: essendo di scuola meneghina, non mi piaceva troppo che le richieste d’interventi fossero avanzate nell’ambito dell’autonomia locale, quasi a voler scansare il giudizio della Superiore Direzione. Un bel giorno m’incontro con gli interessati per un finanziamento per l’acquisto di un cespite da ristrutturare e da mettere in vendita a Via Foria. Dopo qualche resistenza, concordo a denti stretti l’operazione richiedendo, ovviamente, le fidejussioni dei soci. Apriti cielo: solite recriminazioni sulla miopia delle aziende di credito e manifestazioni d’indisponibilità in tal senso, giacché il bene da intestare valeva largamente l’importo domandato. Dovevo partire per le ferie qualche giorno appresso: temevo un po’ che Giorgio, in rapporti di antica confidenza con la contropartita, potesse in qualche modo mollare la presa. Per evitare colpi di mano, cerco di intrattenere Pasqualino in modo riservato. Vedi, non ci sarò per un paio di settimane, bolle in pentola questa cosa e, in particolare, non vorrei che ti inoltrassero una proposta per quella nuova società senza le garanzie personali dei Signori R. Pasqualino, che conosceva bene la mia puntigliosità in materia, mi dice di non preoccuparmi e mi augura ottime vacanze. Al rientro, neanche rimetto piede nella splendida sala pompeiana di Via Toledo quando ritrovo quel serpente di Migliaccio che, con fare preoccupato, mi confida a denti stretti che - in mia assenza - i clienti erano stati ricevuti personalmente dal Direttore che, alla fine, aveva assentito a perfezionare la pratica anche senza le firme di supporto. Cerco di dimostrare indifferenza ma, già col sangue agli occhi, mi precipito nella stanza di Giorgio, distante un centinaio di metri dalla mia e attraversati in dieci secondi netti. Ué, come sono andate le ferie. Lo saluto, lo ringrazio per l’interessamento ma gli chiedo, senza ulteriori indugi, aggiornamenti sul tema che mi sta a cuore. Jesu, serissimo, mi conferma che su pressante richiesta dei clienti aveva dovuto accompagnare i medesimi da Pasqualino. In occasione dell’incontro, questi tanto avevano detto e tanto fatto, che alla fine l’avevano persuaso a concedere il fido in bianco. Furibondo, lascio il settorista e ritorno sui miei passi. Il prestigioso ufficio del Direttore era adiacente alla sala della Condirezione; eravamo collegati con una  doppia porta interna. Busso con mano discreta e faccio capolino dall’altra parte. Trovo Menchise apparentemente al telefono. Ciao, sono tornato, posso parlarti? Con un cenno del capo mi fa segno: ora no, scusami, ci sentiamo più tardi. Nervoso, mi siedo alla scrivania avendo dirimpetto Migliaccio che gira il coltello nella piaga. “Tu devi avere pacienza, chilli so’ buoni clienti ma nu’ poco sfaccimmi, teneno pure a’ raccolta, Pascalino che puteva fa’”. Faccia finta di non sentire, per non dare soddisfazione: le gambe però vanno ormai per conto loro. Ogni cinque minuti ribusso alla porta del Direttore: di nuovo quello mostra di non potermi ricevere. Così, per innumerevoli volte durante la mattinata, vengo cucinato a fuoco lento dal sempre gentile e sorridente Direttore che mai trova l’attimo per parlarmi. Ingrugnito, non riesco a combinare nulla di buono per ore e ore. Finalmente, un po’ prima dell’una, squilla il telefono. “Vicenzì, sono Pasqualino, eccomi qua. Mi dovevi dire qualcosa?”. Mi fiondo nel suo studio e - dopo qualche convenevole - vengo al dunque. Per quella immobiliare, mica avrete rinunciato alle firme dei soci? Guarda che se è così, io la pratica non la sottoscrivo. E Pasqualino, sornione, di rimando mi dice: “Va bene, se questa è la tua opinione, allora la firmo io, pure se è tua autonomia. Sai,  non vorrei sconfessare Giorgio, che l’ha proposta in tal modo”. Ingoio il boccone amaro e, furibondo, sto per girare i tacchi senza altri commenti quando Manchise mi fa: “Anzi, facciamo venire il settorista, così ti spiega meglio com’è andata”. Resto in un rancoroso silenzio. Arriva Giorgio, con un ghigno mefistofelico sulle labbra. ” Ecco, Vincenzino, la pratica era urgente e mi sono permesso di mandarla avanti anche in tua assenza. Come vedi, l’abbiamo già firmata io e Pasqualino”. Sbircio il documento con aria profondamente disgustata e - sorpresa - vedo sub garanzie la scritta “assistita da fidejussione sino a…dei Signori…”. Pasqualino a tal punto sbotta in una risata e mi fa “vergognati!  Ma allora non hai avuto fiducia nel tuo direttore! Come hai potuto immaginare che avremmo fatto diversamente da come concordato!”. Resto mortificato. In effetti, mai avrei dovuto dubitare dell’amico Menchise.  Rallegrato in cuor mio per l’esito della vicenda, accetto di buon grado di espiare immediatamente. Col capo coperto di cenere dovetti convocare anche Migliaccio, astuto complice e probabilmente ideatore della beffa per accompagnare tutti al Gambrinus e pagare, con la coda tra le gambe, un ricco aperitivo riparatore con relativi stuzzichini ai tre beffardi congiurati.

 

Enzo Barone - ottobre 2013

 

 

 

 

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Piazza Scala - Ottobre 2013