LO SPUNTINO DEL DUCA
Nella foto la sala pompeiana,
teatro delle vicende del Duca e Vincenzino:
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Quando fui
ammesso al tempio (si avvicinava Natale del
1991) restai quasi intimidito dalla
solennità dell’ambiente. La Banca
Commerciale di Via Toledo, la sala
pompeiana. Mi assegnarono il tavolo di
sinistra: un fratino nero, i piedini
intarsiati, le sedute con gli appoggi e le
spalliere di broccato rosso. Insomma, il
falegname non aveva badato a spese, quando
costruì quei mobili, ai primi del novecento.
E poi, niente fili sospesi, niente video e
tastiere ingombranti, poche carte sul
passamano di cuoio. Di fronte a me, quel
discolo di Migliaccio; appena un pò
raggrinzito, dietro una imponente postazione
centrale,
dominava incontrastato il duca Carlo Frezza
di San Felice. Con gli occhietti indagatori
cominciò a squadrarmi, mi prese le misure.
Appena decise che potevo essergli simpatico,
fui per lui solamente “Vicenzino”, come il
mio dirimpettaio era soltanto “Claudiuccio”.
Durante la giornata, convissero d’allora in
poi nello stanzone di rappresentanza tre
stili di lavoro abbastanza diversi: quello
svelto e meneghino di “Vicenzino”, il
partenopeo pirotecnico di Claudio, il
liturgico del duca Frezza. Da noi
condirettori più giovani non si accostava
quasi mai nessuno; alla scrivania del duca
conveniva invece una ininterrotta
processione di fedeli, anche solo per
rendergli omaggio. Bruno Casilli gli
esternava i problemi con gli armatori di
Monte di Procida; Carlo Chioccarelli e Dario
Carnevale gli fornivano le consulenze sugli
investimenti da effettuare, Ugo Ferraro,
Tullio Scatola, il Principe Savelli gli
confidavano a bassa voce non capivo mai bene
cosa. Silvano Del Grande veniva senz’altro a
parlargli dei presepi; di tanto in tanto
c’era poi la telefonata misteriosa con
qualcuno tra gli innumerevoli suoi
affittuari, ed allora cominciava un gustoso
show (la mamma non è in casa? Chiamala,
carina...Signora, l’idraulico è venuto? Ah,
che pazienza ca ce vo’ con voi...).
Tralascio i siparietti familiari: la
duchessa insisteva con le sue continue
chiamate, i due figli lo pressavano con
richieste di assistenza o di denaro...Carlo
Frezza sbuffava piano, alle prese con veri
od immaginari problemi finanziari. Tuttavia,
come tutti i grandi signori, appariva (ed
era) appena parsimonioso, e questo aspetto
del suo carattere ci divertiva molto. L’ho
presa alla lontana, per raccontare un
simpatico siparietto, che non è frutto della
fantasia di chi scrive, ma risponde al vero,
anche se può sembrare uscito dalla fertile
penna di Marotta. Qualche anno prima il duca
aveva subìto un ardimentoso intervento
all’anca a New York: da allora era
claudicante, menomazione che nulla toglieva
all’aristocratico suo portamento. Anche per
non farlo stancare, lo prendevano perciò
sottobraccio, Claudio e Vicenzino, per fare
con lui colazione, nell’intervallo, da
Augustus. Era una bella passeggiata,
nobilitata dalla frizzante prosa del Collega
maggiore. Per chi non lo sapesse, nella
seconda sala di quel notissimo bar
pasticceria, subito dopo il bancone del
caffé, si spalancava un ampio locale nel
quale servivano quasi esclusivamente primi
piatti, che sembravano (ed erano) molto
saporosi. Appena entrati, il nostro Amico si
rivitalizzava di colpo. Il precedente passo
incerto diventava un autentico passo di
carica. Ignorata con fastidio la postazione
del cassiere (si faceva alla romana, ma il
compito di mettersi in fila per pagare era
cosa plebea e toccava ai due
accompagnatori), si precipitava verso il
cameriere chiedendo, già a distanza, la
specialità del giorno: “cosa c’è di buono
oggi, caro? Pasta e ceci...Ottimo”. Quindi:
“Vicenzi’, Claudiuccio, la volete pasta e
ceci? Cameriere: tre mezze porzioni.
Abbondanti!”. La frase finale era diventata
il leit motif della nostra abituale
frequentazione. “Scarpariello? Magnifico!
Caro, tre mezze porzioni...abbondanti!”, e
così via. Ovviamente, dopo qualche mese, ci
avevano notati tutti, avventori e gestori di
Augustus. E così, un bel giorno, alla
inevitabile uscita dell’indimenticabile
Carlo (“Stelline con lenticchie? Splendido!
Tre mezze porzioni...abbondanti”), uno
scostumato cameriere ebbe l’ardire di
replicare causticamente “Duca, scusate, ma
almeno una volta non potreste ordinare tre
porzioni intere, nu’ pocurillo scarse?”.
All’uscita dal bar, il nostro Amico commentò
gelidamente “Hai capito che villano, stu’
guaglione...Vuol dire che da Augustus non ci
veniamo più; hanno perso tre clienti”.
Tenero ed inimitabile Carlo Frezza di San
Felice. Mi mancano quelle amicali
frequentazioni quotidiane, mi manca il
palazzone Colonna Zevallos della Comit di
Napoli. Soprattutto, dopo tanti anni, mi
accorgo che mi manchi tu.
(settembre 2009 - Vincenzino Barone)
N.d.R.: Tra contributi a periodici
cilentani, giornalini vari e testimonianze
sul mondo Comit, non ricordo se questo
gustoso bozzetto sull'amico Frezza di san
Felice, Condirettore a Napoli dei tempi
eroici, sia mai stato pubblicato da qualche
parte (su Facebook, per i colleghi
napoletani, senz'altro). Potrebbe essere
pubblicato con l'aggiunta eventuale della
foto della stanza che ho avuto il privilegio
di condividere con Carlo e Claudio
Migliaccio, formando un terzetto che sapeva
trarre dalla routine quotidiana molte
ragioni di divertimento
Vincenzino Barone - marzo 2011
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