Una contessa, un compare e un
pollo
Dove alloggia attualmente a Milano? In Via Solferino. Ottimo,
la manderò allora all’Agenzia 20, proprio lì
vicino. Si presenti domattina al Signor V.
che le dirà cosa deve fare. Tanti auguri!
Ah, magica Banca Commerciale di un tempo!
C’era qualche anima buona che provava a
metterti a tuo agio, mentre il primo
approccio con un’organizzazione di lavoro ti
cambiava la vita. All’alba del giorno dopo,
tanto per non sbagliare, arrivo di buon’ora
dinanzi alla Filiale. Ovviamente, le
serrande sono tutte
chiuse. Meno male che c’è un bar lì vicino:
mi avvertono che prima delle 8 in genere non
si vede nessuno. Un paio di sigarette
aiutano ad ingannare l’attesa, assieme al
Corriere dello Sport. Servizievole il
barista: guardi che stanno cominciando ad
entrare. Abbandono il giornale (meglio non
farsi sgamare: qui leggono tutti la “rosea”)
e mi precipito: chi sei, come mai, caspita è
il tuo secondo giorno…insomma, gente
cordiale. Il Direttore è una figura d’altri
tempi: lento, ieratico, compreso nel ruolo.
Mi hanno preavvisato trattarsi di persona
pignola e religiosa, probabilmente parente
del cardinale di Palermo. Minchia, mi dico,
irriguardoso. Mi aspetta severo dietro la
scrivania, tamburellando nervosamente le
dita. Dopo qualche minimo convenevole,
Bruno! grida perentorio. C’è un nuovo
collega, mostragli il funzionamento dei
circolari. Arriva un ragazzo più giovane di
me, al quale non par vero aver trovato uno
su cui scaricare quel tipo di servizio,
primo gradino nella gerarchia delle
mansioni. Andiamo a prendere la cassettina,
mi dice. Comincia l’istruzione: dopo qualche
giorno mi sento come il nibbio che ha aperto
le ali e vola alto. Il Direttore non è
persuaso e scruta da lontano: questo
neoassunto un po’ intraprendente non rientra
nei suoi schemi, meglio tenerlo d’occhio. Un
pomeriggio, arriva come una bomba una
telefonata: la contessa C., proprio quella
del Corrierone, richiede con urgenza un
assegno di 9 milioni e tanti rotti da
perdere la testa, per un novellino come me.
I tagli da 5 a 10 milioni sono però
custoditi sacralmente nel caveau: nella
dotazione quotidiana non te ne danno mai, se
non su esplicita prenotazione. Il venerabile
scende le scale con sussiego e ritorna su,
consegnandomi uno sparuto e singolo
foglietto. Forza, che la contessa non
aspetta! Vabbé, ma bisogna caricarlo, un
attimo e sono a lei. Mi metto alla macchina
con carrello lungo, fiero di poter
dimostrare la mia perizia. Tre battute ed ho
già cannato: mi scusi, mi occorrerebbe un
altro foglietto. Mentre vado ad annullare il
primo (si bucherellava con un punzone
speciale), il Dir comincia a scavallare per
le rampe. Eccolo, fà attenzione. Scusi,
provvedo subito, un momento di pazienza.
Riscaldo le dita, come un pianista
all’inizio del concerto. Proprio mentre
scrivo il nome del beneficiario, una
maledetta svista. Cacchio, è da annullare!
Il compare Bruno legge lo sgomento nelle
pupille del nibbio, ormai ridotto a pollo
spennacchiato. Cià, lascia che provi io. Mi
ritiro vergognosamente in disparte. Nuova
rincorsa del dir, che sembra ormai
superflash. Riemerge in un lampo dal caveau
con uno (e ribadisco, ancora uno) di quei
preziosissimi foglietti. Che dire: il mio
sostituto stecca alla prima nota. Il Dir
ansima e ruggisce. Il capufficio Tartarotti
allontana con ampio gesto di mano i due
reprobi. Ghe pensi mi, è il suo grido di
battaglia. Il commesso tiene pronta una
seicento dinanzi alla porta (la contessa è a
Largo Treves, proprio a due passi; ma
tant’è… noblesse oblige!). Ah, Tartarotti,
che mi crolli come Dorando Pietri sulla
dirittura finale! Non ci si crede, ma pure
lui sbaglia. Nel cupio dissolvi collettivo,
un ormai funereo Dir si proietta nelle scale
e, nella frenesia che ormai ha coinvolto
tutti, si scapezza clamorosamente. Sentiamo
un rumore sinistro, come di corpo morto che
cade. E, incredibilmente, si sente con
nitidezza sibilare dagli inferi un’invettiva
contro la Madre del Signore che mai, ripeto
mai, il parente di un porporato avrebbe
potuto pronunciare. Quella blasfemia dovrò
tenermela in conto io al momento dell’ultimo
esame in Paradiso: mi spetta di diritto.
Risale ammaccato, cereo in volto. Non si
sente volare una mosca: persino il cassiere
Rocchi è fuori dal gabbiotto per capire cosa
può succedere ancora. Tartarotti, con un
triplo carpiato riesce alla fine a
consegnare quel fottutissimo circolare a
regola d’arte, ma è madido di sudore. Romba
il motore, parte il Direttore con circa
un’ora di ritardo. Ritorna poco dopo, con
occhi luciferini e la bocca atteggiata a
profondo disgusto: annullate pure
quest’ultimo assegno, perché la contessa non
mi ha aspettato e dovremo riportarglielo
domani mattina. Durai molto poco a Corso
Garibaldi. Il Dir aveva ragione: forse ero
così fessacchiotto che avrei fatto meglio in
un ufficio di direzione!
Enzo Barone - gennaio 2012
N.B.: la
vignetta è stata realizzata da Greg Cerra
I commenti
dei nostri lettori
• 10 gennaio 2012 - da Arnaldo De Porti:
mi hai fatto ridere come non ridevo da
tanto tempo per il simpaticissimo
racconto. Non appena avrò un attimo di
tempo scriverò anch'io qualcosa sui
circolari. Ti anticipo che un giorno
dell'anno 1957, a Sede Venezia, ne
sbagliai 5-6 tutti di seguito (scritti
allora con l'inchiostro di china e poi
punzonati come dici tu). Ebbene, cosa
feci ? Per no farmi vedere dal Capo
Ufficio, feci tanti pezzettini e li
buttai nel cestino. Lascio a te
immaginare cosa successe la sera per
chiudere la cassetta dei circolari. Poi
però ho insegnato a farli ad un collega
che è diventato Direttore... Ciao,
grazie della risata.
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