QUANDO UN FUNZIONARIO AVEVA
SOGGEZIONE DEI COMMESSI DELLA D.C.
Prendo lo spunto dal pezzo, che
ho ben recepito soprattutto in
chiave “sensazione-ambiente”, di
Vicenzino Barone su Piazza Scala
(18/1) che si richiama ad una
sorta di regalo di Natale
fattogli da un commesso
dell’economato centrale, (se ho
ben capito si trattava di
un’agendina che, per asportarla
abusivamente senza essere scorta
da qualcuno, doveva essere
nascosta, presumo, fra le pieghe
del vestito), per ricordare una
oggettiva forma-mentis di
allora, nella sua più peculiare
essenza.
Sarò breve, ma schematico al
massimo.
(…una forzata similitudine fra
le divise dei commessi D.C. e i
corazzieri del Quirinale)
Chi per un motivo o per un
altro, soprattutto per coloro
che provenivano dalle Filiali
decentrate, meno importanti (ciò
non accadeva per Sede Milano,
ormai assuefatta all’ambiente,
che allora era al piano terra
mentre la Direzione era al primo
piano), quando venivano
convocati in Direzione Centrale
o per un trasferimento o per
esami a fini di carriera,
sembrava che fossero persone
baciate dalla fortuna, dal
privilegio, realtà tutte che non
consentivano loro di nascondere
però una certa emozione,
soprattutto quando dovevano
calpestare quei lunghi tappeti
rossi, un po’ morbidi sotto le
suole delle scarpe, per
incontrare magari un funzionario
di primo pelo che doveva
formalizzare la pratica per la
quale si era convocati in questo
posto vicino al… sole, rispetto
al grigiore di certe filiali.
E’ successo anche a me, e più di
qualche volta, per una serie di
motivazioni legate alla
preparazione per essere
trasferito in Africa, poi a
Sudameris e poi…per punizione in
quanto rifiutai questi tipi di
trasferimento, dopo essere stato
preparato nella segreteria
estero della Direzione Centrale
per circa un paio d’anni.
E vengo al dunque.
Ho ancora viva sulla pelle
l’emozione che ho provato
quando, non sapendo chi fosse e
quale importanza avesse, ho
incontrato un commesso di fronte
alla porta dell’Ufficio Centrale
del Personale. Di primo acchito,
i miei occhi hanno visto un
Superiore a cui si doveva
tributare il massimo rispetto e
ho cercato pertanto di
alimentare una sorta di
“captatio benevolentiae” per
essere messo in buona luce, nei
confronti degli altri…Superiori
presso i quali egli mi avrebbe
condotto. Perché tutto ciò ?
Semplicemente perché le divise
suggestive dei commessi erano
ben diverse rispetto a quelle
trasandate dei commessi di
Filiale: quelle della DC. erano
sempre ben stirate, corredate di
lustrini d’oro al pari dei
commessi della Presidenza della
Repubblica, mancava loro in
testa solo l’elmetto con
pennacchio rosso-bianco (di cui
a foto) come quello dei
corazzieri del Quirinale. E
quindi era facile essere tratti
tutti in inganno, magari
pensando all’ambiente militare
in cui la divisa…ecc.ecc.
Per una serie di ragioni, dopo
una convocazione, per motivi che
non sto ad elencare per
questioni di spazio e di tempo,
mi fermai alcuni anni in D.C. e
quasi tutti i santi giorni mi
capitava di camminare attraverso
i predetti tappeti rossi
(talvolta anche… senza una
motivazione ben precisa).
Ebbene, alla luce di quanto mi
era successo in precedenza a
livello emozionale, ebbi
occasione di osservare
abbastanza spesso altri
funzionari che venivano da
fuori: in loro ho potuto
constatare che avevano
sicuramente un certo timore
reverenziale verso la “casta”
rappresentata dai commessi della
D.C. che, con tutto il rispetto
loro dovuto, sapevano
capovolgere di fatto
la…gerarchia. Al punto che
qualcuno ha osato dire che i
commessi della D.C, quanto ad
esperienza, erano più utili di
un procuratore di Filiale…
Ovviamente detto mio ricordo è
un tantino “forzato” per rendere
meglio il pensiero che però, a
pensarci bene, costituisce una
verità valida in tutti gli altri
contesti sociali. Non per
niente, a volte si dice, che per
saperne di più, è meglio
rivolgersi al portiere piuttosto
che al…. Dirigente.
Chiudo, sperando di aver
interpretato, anche se
attraverso altri motivi, lo
spirito genuino che il Collega
Barone, ha saputo attualizzare
rispetto ad un periodo, per
certi versi felice, che noi…
diversamente giovani,
non possiamo certo dimenticare.
Arnaldo De Porti - febbraio 2011
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