Piazza Scala

 

 

Alla mia età penso di poter scrivere di questa tematica senza che qualcuno possa sospettare di un qualsiasi interesse personale sull’argomento da parte mia. E non mi sfugge nemmeno un veniale “purtroppo”, alla faccia di chi avrà già abbozzato un bonario sorriso.
Vorrei qui esprimere la mia opinione sulla recentissima iniziativa di molti sindaci di cittadine sparse per tutta l’Italia in favore della riapertura, entro certi limiti e regole, delle cosiddette case di tolleranza, chiuse con il colpo di spugna della famosa Legge Merlin negli anni ’50.
I primi cittadini in questione pongono il problema, mai risolto e sicuramente irrisolvibile con qualunque mezzo repressivo o dissuasivo, della prostituzione stradale che trasforma intere vie e quartieri in bordelli a cielo aperto, con gravi conseguenze per i residenti, invasione della criminalità, dello spaccio, del fastidioso traffico notturno.
La legge Merlin aveva il lodevole intento di sottrarre migliaia di ragazze al mercimonio legalizzato, allo sfruttamento da parte di organizzazioni e “padroncini” singoli, a una sorta di schiavitù tollerata dalla legge, e in teoria di dar loro la possibilità di esercitare in libertà il “mestiere più antico del mondo”.
Che cosa è successo invece? La prostituzione si è riversata sulle strade e solo in piccola parte in case clandestine, locali notturni, alberghi, centri di massaggio, in violazione della legge. Il reato di sfruttamento impedisce anche l’esercizio in appartamenti in affitto in modo autonomo dalle stesse prostitute, esponendo i proprietari, anche ignari, a detto reato.
I sindaci che hanno sollevato il problema, spinti dalle situazioni insostenibili esistenti in molte zone delle loro città, propongono una modifica della Legge Merlin con soppressione degli articoli che proibiscono l’apertura di strutture dedicate, mantenendo tuttavia la parte della legge che colpisce lo sfruttamento.
Sarei d’accordo, ma sarebbe necessario, a mio parere, impedire la costituzione di organizzazioni a capitale privato per la gestione delle case, consentendo solamente società cooperative gestite dalle stesse prostitute, con severi controlli sia legali che sanitari e, perché no, fiscali e cancellare il reato di sfruttamento limitatamente ai proprietari degli immobili eventualmente locati a dette società. Ovviamente, l’esercizio del mestiere all’aperto dovrebbe essere perseguito in modo più efficace di quanto avviene ora.
L’iniziativa dei sindaci è stata accolta molto tiepidamente, se non negativamente, dalle organizzazione “sindacali” delle prostitute. Ciò è comprensibile, perché il regime di libertà attuale, il caos attuale, fanno tutto sommato comodo, ma la società ha il diritto di difendere il suo decoro e l’ordine pubblico.
Aggiungerò, se mi è permesso, qualche lontanissimo ricordo personale. Le “case” c’erano ancora quando raggiunsi la maggiore età. Resistevo alle sollecitazioni di compagni di studi per farvi qualche visita, sia pure platonica, sia pure per curiosità o passatempo. Vi fui trascinato solo un paio di volte e decisi per sempre che non erano di mio gusto. Con i miei amici più stretti si pensava, se mai, alle camporelle.
Ciò detto, non vedo alternative al disordine attuale, se non un’accettabile regolamentazione di questa attività che, lo si deve ammettere, non è mai stato possibile, e non sarebbe neppure opportuno, eliminare.


Giacomo Morandi - settembre 2013

 


 

 

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Piazza Scala - settembre 2013