Roma, 16 luglio 2000 (dal nostro Corrispondente)

 

In un centro residenziale ad una quindicina di chilometri a nord di Roma sulla Via Cassia, ha avuto luogo domenica scorsa un evento che ha risvegliato l’interesse, appassionato e direi quasi morboso, di larga parte dell’alta società romana ed ha avuto echi fin nelle più recondite profondità della lontana Padania, delle provincie nominalmente italiane ma abitate da lontani discendenti delle più selvagge e retrograde tribù barbare del lontano nord, nonché delle lande mediterranee tuttora afflitte da frequenti atti di brigantaggio filoborbonico. (1)

Il primo ed unico rampollo undicenne dell’alto ufficiale di marina, appartenente a una nota, nobile famiglia visigota, e di madre padano-americana, rampolla di un  antico casato patrizio emiliano, insigniti entrambi da secoli delle verdi fronde raccolte sulle rive dei gloriosi fiumi che bagnano da tempi lontani le loro nobilissime estremità, ha ricevuto con gran pompa la sua Prima Comunione.

L’accostamento all’Eucaristia è una vecchissima tradizione delle due nobili famiglie, specialmente di quella barbarica, portata fino ai giorni nostri dalla giovane madre del comandante, anche se accoppiata a concezioni morali adeguatamente moderne. L’altra famiglia, pur avendo sempre rispettato detta tradizione, ha militato per secoli nel partito ghibellino.

La compagnia, venuta da terre lontane dove con ogni probabilità il cibo scarseggiava o era di bassa qualità, s’installò prepotentemente in casa del comandante, pretendendo di essere subito foraggiata con cibarie e leccornie ricche di proteine e calorie di diverso tipo. La padrona di casa, i cui frigoriferi e dispense sono sempre ben forniti di vivande in parte scadute o prematuramente decongelate ma sempre appetibili ad eventuali bocche fameliche, si diede da fare per cercar di sfamare la muta ululante ed il comandante stesso si mise al lavoro per scaricare sulle varie tavole polpette serbo-croate, verdure alla griglia finemente affettate, peperoncini verdi in padella, pezzi di formaggi vari dei quali furono divorate anche le croste verdastre e tumescenti. I vicini, ad un certo punto, si misero a protestare per il sordo rumore di mandibole che copriva quello del miagolio dei gatti e delle pallonate che di tanto in tanto arrivavano dal vicino parco.

Il rito ovviamente si ripeté diverse volte nei tre giorni di celebrazioni, obbligando la nobile padrona di casa a lavar piatti, pentole, bicchieri e posate a centinaia, con l’aiuto, si fa per dire. Di un paio di grasse e sbuffanti filippine.

Alle 10 di domenica 16, appuntamento al convento di Santa Brigida non distante dalla residenza del comunicando. Messa alle 10,30 nel grande parco del convento, officiata niente popò di meno che da un cardinale di 86 anni in pensione dorata che fonti bene informate mi confidarono essere anche il proprietario del convento e del circostante grande parco. Alcune suore discrete con gli occhi bassi passavano di tanto in tanto con il loro caschetto bianco che all’inizio io scambiai per quello dei ciclisti del Tour de France con bottoni rossi che, mi spiegò la consuocera, rappresentavano le cinque piaghe di Gesù Cristo ma che io, con l’anima blasfema che dicono io possieda, avevo scambiato per veri e propri catarifrangenti notturni.

Un pubblico alto borghese (con evidenti simpatie per i partiti d’estrema destra) ascoltava compunto le parole del Signore, dalle labbra di due onesti prelati e da quelle, altrettanto oneste, della consuocera, offertasi disinteressatamente di far riposare per qualche minuto l’anziano Monsignore che presiedeva stancamente la cerimonia.

Carlo ovviamente era stato ben preparato all’evento più importante della sua infanzia. Peccati ne aveva pochi ma quei pochi contavano molto per cui il prelato di Curia dovette fargli un lavacro d’anima lungo e penoso. Quando gli chiesi come si sentiva dopo, mi rispose che l’anima gli doleva molto, ma la sua mamma glielo lenì con un paio di compresse di Tylanol “extra strenght”, simile a quello recentemente introdotto in Purgatorio dai giustizialisti nonostante la feroce opposizione del sindacato dei diavoli democratici.

Dopo la messa e la comunione generale (evitata solamente da pochi dissidenti) tutti si aspettavano di potersi precipitare subito nella gran sala da pranzo, ma la speranza fu delusa. Il prelato più anziano sparì dalla circolazione e tutti si misero a chiacchierare in giardino, posando di tanto in tanto una mano sullo stomaco (ma la versione ufficiale era che si trattasse del cuore).

Passò un’ora e mezza abbondante finché suonò finalmente la campanella che annunciava la fine del riposino del prelati e l’inizio del pranzo. La gente finse di indugiare per qualche minuto ma si vedeva chiaramente che tutti avrebbero voluto correre a tavola e buttarsi sulle vivande che peraltro tardarono ancora un po’. Queste cose, forse qualcuno pensò, succedono solo in Italia.

Tutto si mise a posto quando cominciarono ad arrivare le buone suore sudamericane e filippine con l’antipasto e poi con tutto il resto. Tutto buono. Il cardinale, tutti notarono, si era servito tre volte dal vassoio della carne arrosto ed aveva chiesto altre patate.

Un simpaticissimo spettacolino offerto da Carlo e da due suoi amici, completò la funzione. Mi accorsi e fui tanto imprudente dal dirlo, che Carlo fingeva vergognosamente di suonare il piano.

Si finì di mangiare quando mancava poco alle quattro del pomeriggio, ma alcuni dei parenti, già alle 19, dichiararono di essere affamati e si buttarono su minestrine, risotti ai funghi, salsiccette di tacchino alla griglia, ancora peperoncini, torte varie, croccante, frutta fresca e diverse bottiglie di vino.

Le cronache mondane continueranno a parlare di questo evento per molte settimane anche per la presenza di personalità di grande importanza, generali, funzionari, dirigenti, vedove ottuagenarie di grandi personaggi, antica nobiltà, casalinghe, maestre elementari.
 

(1) Due diverse rappresentanze provenienti dall’estremo nord friulano e dall’estremo sud calabrese
 

G.M.

 

 

 

 

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Piazza Scala - novembre 2013