La
festa fu introdotta nel mondo romano tra la fine del sec. III e l’inizio del
IV.
Il calendario romano infatti segnava al 25 dicembre la celebrazione del
“Natale del sole invitto”, festa pagana che continuava l’antica festa
solstiziale del mondo mediterraneo collegata alla vicenda annua del Sole
che, con il solstizio invernale, grazie al progressivo allungamento del
giorno, sembrava tornare sulla Terra quasi come per una rinascita.
Il ciclo natalizio, comprendente un periodo di dodici giorni: l’Avvento
(periodo di attesa e di penitenza), da Natale all’Epifania, presenta riti
comuni alle altre feste d’inizio d’anno e riti particolari, nuovi o
rinnovati, in rapporto al significato assunto dal Natale in ambito
cristiano.
L’antica festa del fuoco, del solstizio d’inverno, sembra sopravvivere oggi
nell’usanza (largamente diffusa in Europa, specialmente in Italia, Francia,
Inghilterra e Germania) del ciocco di Natale (bûche de Noel, Yuleblock,
Weinachtsblock) con valore propiziatorio, legato al potere distruttivo ma
purificatore del fuoco, e col valore originario di carattere agrario.
Per noi del 21° secolo ancora oggi Natale è la festa più bella dell’anno.
Sapore di famiglia amore e fraternità.
Infatti come si dice?
Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi.
La sera del 24 dicembre, vigilia, si riuniscono infatti tutte le famiglie:
genitori, figli, nonni, nipoti e nipotini. Calore e colore nelle case
illuminate dall’intermittenza delle luci dell’albero e del Presepio.
Lo scambio dei doni tende a rinnovare o rafforzare i legami familiari e
sociali. Babbo Natale altro non è che la personificazione di questo rito e
va collegato con personaggi simili quali S. Nicola (Santa Claus da Sanctus
Nicolaus, cioè San Nicola di Bari) e la Befana.
In Sicilia, secondo la tradizione, a portare i doni era ‘a vecchia di
Natali, un fantoccio, talvolta un monello, camuffato da donna, che la sera
della vigilia di Natale veniva portato in giro fra strepiti urli e suoni di
corni e campanacci.
In molti paesi d’Europa, specie del centro-nord, i doni sono appesi
all’albero, un grosso ramo d’abete (Weinachtsbaum, Christbaum) pieno di
luci, ghirlande rosse o dorate e tante decorazioni: l’albero rappresenta il
centro rituale della festa con lo stesso valore propiziatorio dell’albero di
maggio. L’origine della tradizione dell’albero è da collocare in Alsazia da
cui provengono testimonianze del sec. XVII che si riferiscono a varie usanze
della città di Strasburgo. Nell’800 l’uso fu introdotto a Parigi presso le
classi aristocratiche. Penetrò quindi in Italia, Danimarca, Svezia,
Norvegia, Russia e trasmigrò perfino in America.
L’usanza del presepio, specie nel sud della nostra penisola, come
rappresentazione e storia della natività, è legata al senso di
partecipazione collettiva e al valore socializzante della festa.
Anche la cena natalizia della vigilia è segno di un festivo collettivo in
quanto il pranzo comune è sempre momento di aggregazione.
Nell’attesa della cena non manca la Tombola con tante risatine e gridolini
di grandi e piccini. In genere il nonno o il papà pesca i numeri e via con
la cabala: 13 la fortuna; 11 le gambe delle donne; 25 Natale; 33 l’anni di
Cristo; 27 lo stipendio; 90 la paura; 17 porta sfortuna; 47: morto che
parla…. e via dicendo.
AMBO! Grida qualcuno. TERNO! Grida un altro. E poi QUATERNA! E poi CINQUINA!
A questo punto, aspettando con ansia chi riuscirà a fare tombola, c’è sempre
chi comincia a chiedere: è uscito l’ottantadue? E un altro: è uscito il 15?
A me mancano solo due numeri! A me ne manca uno!
Infine l’urlo finale del fortunato: TOMBOLA!!!
Il rituale della tavola ben apparecchiata e i profumi che intanto provengono
dalla cucina ti suscitano ricordi antichi, ti fanno sentire ancora bambino.
Odori e sapori, sempre quelli, per tradizione, in ogni paese e città.
Certo, oggi le disponibilità sono maggiori, ma un tempo ci si accontentava
di poco: frittelle di pesce veloce del Baltico, cioè frittelle di baccalà in
abbondanza! Al sud non mancavano le crispelle dolci e salate, cioè frittelle
fatte con farina acqua e sale, potevano essere dolci, cosparse di zucchero o
miele, oppure salate con dentro acciughe sott’olio. In Romania le chiamano
logos. E poi tante mandorle e noccioline tostate e ceci tostati (‘a calia
cotta).
Soprattutto intorno allo Stretto di Messina, sulla tavola non mancava mai e
non manca il pesce veloce del Baltico, però era ed é lo stoccafisso (stock
fish), ovvero u piscistoccu, cioè sempre pesce veloce del Baltico però
stoccato, per cui la traduzione di stock fish in dialetto messinese o
reggino (piscistoccu), sembra più appropriata. Infatti i grandi merluzzi
pescati nei mari del nord- Europa, dopo essere stati sventrati e privati
della testa, vengono appesi ad essiccare fuori al vento e al sole (quando
c’è), per cui s’induriscono diventando come bastoni di legno. Per poterli
cucinare bisogna prima tagliarli e ammollarli in acqua (rinnovata
continuamente) per diversi giorni. Il tipo d’acqua è importante, infatti in
Calabria si dice che lo stocco ammollato sotto l’acqua corrente di Cittanova,
o di Zomaro, è ancora più buono. Per ottenere il baccalà invece i filetti
del pesce veloce del Baltico vengono messi sotto sale e naturalmente poi
ammollati nell’acqua. A Messina è famoso u’ piscistoccu a ghiotta (prima
rosolato in padella nell’olio e così anche le patate) e poi salsa di
pomodoro, cipolla, uvetta, capperi e pinoli. In Calabria invece viene
lessato ed eliminata l’acqua viene condito insieme ai peperoni arrostiti,
aglio e prezzemolo tritati. Oppure cucinato in tortiera al forno: strati di
pesce e di patate (il tutto condito con olio e cosparso di prezzemolo e
aglio tritato), fette di cipolla di Tropea e infine grosse fette di pomodori
cosparse di pane grattugiato mescolato con parmigiano o pecorino più aglio e
prezzemolo tritati. Su molte tavole oggi non mancano le anguille, i
coraggiosi capitoni, una specie ardimentosa che viene dal Mar dei Sargassi.
Percorre una strada immensa prima di arrivare in Italia nelle nostre Valli
di Comacchio. Le anguille risalgono fiumi e torrenti, le si pesca anche a
mille metri d’altitudine. Impiegano poi circa tre anni per riattraversare
l’Atlantico e se riescono ad arrivare di nuovo nel Mar dei Sargassi,
depongono le uova e muoiono.
Nel Purgatorio Dante ci parla della smania che Papa Martino IV aveva per le
anguille di Bolsena e che morì d’indigestione nel 1285. Secondo il Tommaseo
il Papa, prima di mangiarle, le scorticava vive!
In tempi più antichi però il capitone a tavola era un lusso, perciò ci si
accontentava del baccalà e do’ piscistoccu.
Certamente oggi la tavola è più ricca ma forse l’atmosfera non è più quella
di prima, anzi per molti l’arrivo del Natale è solo una seccatura:
E pensa a comprare l’albero e come: vero o finto?
E pensa ad addobbarlo rinnovando gli ornamenti ogni anno;
E pensa a comprare i regali, ti scervelli e non sai mai se riuscirai ad
accontentare tutti;
E pensa all’illuminazione dei balconi con Babbo Natale che scala le pareti
del palazzo per arrivare al tuo balcone;
E pensa a fare la spesa e cosa piace e cosa non piace a quello e a
quell’altro;
E su e giù, entri ed esci dai negozi, spendi un sacco di soldi e non saprai
mai se hai indovinato i gusti di questo e di quello!
E perciò canti: “Mò veni Natali, nun tengu denari….”
Ma no! Solo questo è Natale?
NO! E poi NO!
Natale è Natale e basta, ed è bello così com’é. A tutti piace festeggiarlo e
tutti continueranno a farlo ancora, per secula e seculorum!
Mariella Di Pasquale - dicembre 2013
Piazza Scala - Natale 2013