A centoventi anni dalia fondazione e venti dalla privatizzazione, poco più di dieci dalla fusione in Intesa rimane un gran bisogno di scavare e di capire che cosa è accaduto veramente. E se nel declino della Banca Commerciale fossero già scritte alcune delle ragioni delle difficoltà del sistema Italia, come lascia intendere Romano Prodi nel suo intervento in “La sfida internazionale della Comit”, volume curato per il Mulino dallo storico dell’economia Carlo Brambilla e al quale hanno collaborato anche Carlo Azeglio Ciampi e Andrea Mangila. Il libro, che sarà presentato mercoledì 4 dicembre al Circolo della stampa di Milano, è un’analisi rigorosa e un racconto appassionato sulla banca di Piazza Scala, tanto da suggerire un capitolo dal titolo al capitolo "Frammenti di un discorso bancario". Parafrasare i discorsi amorosi di Roland Barthes non sembrerà azzardato a chi riconosce nella banca «corsara» (la definizione è di Eugenio Scalfari) un modello di innovazione e credito reputazionale, indipendenza dalla politica e altissima managerialità. In questo si la Comit è stata “anomala*, corsara, nel contesto italiano.
Brambilla racconta della strategia di espansione globale della Commerciale
che, fondata nel 1894 da banche germaniche e francesi, aveva nel suo dna la
vocazione internazionale, ripercorre gli anni della presidenza di Raffaele
Mattioli dei suoi successori, tutti interessati a portare l'istituto fuori
dai confini nazionali. Nel dicembre del ‘79 l'allora amministratore
delegato Francesco Cìngano in un’ intervista alla Rai sintetizzava la
missione internazionale con queste parole: «Non certo per esibizionismo
provinciale ma per una difficile scelta di allargare i nostri mercati e su
di essi competere; penso all'obiettivo di partecipare alla crescita
economica ma anche civile della nazione che è il solo modo per trovare il
rapporto di coerenza tra l’esercizio del proprio dovere aziendale e le
spinte, i bisogni, le aspirazioni dell’ambiente in cui si è chiamati a
operare». La Comit si trovò nei primi ‘90 a essere una multinazionale in 42
paesi con un ruolo da leader della corporate finance europea.
All'appuntamento del Mercato unico la banca arrivò con le carte più che in
regola, ma in realtà il suo declino era già iniziato. Per dirla con Prodi,
ai tempi presidente dell’IRI, i “ribelli” erano già stati messi “sotto
controllo”. L’occasione persa si chiamò Irving, la potente banca americana
che la Comit non riuscì a conquistare nel 1988, dopo mesi di trattative e il
lancio di un’Opa. Le cronache dell'epoca spiegarono la sconfitta con la
reazione protezionistica degli Usa che pure rc fu. In realtà, la politica
italiana, erano gli anni del pentapartito, non sostenne la Comit «Nella
politica internazionale — scrive Prodi — quest'atteggiamento costituisce un
messaggio ben preciso: equivale alla licenza di uccidere». La «banca per le
imprese» continuava a godere di grande reputazione all'estero nella
successiva stagione «in chiaroscuro» delle privatizzazioni, secondo il
costituzionalista Manzella, il confronto-scontro è tra due schieramenti: “Un
partito di Mediobanca” e un "partito della Comit", con quest’ultimo che
avrebbe cercato di "contenere dal di dentro l’onnipotenza di Cuccia". A fine
‘90, chiude Brambilla, incapace di assumere un ruolo da leader nella
concentrazione del sistema, la Comit respinse l’offerta di matrimonio con
Unicredit preferendo, poco dopo, accasarsi con la Banca Intesa di Giovanni
Bazoli ben vista da Mediobanca. Nel 2001 l'ultimo atto, la cancellazione dal
listino del titolo Comit
Paola Pica
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N.d.r.: l'articolo è stato inviato da un collega a
Sergio Marini che ha pensato che ci avrebbe fatto piacere leggere (se non
già fatto) un articolo di Paola Piaca sul Corriere della Sera del Dicembre
2013, conservato dal collega ella sua personale bacheca dei “ricordi”
e a lui ricapitato in mano in questi giorni. Così, tanto per ricordarci chi
eravamo!
Piazza Scala
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