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Alcune riflessioni su Atletica Leggera e Doping

 

Il 6 agosto 2012 l’Adnkronos News lancia la seguente agenzia: “Alex Schwazer positivo all’EPO? Non so niente di questa storia, non sono stato informato di niente ed è anche meglio cosi……” Sono le parole di Franco Arese, presidente della FIDAL (Federazione Italiana di Atletica Leggera) che risponde in questo modo alle domande dei giornalisti sulle voci secondo cui l’azzurro escluso dai Giochi di Londra per doping sarebbe Alex Schwazer. Salvo poi condannare successivamente la positività di Schwazer all’EPO commentando “Quella contro il doping è una battaglia giusta, che va fatta. La posizione dell’atletica italiana su questo tema è chiarissima”.

E l’Italia dell’atletica, questa sconosciuta ormai, ha fatto flop a Londra più ancora del criticatissimo settore nuoto. Un vero fallimento quest’Italia dell’atletica leggera, perché l’unico vero papabile alla medaglia oro era proprio il nostro Alex, il cavallo di razza su cui la FIDAL puntava, salvo poi lasciarlo solo nel momento più delicato. Peccato però che nel 2012 il budget per i controlli antidoping sia sceso a 120 mila euro, meno del 20% dello scorso anno. E’ pur vero che il CONI ha tagliato nella stessa misura percentuale del 20% i contributi alla FIDAL che ora ammontano a 5 milioni di euro l’anno, ma il budget della FIDAL resta però altissimo, pari cioè a 17 milioni (ex 21 milioni nel 2011). Il problema è come vengono impiegati tutti questi fondi. Nel 2012 appena 120 mila euro sono stati destinati al settore tecnico alla voce <Progetto Azzurro Londra 2012>!!!! Quasi tre quarti di quei 17 milioni a disposizione delle casse federali servono, invece, a mantenere il funzionamento della <macchina> centrale della FIDAL, quindi strutture, burocrati, funzionari, ecc. ecc. Mentre alle sezioni territoriali, Comitati Regionali e Provinciali, dunque alle società e agli atleti, rimangono solo le briciole. Quindi sempre meno soldi per atleti e tecnici. ma anche per il settore medico e sanitario. Eppure la FIDAL vanta un tessuto sociale nazionale rappresentato da circa 2500 società affiliate e 170 mila tesserati!

Ma, per i non addetti ai lavori, chi è Franco Arese? Agli inizi degli anni ’70 ha stabilito tutti i primati italiani sulle distanze comprese tra gli 800 mt. e i 10000 mt. ed ha vinto una medaglia d’oro agli Europei di Helsinki nei 1500 mt. (3’38”43). E poi? E poi più nulla direbbe qualcuno. Altro che, invece! Arese è da anni il Presidente dell’ASICS Italia nota azienda multinazionale, leader mondiale nel settore del materiale sportivo ormai penetrata capillarmente nel substrato politico-sportivo. Arese fa il suo esordio in giunta CONI votato da presidenti di federazioni di cui egli è munifico sponsor tecnico. Poi, appena eletto nel 2004 alla Presidenza della FIDAL si “preoccupa” di rinnovare il contratto con un nuovo sponsor tecnico, ma per evitare critiche lo fa stipulare tra la FIDAL e l’ASICS Europa. Si trattò di un vero e proprio escamotage per gli allocchi, perché l’ASICS Europa e ASICS Italia sono in pratica coazionisti al 51% e al 49% e, quindi, sostanzialmente sono la stessa cosa e Arese detiene il 49% delle Azioni di ASICS Europa.

Dunque, gli interessi della FIDAL coincidono con quelli dell’ASICS Italia! Altro che conflitto d’interessi!!! E vediamo come.

Nel prossimo mese di dicembre avverrà il rinnovo delle cariche federali e il concetto abbastanza chiaro sarebbe quello che Arese, per decenza, non dovrebbe proprio ricandidarsi, ma le sue ambizioni chiamiamole così (che non coincidono certamente con quelle dell’atletica) sono ben altre! L’atletica italiana ha attraversato in questi ultimi otto anni il periodo più oscuro che si possa ricordare con una dirigenza capace solo dell’ordinaria “amministrazione” inidonea a risolvere le tante problematiche di questa disciplina e capace solo di produrre i risultati peggiori di sempre.

Quanto al doping e alla vicenda Schwazer mi ricollego alle considerazioni discusse in un convegno tenutosi qualche mese addietro a Taranto dove, alla presenza di Pietro Mennea di cui sono onorato di essere amico fraterno da oltre un trentennio, il fenomeno è stato analizzato e dibattuto traendo spunto proprio dal recente libro pubblicato da Mennea “La Grande Storia del Doping”. Spiega il campione olimpico di Mosca “..l’assunzione di sostanze non consentite, farmacologiche o fisiologiche in quantità anomala per incrementare le prestazioni dell’organismo, meglio conosciuta come <doping> è oramai una pratica molto diffusa negli ambienti sportivi. Se fino a ieri il doping era largamente diffuso fra gli atleti professionisti, oggi viene praticato anche a livello amatoriale costituendo così, nella nostra società, un vero e proprio problema per la salute pubblica”. E’ un mercato sul quale è difficile intervenire giuridicamente e Mennea, quando era Parlamentare europeo, si rese promotore di un’iniziativa legata all’introduzione di un’agenzia europea per il controllo del fenomeno. Oggi sono solo cinque le nazioni che hanno introdotto nei rispettivi ordinamenti giuridici una normativa penale sul doping: Italia, Francia, Danimarca, Spagna e Austria. Concludendo il suo intervento, Mennea ha precisato che “....la vendita on line ha amplificato il fenomeno. Da tanti anni studio questa problematica e posso dire che il fenomeno è uno dei problemi a cui lo sport, soprattutto il CIO (Comitato Olimpico Internazionale), deve far fronte se non vuole che tutto il sistema del movimento olimpico cada. Bisogna intervenire su tre aspetti: il gigantismo dell’Olimpiade, il doping e gli illeciti che si verificano in ambito sportivo e che ledono l’immagine e l’etica dello sport. Certamente è un danno alla salute e la mia campagna è soprattutto tesa a far comprendere questo aspetto. Il doping non è solo un problema educativo ma anche politico e di valori: bisogna capire una volta per tutte che non vince chi è più furbo, ma chi è più bravo”. E Alex Schwazer ha detto, infine, la sua. Voleva essere “ancora” il più bravo ma passando attraverso “un aiutino” con l’EPO. Ha vuotato il sacco, si è arreso e consegnato come unico prigioniero di un incubo. Oltre le lacrime e la commozione, perché il doping è una cosa seria ed è anche un reato penale in Italia come abbiamo detto. Ora si tratta solamente di recuperare l’uomo, se mai sarà possibile, ma per questo è necessaria una dirigenza federale “forte”.

 

Fernando Mazzotta - Taranto

9 settembre 2012

 

 

 

 

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Piazza Scala News - settembre 2012