Sulle tracce di Erik il Rosso - All'origine della vita

Appunti di viaggio - nona puntata

 

   Testo e fotografie di Filippo Furia   
 

 

 

Oggi è giorno di trasferimento, raggiungeremo il ghiacciaio Rasmussen con una navigazione lungo i fiordi, dovrebbe essere quindi una giornata tranquilla, quasi di riposo, invece già dal primo mattino strani pensieri si affollano nella mia testa, c’è il pensiero del carico/scarico bagagli, che sono come sempre quasi da rifare, del montaggio campo, della lunga traversata. Durano poco queste nuvolette, poi l’eccitazione comunque di una partenza verso cose nuove prende il sopravvento e con lena si dà inizio alle operazioni “temute” con in aggiunta una doverosa ramazzata ai locali che ci hanno ospitato. Dopo tutto questo lavorio, mentale più che altro, il premio di una sigaretta fumata all’aria fresca del mattino. Come al solito il villaggio ancora dorme, solo qualcuno ha già dato inizio alla sua faticosa e maleodorante giornata, già, oggi sembra essere giorno di raccolta dei “rifiuti organici”, i famosi pozzi delle acque, fortunatamente non c’è alito di vento a diffondere profumi e riesco a sentire nelle mie narici solo l’odore forte della mia gauloise. Colazione, poi attività di gruppo al completo per trasporto carabattole all’imbarcadero, le barche non ci sono ancora e per fortuna il centro commerciale è già in attività, al supermercato quindi per fare qualche scorta di birra (verranno buone sul ghiacciaio) o all’Ufficio postale per un ennesimo squillo, d’altronde bisogna pur sapere che Pigi è arrivato a New York e che i morti italiani, accertati a Sharm, sono per ora 4; ma non è meglio vivere nell’ignoranza staccando tutte le spine?. Arrivano le barche, e stavolta ci va di lusso, una delle due è addirittura cabinata, al timone Pablos, un altro grande cacciatore, chissà se anche lui è un cultore della mano morta, sarebbe importante saperlo, visto che per cavalleria tutte le donne salgono sulla sua barca chiusa. Cominciamo la nostra navigazione lungo l’Ikasartivaq, sulla costa scorrono altri campi di escursionisti, molti hanno con loro i kayak e mi assale un pò di rammarico per non aver potuto anch’io godere di una vogata in questi grandi silenzi, ci sono pochi icebergs e pochissimi ghiacciai lungo questo fiordo, è una stretta gola con pareti che scendono a mare quasi a picco. All’incrocio con il fiordo Angmagssalik, in uno scenario quasi surreale creato da nuvole molto basse, incrociamo una piccola nave, emerge quasi dal nulla con un effetto foto che ci induce a rallentare per poter immortalare questo quadro tutto grigio con questo puntino tutto rosso. Ora dirigiamo la prua verso destra per imboccare il fiordo Ikasaq, per poi entrare ancora in un altro fiordo dal nome già noto, l’Ikateq, ed infine trovare le acque del fiordo Sermiligaq che ci porta da Rasmussen. La navigazione scorre tranquilla, veloce e senza grandi sobbalzi, è vero che gli icebergs sono rari, ma in compenso quando se ne incontra qualcuno è una vera e propria montagna di ghiaccio, sulle sponde catene di montagne non altissime si susseguono senza soluzioni di continuità disegnando con le loro cime un istogramma sinuoso. C’è laggiù ora un monte degno di tal nome, il Sarqakajik, supera certamente i 1000 metri di altitudine, è una meta nella nostra tappa di trasferimento, ai suoi piedi infatti un tempo lontano, ma non lontano nella memoria, vi era una installazione militare americana, un campo base per il rifornimento dei bombardieri che poi scaricavano il loro micidiale carico di morte sulle città della Germania. Fino al 1945 qui c’era un grande andirivieni di B52, ora c’è solo un simbolo macabro di un triste passato dell’uomo, fatto di bidoni vuoti affastellati, senza esagerazione ce ne sono a migliaia, di grandi gru abbandonate all’ ingiuria della ruggine, di un molo per l’attracco delle navi trasporto, ormai solo fantasma; qui sostiamo per fare il nostro lunch. Che dire, in un luogo dove la natura, pur se aspra e dura, é vita, troviamo questo scenario che sa di distruzione e morte, spettrale, che continua a produrre i suoi effetti nefandi, inquinando le preziose falde man mano che il tempo e l’azione degli elementi distrugge ciò che resta, è una testimonianza certo, ma anche un monumento dell’umana stupidità. E’ un momento particolare anche per il nostro compagno di viaggio Silvano, è stato proprio qui che nel salire sulla barca maldestramente è caduto in acqua, salvandosi dal congelamento, ma producendosi ammaccature varie che lo hanno fatto recedere dal suo programma originario della traversata dei ghiacciai, costringendolo così, vecio tra veci e qualche bambina, ad aggregarsi al nostro gruppo. Dopo questo ennesimo makpoint (sta per punto maccarello, almeno per quanto riguarda me) riprendiamo la nostra navigazione, ormai il tragitto che ci resta da compiere non è più lunghissimo, perciò, nonostante il freddo aumenti d’intensità, tutti stanno con il naso fuori per cercare di cogliere con immediatezza la grandiosa immagine frontale del ghiacciaio Rasmussen, che è lì ora, davanti a noi, e l’aspettativa di maestosità è quasi superata dalla realtà, lo scenario d’insieme è fantastico, i colori e il colpo d’occhio eccezionale, siamo stupiti da tanti mirabolanti effetti speciali. Non ci dirigiamo subito verso Rasmussen, dove è previsto il nostro attracco, il nostro programma prevede prima una deviazione.....ci inoltriamo in un braccio laterale piegando a babordo (a sinistra), davanti a noi un altro ghiacciaio, anzi a guardare meglio sono tre, anzi no, è un unico grande ghiacciaio, il Karal, che nel tempo, ritirandosi, ha lasciato scoperte ampie zone di terreno e queste lingue azzurrate che arrivano fino al mare lungo i due lati del fiordo un tempo formavano un blocco unico con il fronte. La sua ampiezza originale doveva essere veramente impressionante, anche ora fa la sua porca figura, ma il fronte è grigio scuro, per trovare colori e forme dobbiamo rivolgere lo sguardo verso le lingue che, aggrovigliate e piene di corrugamenti, si riflettono e si fondono con le acque verdi del mare e l’azzurro del cielo. Dopo questo fuori programma (?) torniamo verso il Rasmussen e ci inchiniamo alla sua bellezza, siamo ai suoi piedi, anche in senso fisico, il fronte è proprio davanti al luogo dove montiamo il campo e possiamo dire che dista un tiro di...fionda. Solita routine per lo scarico bagagli dopo uno sbarco tutto sommato abbastanza agevole, poi scelta del sito dove montare le tende dopo approfondito esame del terreno, marcatura del territorio con deposito dei bagagli, montaggio tenda madre e cucina, infine può sorgere la night house. In poco meno di un’ora tutto è montato, possiamo dedicarci ammirati al Rasmussen, che intanto ha continuato a mandarci i suoi messaggi, non sappiamo se di benvenuto, con brontolii e cupi boati, colpi di frusta e schioppettii tanto da farci quasi credere che anche qui fosse in atto dietro quel grande sipario del fronte una festa patronale con tanto di fuochi di artificio. Che dire poi degli incredibili voli che ognuno spicca con la sua fantasia, c’è chi “vede” là nel fronte una casetta con il suo bel comignolo, chi “vede” in quei pinnacoli una processione di cardinali incappucciati avviarsi in concistoro (il ricordo delle immagini del conclave è ancora vivo nella memoria di qualcuno), chi si accontenta di molto meno e “vede” solo la magnificenza della sua maestosità. E’ francamente non facile trovare, pur nella ricchezza della lingua italiana, un aggettivo che non sia stato già usato, ma, qualunque esso sia, anche nel superlativo più assoluto, mai sarà abusato per descrivere questo ambiente che sarà solo, e sottolineo solo, nostro per i prossimi giorni. Ai verdi e agli azzurri confusi nel bianco del ghiacciaio, fanno da contraltare i toni scuri delle montagne che ci fanno da cornice, la asprezza di un terreno frammisto di rocce e licheni è addolcita dalla melodia, quasi monotona, nel senso di sempre lo stesso tono, dell’immancabile ruscello che scorre a ridosso del nostro campo dai fianchi della montagna. Affascinati da quel richiamo delle chiare, fresche e dolci acque tutti sentiamo un pò l’esigenza di uno sciacquetto, magari veloce, è un momento di relax puro con i piedi a mollo e una sigaretta fra le labbra con un sole splendente che ci riscalda con i suoi raggi. Manca solo una buona tazza di thé, ma a questo provvede subito Andrea, esigenza questa che non è dovuta al freddo, si sta benissimo, pur con tutto questo ghiaccio intorno l’aria è al massimo fresca, si desidera proprio bere un thè a completamento di un quadro da perfetti viaggiatori inglesi. Con il sole man mano degradante un altro elemento cromatico viene ad arricchire il quadro, i riflessi dorati sulle acque formano una galassia di stelline lucenti, mentre sul ghiacciaio i toni diventano sempre più accesi fino a sfumare in certi punti verso un blu quasi elettrico. Pur con gli sguardi distratti ora qua ora là in fondo è sempre lui, Rasmussen, a restare al centro della nostra attenzione, Sergio poi lo marca molto da vicino in attesa di cogliere una spaccatura, un crollo, un capovolgimento di uno dei tanti iceberg che si addensano qui nella cala del fiordo e la conseguente onda, quasi un piccolo tsunami, che tale moto produce. Dai profumi che si diffondono prendiamo atto che Andrea ha aperto le cucine, meglio interessarsi da vicino e, se del caso, dare una mano, c’è in preparazione un risotto con le verdure e, se il profumo non inganna, si annuncia una cena assai gustosa, perchè poi a seguire ci saranno quelle già sperimentate trote salmonate dai sapori deliziosi, sono lì al sole con le loro bocche aperte, già belle così, tanto da meritare una foto. Al “suonare della campana” la pappa è pronta, ma, chissà come, sono già tutti pronti e riuniti sotto la tenda madre in attesa di affondare i cucchiai e le forchette, ciò che prima gli occhi avevano visto e il naso percepito, ora è sapore pieno per i palati; avanza ben poco, tutti, maialine e maialoni, hanno dato il loro migliore contributo allo spazzolamento. Satolli ma sereni, tanto con il cicchetto tour ogni problema eventuale di digeribilità viene a cadere, i sonni saranno tranquilli. Già, la palpebra che diventa sempre più pesante ci fa capire che è arrivata l’ora di andare a nanna, anche se la luce è ancora piena e c’è ancora dietro la montagna visibile uno spicchio di sole, all’orologio locale sono da poco passate le 21, ma per il nostro fuso, ancora un pò confuso, è già notte fonda.

 

Continua

 

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Piazza Scala News - marzo 2011