maestro
concertatore e direttore Juraj Valcuha
(25, 26, 27/2, 6, 8, 9, 11, 12, 13/3) Matteo Beltrami
(1, 2, 3/3)
regia Francesco Micheli
L'opera andata in scena questa sera ha
riproposto un dubbio che mi posi molti anni fa. Conta di
più il titolo e la musica, o gli esecutori della stessa?
Credo che alla fine se l'edizione non è particolarmente
sfortunata, abbia rilevanza soprattutto l'Autore, il
titolo, la musica.
E Bohème ha vinto ancora. Ha vinto commuovendo come al
solito; un poco come commuove Traviata e come molti in
tutto il mondo, tranne che in Giappone, si commuovono
per la Butterfly.
Mettendo a confronto però la prestazione del tenore Sébastien
Guèze con quella della cinese Lilla Lee, gratificati,
come tutti, da moltissimi applausi, un solo isolato
segno di contestazione ha colpito il tenore e non il
soprano che semmai una l'avrebbe meritata.
Rodolfo invece ha cantato: ha risolto la "Gelida manina"
abbassata di tono, con sicurezza, meglio di molti altri
artisti più famosi, osannati e pagati. Poi, se qualche
signore ha nelle orecchie la voce di Pavarotti, o di
Domingo, dovrà attendere un paio di decenni, forse per
ascoltarne di simili.
In ogni caso gli interpreti erano giovani; il direttore
ha diretto e concertato senza infamia e senza lode, ma
ho ascoltato di peggio in Italia, ed anche nella mitica
Germania. Ed il risultato portato a termine l'impegno è
più che accettabile.
Sottolineo comunque che qualche stagione trascorsa, al
Regio, in Torino, l'antipatica ma brava Gheorghiu era
stata un'ottima Mimì. Alagna, attesissimo, aveva
deluso. Poi che molti e soprattutto molte, si sarebbero
suicidati per ottenerne un autografo, appartiene ai
misteri della mitologia moderna. Un fenomeno da lasciare
alle stringate battute di Umberto Eco.
Riprendo da Wilkipedia questa frase : « Più
invecchio, più mi convinco che La bohème è un capolavoro
e che adoro Puccini, il quale mi sembra sempre più
bello. »
(Igor Stravinskij, Venezia 1956).
L'orchestrazione delle partiture pucciniane è perfetta,
di non facile traduzione, ma straordinaria. Il pubblico
lo sente e ne è innamorato: Puccini è tra gli autori più
amati e rappresentati al mondo.
A Venezia hanno cantato bene anche Marcello e Colline.
"Vecchia zimarra" di Luca Dall'Amico francamente mi ha
commosso. Mi è parsa di sentire qualche morbidezza,
qualche sonorità alla Ghiaurov, anche se il paragone è
oggi improponibile. Però, in futuro chissà. La parte di
Musetta non è facile. Poche le interpreti che hanno
saputo essere convincenti, Ricordo la Scotto a New York,
grande interprete anche se la voce non ricordava che
relativamente quella degli anni d'oro, ma l'amore di
Rodolfo deve essere credibile. Non deve solo saper
cantare. A Venezia son mancate entrambe le qualità.
Comunque non sono deluso: Ekaterina Sadovnikova è in
buona compagnia. Può solo migliorare. Nulla di
particolare si può dire sull'allestimento della
Fondazione del teatro, diretto da Francesco Micheli, le
scene sono di Edoardo Sanchi ed i costumi di Silvia
Aymonino.
Curiosa la cornice di neon che sembrava un poco
pacchiana se voleva rappresentare Parigi. Cambi di scena
eleganti ed in un certo senso affascinanti. Nel terzo
atto. Qualche eccesso, ma anche qualche idea buona,
dunque. Per la scena della Taverna i costumi erano
"aggressivi"; donne con strani cappelli, Musetta in
minigonna, appariscente: in linea con i tempi?
Anche in questo caso però il tutto è stato apprezzato.
Magnifiche le luci e come sempre là dove c'è la
professionalità gli italiani sono imbattibili,
fantasiosi, geniali.
Successo incondizionato. Mi dicono buona anche la
registrazione RAI.
Drammatico il messaggio letto all'inizio. Prima
dell'esecuzione dell'inno nazionale. Il decreto
milleproroghe e la cecità di troppi irresponsabili
stanno affondando anche Venezia. Anche perchè il
progetto Mose pare fermo. Quante stagioni si potevano
finanziare senza quei lavori che paiono inutilmente
folli?
Chi deve decidere e capire, chi deve governare ed
organizzare non sembra italiano, nè fantasioso, nè
geniale. Sembra inesperto più che confuso.