Bohème - Venezia 26 febbraio 2011 - Teatro la Fenice

scene in quattro quadri
libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
dal romanzo Scènes de la vie de bohème di Henri Murger
musica di Giacomo Puccini

Mimì Lilla Lee
Musetta Ekaterina Sadovnikova
Beatriz Díaz
Rodolfo Sébastien Guèze
Marcello Seung-Gi Jung - Damiano Salerno
Colline Luca Dall’Amico
Benoît Matteo Ferrara

maestro concertatore e direttore
Juraj Valcuha (25, 26, 27/2, 6, 8, 9, 11, 12, 13/3)
Matteo Beltrami (1, 2, 3/3)

regia
Francesco Micheli
 

L'opera andata in scena questa sera ha riproposto un dubbio che mi posi molti anni fa. Conta di più il titolo e la musica, o gli esecutori della stessa?
Credo che alla fine se l'edizione non è particolarmente sfortunata, abbia rilevanza soprattutto l'Autore, il titolo, la musica.
E Bohème ha vinto ancora. Ha vinto commuovendo come al solito; un poco come commuove Traviata e come molti in tutto il mondo, tranne che in Giappone,  si commuovono per la Butterfly.
Mettendo a confronto però la prestazione del tenore  Sébastien Guèze con quella della cinese Lilla Lee, gratificati, come tutti, da moltissimi applausi, un solo isolato segno di contestazione ha colpito il tenore e non il soprano che semmai una l'avrebbe meritata.
Rodolfo invece ha cantato: ha risolto la "Gelida manina" abbassata di tono, con sicurezza, meglio di molti altri artisti più famosi, osannati e pagati.  Poi, se qualche signore ha nelle orecchie la voce di Pavarotti, o di Domingo, dovrà attendere un paio di decenni, forse per ascoltarne di simili.
In ogni caso gli interpreti erano giovani; il direttore ha diretto e concertato senza infamia e senza lode, ma ho ascoltato di peggio in Italia, ed anche nella mitica Germania. Ed il risultato portato a termine l'impegno è più che accettabile.
Sottolineo comunque che qualche stagione trascorsa, al Regio, in Torino, l'antipatica ma brava Gheorghiu era stata un'ottima Mimì.  Alagna, attesissimo, aveva deluso. Poi che molti e soprattutto molte, si sarebbero suicidati per ottenerne un autografo, appartiene ai misteri della mitologia moderna. Un fenomeno da lasciare alle stringate battute di Umberto Eco.
Riprendo da Wilkipedia questa frase :  

«
 Più invecchio, più mi convinco che La bohème è un capolavoro e che adoro Puccini, il quale mi sembra sempre più bello. »
(Igor Stravinskij, Venezia 1956).

L'orchestrazione delle partiture pucciniane è perfetta, di non facile traduzione, ma straordinaria. Il pubblico lo sente e ne è innamorato: Puccini è tra gli autori più amati e rappresentati al  mondo.
A Venezia hanno cantato bene anche Marcello e Colline. "Vecchia zimarra" di  Luca Dall'Amico francamente mi ha commosso. Mi è parsa di sentire qualche morbidezza, qualche sonorità alla Ghiaurov, anche se il paragone è oggi improponibile. Però, in futuro chissà. La parte di Musetta non è facile. Poche le interpreti che hanno saputo essere convincenti, Ricordo la Scotto a New York, grande interprete anche se la voce non ricordava che relativamente quella degli anni d'oro, ma l'amore di Rodolfo deve essere credibile. Non deve solo saper cantare. A Venezia son mancate entrambe le qualità. Comunque non sono deluso: Ekaterina Sadovnikova è in buona compagnia. Può solo migliorare. Nulla di particolare si può dire sull'allestimento della Fondazione del teatro, diretto da Francesco Micheli, le scene sono di Edoardo Sanchi ed i costumi di Silvia Aymonino. 
Curiosa la cornice di neon che sembrava un poco pacchiana se voleva rappresentare Parigi. Cambi di scena eleganti ed in un certo senso affascinanti. Nel terzo atto. Qualche eccesso, ma anche qualche idea buona, dunque. Per la scena della Taverna  i costumi erano "aggressivi"; donne con strani cappelli, Musetta in minigonna, appariscente: in linea con i tempi? 
Anche in questo caso però il tutto è stato apprezzato. Magnifiche  le luci e come sempre là dove c'è la professionalità gli italiani sono imbattibili, fantasiosi, geniali.
Successo incondizionato. Mi dicono buona anche la registrazione RAI.
Drammatico il messaggio letto all'inizio. Prima dell'esecuzione dell'inno nazionale.  Il decreto milleproroghe e la cecità di troppi irresponsabili stanno affondando anche Venezia. Anche perchè il progetto Mose pare fermo. Quante stagioni si potevano finanziare senza quei lavori che paiono inutilmente folli?
Chi deve decidere e capire, chi deve governare ed organizzare non sembra italiano,  nè fantasioso,  nè geniale. Sembra inesperto più che confuso.

Maurizio Dania - febbraio 2011

 

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