PASQUA

 

   di Piera Favetto   
 

 

Per fortuna ora sono in pensione e non devo più preoccuparmi di andare in giro per il mondo nelle così dette “feste comandate”.

La domanda di rito era: “Dove vai quest’anno a Pasqua?.” ed io ero sempre in difficoltà perché non sapevo che rispondere non potendo dire “Al mare”, come quasi tutti, perché non ho mai amato molto gli assembramenti nei classici luoghi pasquali ovvero i lidi marini. Non trovo gradevole aspirare l’aria di primavera, sentire il sole tiepido sulla pelle, vedere il mare azzurro e non poterci fare un bel tuffo dentro (evidentemente ho pochi geni in comune con gli orsi). Anzi mi ricordo ancora con leggeri tremiti quell’anno in cui, invitati in riviera da amici, ci imbattemmo in una specie di bora che non ci portò via solo grazie alle abbondanti dosi di pranzi e cene consumate.

Avrei potuto dire anche “Una scampagnata” ma per me la scampagnata pasquale è ancora adesso la famosa merenda nei prati che feci tante volte quando ero bimba (ieri, l’altro ieri o secoli fa?).

Ma sì, facciamoci trasportare dall’onda dei ricordi. Si era una discreta combriccola, noi (papà, mamma, due fratelli più grandi ed io) e loro (gli zii ed un cugino maggiore di tutti noi). Tutto era ben programmato. Partenza la mattina presto con il tram, destinazione Sassi, ai piedi di Superga (a Torino c’erano allora solo tram, ma non esageriamo con l’andare indietro nel tempo, non più quelli a cavallo!). Si giungeva dunque ai piedi di Superga, la basilica mirabile opera di Juvarra, fatta costruire dai Savoia in ringraziamento per la liberazione della città dall’assedio del 1706. La basilica, luogo di sepoltura di molti Savoia, si erge su una collina 672 m. di altitudine ed ha un panorama mozzafiato sulla città e sul cerchio di montagne che quasi sempre a Pasqua sono ancora innevate. Dopo i saluti a zii e cugini, il gruppetto si divideva: uomini e ragazzi a piedi, donne e bimba, io, sulla funicolare, una bella opera del 1884 lunga circa 3 km., poi elettrificata nel 1934 e trasformata in cremagliera, ancora oggi funzionante con i bellissimi vagoncini di fine ottocento.

Giunti in cima il gruppo si riuniva, si faceva una devota tappa nella basilica, con tutte le raccomandazioni del caso (pregate, state fermi, non parlate, comportatevi bene). Poi si cercava un angolo di prato, possibilmente non troppo in pendio (cosa non facile sulle pendici di questa collina) ove posare tovaglie, ceste, bottiglie ecc. Doveva anche consentire a noi bambini di giocare con il pallone anche se era assolutamente scontato che prima o poi lo avremmo perduto.

Il menu era sempre analogo negli anni. L’insalata, ma non i pomodori perché troppo presto per il nostro clima (allora il cibo era già a km 0 o se preferite solo a km 0!), la frittata, con variazioni sul tema, cioè di sole uova, con gusti, con erbette e così via, la cotoletta impanata (cioè alla milanese), golosa imbottitura di belle pagnottelle acquistate fragranti dal panettiere (allora erano aperti anche il giorno di Pasquetta al mattino) ed immancabili le uova sode. Per concludere qualche dolcetto casalingo come la torta di mele o il delizioso budino di semolino al cacao. Si beveva l’acqua della fontana, bella fresca e pura, ed i “grandi” un bicchierotto di vino. Lo zio, persona molta simpatica se di buonumore, raccontava qualche barzelletta, naturalmente purgata per le nostre innocenti orecchie, oppure imitava una persona nota o ancora intonava qualche canto al quale ci univamo tutti con grande entusiasmo (non oso pensare a quale fosse il risultato!). Si giocava, si rideva di cose futili, ci si sporcava un poco con l’erba o il terriccio, ricevendo ovviamente una bella ramanzina, e poi al tramonto si tornava tutti insieme lungo la ripida discesa verso la città, il volto arrossato dai passi e dalla stanchezza e gli occhi brillanti di gioia.

Era tanto tempo che non ci ripensavo e mi sono resa conto, a tanti anni di distanza, di quanto eravamo semplici, ingenui e di quanto potevamo essere felici con poche cose e tanto affetto. Ed ho fatto una constatazione: anche oggi molte persone salgono alla Basilica di Superga, chi solo per vederla e chi per fare ancora la merenda nei prati, ma quest’ultimi non sono più i torinesi ma i nuovi arrivati, i tanti romeni, sudamericani e slavi che per un giorno si accomunano per ridere di cose futili e mangiare i loro cibi tipici e talvolta anche le cose della nostra tradizione.

 

Piera

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Piazza Scala News - Pasqua 2010