Eugenio Montale: Mediterraneo (la
poesia di settembre)
Recensione di Vincenzino Barone
tratta dallo spazio Facebook della
BCC dei Comuni Cilentani
Mediterraneo Antico, sono ubriacato dalla voce ch’esce dalle tue bocche quando si schiudono come verdi campane e si ributtano indietro e si disciolgono. La casa delle mie estati lontane, t’era accanto, lo sai, là nel paese dove il sole cuoce e annuvolano l’aria le zanzare. Come allora oggi la tua presenza impetro, mare, ma non più degno mi credo del solenne ammonimento del tuo respiro. Tu m’hai detto primo che il piccino fermento del mio cuore non era che un momento del tuo; che mi era in fondo la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso e svuotarsi cosi d’ogni lordura come tu fai che sbatti sulle sponde tra sugheri alghe asterie le inutili macerie del tuo abisso. E. Montale
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Dei maestri
conclamati del secolo scorso mancava Eugenio Montale nella
nostra limitata rassegna. E’ che ai grandi lirici occorre
accostarsi a piccoli passi, contemplando l’orgogliosa loro
solitudine. Con Ungaretti e Quasimodo, Montale si pose, col
distacco silente che lo caratterizzò, ai vertici dell’ermetismo,
una corrente che trovò ispirazione nella visione aspra ed
essenziale del mal di vivere di un’intera generazione.
Comunicare la realtà, almeno nel modo cerimonioso e
aristocratico della letteratura classica e postromantica, non
era più possibile, dopo che le comunità si erano dilaniate nelle
trincee della ferocia dei conflitti e quando le certezze antiche
si erano sfaldate nella inaspettata precarietà degli individui.
Nato a Genova nel 1896 da una famiglia colta e liberale, si
diplomò ragioniere da autodidatta. Partecipò alla prima guerra
mondiale, facendo con senso del dovere la sua parte. Lavorò poi
a Firenze, diventando nel tempo direttore di un prestigioso
istituto, il Gabinetto scientifico-letterario Vieusseux, che fu
costretto a lasciare per motivi politici (Montale fu
antifascista). Dopo la Seconda Guerra si trasferì a Milano; in
quella Città lavorò quale redattore al “Corriere della Sera” e
morì nel 1981. Di lui ci restano raccolte indimenticabili come
“Ossi di seppia” e un’umiltà che lo portava a restare molto
spesso in un volontario semi-anonimato. Il suo credo infatti è
che l’artista non è un bardo che cerca larghe scene, è piuttosto
una persona semplice che ha un rapporto con le cose concrete e,
come gli altri uomini, percepisce il dolore e l'assurdità del
mondo. Niente messaggi aulici, né soluzioni calate dall’alto,
ma solo il colloquio con una natura definita "scabra,
allucinante" e con le distese d'acqua senza confini che appaiono
dai nostri lidi, nelle quali sentiamo assieme a lui di
confonderci e riconoscerci. Il nostro maestro più sottoesposto
fu, per ironia della sorte, quello che ottenne più
soddisfazioni: nel 1975 ricevette il Nobel, innalzando grazie
alle sua opera l’abituale nostro provincialismo sino al
riconoscimento internazionale. Ricordiamo che, in fin dei conti
e nonostante una certa italica spocchia, solo sei nostri
letterati, su 103, hanno ottenuto tale ambito premio. Conseguì
inoltre numerose lauree ad honorem; fu nominato senatore a vita.
Nel dibattito civile degli anni sessanta sulla necessità
dell'impegno politico degli intellettuali, Montale - senza
schierarsi e senza pagare il prezzo di un nuovo conformismo -
continuò ad essere tra i più letti ed amati nel nostro Paese.
Con il rispetto che dobbiamo alla sua lezione, che è
specialmente lezione stoica di vita, leggiamo assieme a lui
“Mediterraneo”. La similitudine col mare è un bel viatico per
guardare finalmente in noi stessi, nell’azzurra luce settembrina
e, come il mare col suo incessante moto, vogliamo anche noi
rinnovarci e migliorarci. Vincenzino Barone |
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Piazza Scala News - ottobre 2011