Sulle tracce di Erik il Rosso - All'origine della vita
Appunti di viaggio - dodicesima puntata
  Testo e fotografie di Filippo Furia

 

 

Notte tranquilla, più o meno; il vento man mano è finalmente calato e sostituito da alcuni rumori prettamente di segheria, che nessuno riconoscerà mai come propri, pensando sempre che provengano da altri. Ancora assonnati, ci si affretta a fare colazione e a rifare le valigie, max entro le 9 dobbiamo essere giù al molo per imbarcarci alla volta dell’aeroporto di Kulusuk. E’ l’ultima passeggiata tra queste case di legno con i loro colori accesi, tra questa gente che quando ti incrocia immancabilmente ti sorride lanciandoti il suo “Ai”, in questo fantastico scenario della baia di Tassilaq, già, il nostro viaggio è ormai alle battute finali. Siamo in tanti a dover partire, con noi c’è un folto gruppo di francesi (quelli già incontrati all’andata) e un altro di tedeschi, ci affolliamo sugli scogli con i nostri bagagli in attesa delle barche, che fanno fatica a raggiungerci per la presenza di ghiacci nella caletta di attracco e per aggirare i grossi blocchi, che quasi la ostruiscono completamente. All’arrivo i più lesti a salire sono i francesi, poi i tedeschi e infine noi, quasi ad esprimere compiutamente la poca voglia di scrivere la parola fine al nostro viaggio. Sistemati più o meno alla rinfusa gli italiani, in un lento zigzagare le barche riguadagnano il mare “pulito” e puntano decise verso l’uscita della baia protetta di Tassilaq, anzi no, una barca si ferma, ci si rende conto che i pesi sono mal distribuiti e, prima di affrontare il mare aperto, si provvede a trasbordare qualcuno dalle barche più lente alle più veloci. Ora si va e appena fuori ritroviamo il grande fiume di ghiacci che scende da Nord con una teoria infinita di frammenti ora piccoli, ora medi, ora grandi e per noi si riapre la “galleria de los glaciares”, un’ultima rappresentazione di un grande spettacolo, un bis concesso a chi torna nelle grigie metropoli tra smog, scartoffie e stress. Il mare non è proprio forza olio, ma consente una buona navigazione, senza troppi sbalzi, possiamo così ancora bearci dei grandi icebergs, che con i loro colori forti e intensi continuano ad essere fonte di emozioni particolari, le immagazziniamo nella nostra memoria per i giorni che verranno. Il vento è tagliente e, per quanto si sia ben coperti, si fa fatica a restare con lo sguardo fisso in avanti, ogni tanto bisogna girarsi di spalle per lasciare “riposare” un pò gli occhi, la parte che risulta più sensibile al gelo, ma neanche le mani scherzano, eppure sono protette dai guanti, e questo vi dà la chiara sensazione della temperatura da noi percepita oggi e ancor più quella subita ieri. Superato il capo di un promontorio, che mi pare aver individuato sulle carte come Norajik, la navigazione torna ad essere molto tranquilla, siamo entrati in un piccolo fiordo protetto alla fine del quale c’è il villaggio di Kulusuk con il suo aeroporto. Sbarco stile marines con salto e, liberati dall’ingombrante giubbotto salvagente, in marcia verso l’aeroporto alla spicciolata e con passo più o meno affrettato, perchè comincia a scendere una sottile quanto fastidiosa pioggerellina. Nella piccola sala c’è il caos più totale di bagagli e di persone in attesa di fare il check in, i gruppi cercano di mantenersi serrati, ma è molto difficile conquistare un piccolo spazio dove stare in tanti, così ciascuno si arrangia e si sistema come può, altri, i viziosi, tornano all’aperto per fumare, altri danno fondo alle ultime Dkr, acquistando qualche piccolo souvenir al free shop, cicale imprevidenti. Ehi, ma Santaniello e gli altri? Ancora non si vedono, ma stanno arrivando; sono molto curioso di sentire dalla viva voce del protagonista il vissuto nella cultura e nei costumi Inuit, molto più tranquilla la Luciana, che evidentemente sa di non dover temere. Annuncio ritardo, gli aerei non sono ancora partiti da Reykjavik.... armarsi d santa pazienza e aspettare, non c’è proprio nient’altro da fare, anzi no, qualcosa da fare c’è..... andare alla toilette. Avrei voluto riprendere l’arrivo della banda Santaniello, ma quell’improvviso bisogno fisiologico....mi ha tolto la possibilità di questo scoop, e che scoop sarebbe stato, cogliere l’espressione del Santaniello reduce dalle follie di una notte Inuit. Mi devo accontentare delle sue dichiarazioni, ormai misurate perchè alla presenza di Luciana, anche se nel suo dire e non dire si coglie un che di malizioso nel descrivere l’arrivo “nell’igloo”, accolti da una consorte già in sottoveste....... poi ne rimane solo un quadretto di vittimismo, fatto di pane e formaggio contro la nostra balena e la nostra foca. Intanto il tempo scorre veloce, ma non troppo, e degli aerei non c’è traccia, ne devono arrivare ben due; qualcosa sembra muoversi al check in, tutti si affollano, ma la comunicazione che viene data è ... ferale, causa maltempo i voli da Reykjavik sono stati cancellati! .... e ora? Tocca ad Andrea e Rocco trovare una soluzione, il paese è piccolo, i posti letto sono pochi, meglio non restare a piangersi addosso ed attivarsi, i nostri mentori partono così per il villaggio poco distante a cercare una sistemazione per la notte, noi restiamo in attesa all’aeroporto con i cellulari aperti per avere loro notizie e soprattutto per conoscere il costo dell’operazione “notte artica” fuori programma, ora penso sia chiaro il richiamo alle cicale di poc’anzi. Gente che va, gente che viene, gente che porta notizie dal villaggio, dove la ricettività per oltre 50 persone è inesistente, vuoi vedere che ci toccherà ritirare fuori i sacchi a pelo e rimontare le tende?, già, ma le tende sono a Tassilaq, allora bisogna tornare da Robert ed alla Red House? Mentre si intrecciano questi discorsi in un pò tutti i gruppi squilla il cellulare, è Andrea, ci sono stanze in una struttura alberghiera con possibilità anche di cenare a self service, costo dell’operazione circa DKr 800 (un bel 100 euro pro-capite e cena a parte con altri 25 euro, sic! santa carta di credito!), bisogna far presto a decidere, altri potrebbero bloccare le stanze, Andrea preme per la risposta, che di lì a poco arriva ovviamente affermativa per quasi tutto il gruppo. Non ci resta che aspettare l’arrivo di un bus per il trasferimento comodo, quanto meno dei bagagli, poi lento pede sotto un cielo che resta grigio e con nuvole gonfie di pioggia ci avviamo a questo Hotel, che se ci riflettiamo non è neanche tanto caro. Struttura in stile “rorbuer”, in legno color celeste pastello, posizione bella nell’ansa di un piccolo fiordo, nel complesso grazioso (siamo pur sempre al buco del c... del mondo) e le stanze sono accoglienti e caldissime, il che proprio non guasta. C’è chi, imprevidente, si affretta verso il self service, chi, previdente, fa ricorso alle provviste accumulate durante l’ultima 1^ colazione alla Red House, a me quindi spetta una bella e buona scatola di maccarello con tomato. C’è poi chi approfitta subito della doccia e apre un improvvisato negozietto di coiffeur pour dames personale, ma anche a disposizione di un certo pubblico, che alla luce delle recenti “avventure” trova intonato rinnovare il proprio look (vi ricordate Emilia con quel capello vaporoso da quasi
sbarbina?). Che bel caldo in queste stanze, è perfino eccessivo, meglio aprire un pò le finestre soprattutto nelle stanze per fumatori, c’è spazio per un buon caffè, per una sigaretta e, perchè no, per un bel pisolo, alle valigie (che palle!, e scusate la scivolata di bon ton) e ai panni ancora umidi per la pioggia di ieri ci penseremo dopo. Pisolo agréable e al risveglio domanda canonica: che si fa in attesa di cena? Vale senz’altro la pena fare due passi verso il villaggio, godendo del fresco (!) e degli scenari molto belli, che anche questo posto ci sta donando; convocazione del gruppo, ma le defezioni sono tante, a partire da Catterina, che preferisce restarsene a poltrire in attesa di scoprire finalmente l’assassino del suo giallo. Aspettando Emilia, che si unisce a noi e ai Santaniello, sfoggiando in pubblico per la prima volta il suo nuovo look, mi dedico a qualche ripresa e a qualche foto del piccolo fiordo, ha un suo fascino e nella mia memoria ritorna un paesaggio molto simile già visto a Svolvaer nelle Lofoten Islands. Solito bisticcio tra me e Sergio se andare a sinistra o a destra, Sergio chiede e, stavolta, devo arrendermi: ha ragione Lui!, ma è solo un caso; ci avviamo con un passo finalmente da vera passeggiata sotto un cielo che fa onore alla terra artica. C’è un leggero pendio da percorrere e qui incontriamo Silvano di ritorno, che ci dà indicazioni circa il cammino e fregatura, insomma, si scopre che i passi da fare non sono proprio due, forse non ne bastano neanche quattro, gratta, gratta qui c’è sempre una fregatura. Andiamo avanti, spinti dalla curiosità e dal tempo a nostra disposizione, in cima alla salitella un piccolo cimitero pieno di fiori, se non fosse per quelle croci bianche sembrerebbe più un giardino, gli dedico una foto e subito un interrogativo mi assale, ma da dove vengono tutti questi fiori coloratissimi, visto che qui abbiamo visto solo qualche margherita artica?, semplice, vengono dal supermercato, sono fiori finti! In fondo, penso che sia bello il pensiero dei vivi nei confronti dei morti per poter rendere meno triste un luogo, che qualcuno nella sua cultura ama considerare come un giardino, il giardino dei silenziosi!

 

Continua

 

 

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Piazza Scala News - ottobre 2011