UN CERTO GIORNO, A UNA CERTA ORA.....

Da DUEMILA E PIU' n.ro 59, anno 7, 22 settembre 2010
Un vivo ringraziamento a Carmelo Profeta (Ex Comit)

 

Non c'è cosa più bella degli ultimi giorni d’inverno, quando la primavera è già nell’aria e tutto freme come in attesa, "come se, da un momento all'altro, dovesse accadere qualcosa di meraviglioso” pensava Serena, camminando svelta verso l’appuntamento con le amiche, con i lunghi capelli che il vento le rimandava sul viso, quasi impedendole di guardarsi attorno; ma per la fanciulla era bello camminare così, aiutata dal vento. Era come se da un momento all’altro potesse sollevarsi  e volare. Ricordò la madre la quale raccontava che lei da piccola camminava sempre in punta di piedi, come se volasse!
Serena sorrise tra sé: stasera sarebbe rincasata presto per farsi perdonare di essere scappata fuori subito dopo il pranzo e di non averla aiutata.
Al semaforo fu costretta a fermarsi; vicino a lei un ragazzo la guardò e le sorrise spavaldo. Lei notò i capelli arruffati, i brufoli sul viso d’adolescente, i  jeans pieni di firme sul davanti. Perché firme? Potevano essere frasi, chissà. Fu l'ultima cosa cui pensò, con la sua anima dentro il suo corpo dì carne, mentre il vento sembrò arrestarsi e tutto fu sommerso da una luce vivida, accecante, e un calore spaventevole dilagò nell'aria che si trasformò in un mare di fuoco. Serena fu come rapita in un vortice, "mamma" gridò "mamma"!, mentre aveva l’impressione di sgusciare via dal suo corpo come da un involucro e di rimanere nuda, anima atterrita ma lucida, e di vedere se stessa sbattere sul muro dell' edificio al di là della strada, e restarvi, e sparire ma lasciarvi un' impronta, come su una lastra fotografica impressionata. Ella continuò a gridare di terrore nel turbine dì cose che roteavano con lei, nella polvere, nel boato crescente, nella morte.
Ma era morte? Lei vedeva, gridava, sentiva........
Nei secondi che seguirono Serena cercò di restare il più vicino possibile al muro sul quale aveva visto  parire il suo corpo, come se potesse riprenderselo quando tutto fosse finito.
Tremava e non riusciva a cercare di capire cosa succedesse; quanto passò così non avrebbe saputo dirlo, si chiedeva soltanto: è questa la morte?
A poco a poco la nebbia rossa cominciò a diradarsi e poi poté sentire qualcosa, qualcuno piangeva vicino a  lei, un pianto sommesso, una voce roca d’adolescente che gemeva, pensò subito al ragazzo delle firme sui jeans. Lo chiamò, quello tacque, allora gridò forte:
- Sei tu?
Il lamento sì fermò.
- Dove sei? Non ti vedo, tu mi vedi? Sono vivo?
- Non ti vedo, ti sento, sei il ragazzo di poco fa?La bomba! Hanno buttato l’atomica, siamo morti tutti! La bomba! Mio Dio! Allora è vero, siamo morti tutti! Ma io ti sento e vedo ora distruzione e morte attorno a noi, il mio corpo è sul muro e non posso riprenderlo!
- Anche il mio è sparito...
- Stiamo fermi, forse è effetto della bomba, forse tutto passerà.
- Non c 'è nessuno, tranne noi due? Sento altri lamenti, lontani, e, mio Dio, che orribile cielo di fuoco e dì sangue, stasera il sole non potrà tramontare, questo giorno non finirà mai!
- Mia madre! Gridò Serena, cos’ è successo a mia madre?

- E la mia, mio padre, i miei fratelli! Andiamo da loro!

Ma una forza magnetica sembrava impedire loro dì muoversi, e restavano ciascuno come legato al muro sul quale il proprio corpo era stato scagliato dalla violenza dell'esplosione. Ma era solo un muro, non c’era più il palazzo, né gli altri attorno, fino a perdita d’occhio, né macchine, né alberi, né esseri umani, soltanto calcinacci bruciati rossastri, e anche fiamme e fumo nero dappertutto.
Un orribile odore era nell’aria, e quel  lamento fatto di mille lamenti che scandiva il ritmo del tempo che passava.
- Io non credo di essere morta, ma il mio corpo come lo riavrò? Gemette Serena.
- Non riavremo nulla, perché non c’è più nulla.
- Ma spiegami, dove sarà caduta la bomba? Molto vicino a noi, credo, forse in piazza, forse sul corso...
- E ci sono persone vive?
-Non so: tu chi sei? Io sono Dario.
- Io Serena: che faremo?
Ma ad un tratto li vide: avanzavano in massa, trascinandosi, fuggendo, urlando con grida disumane; volti bruciati che nulla avevano di umano, membra insanguinate, quelli erano stati uomini, donne, bambini, sembravano cadaveri informi: o si erano aperte le tombe e tutti i morti erano venuti fuori a gemere e a fuggire con i vivi?
L’orrore fu tale che Serena fece uno sforzo sovrumano per allontanarsi da quello spettacolo dì orrore infinito, e a un tratto si accorse che il vento aveva cominciato a spirare e la sollevava con sé, come una foglia; le sembrava di ricordare una sensazione simile. Ah sì, lei era come gli astronauti che si muovevano nella navicella spaziale, privi di forza di gravità.
Ora doveva tentare di ritrovare la strada di casa; dopo vari tentativi riuscì a mantenersi in una determinata direzione e volò verso la sua famiglia. Era eccitata, ecco che sì era avverato il desiderio dì quando era bambina:  volava. Avrebbe raccontato questo alla mamma. Ma lei l'avrebbe udita?
Cominciò a tremare. Man mano che si allontanava dal luogo dell’esplosione aumentava in lei la paura di non trovarla viva: si accorse che molti edifici erano in piedi, la casa era al lato opposto della città, forse là tutto era come prima. Come prima?
No, niente poteva essere come prima dopo 1' immane catastrofe, dovunque regnava caos e dolore. A un tratto, da lontano, Serena scorse la sua casa, era ancora in piedi; la gioia la fece quasi venire meno, si avvicinò, ma le stanze erano deserte; certo sua madre era corsa in cerca dì lei. Allora entrò nella sua cameretta;  i suoi libri, i suoi pupazzi, la sua bici, sarebbe mai tornata a godere dì queste cose? E i suoi sogni,  le sue speranze...  erano ormai finiti? L’emozione le fece perdere le forze e la coscienza; la scosse dai suoi tristi pensieri un pianto disperato: era sua madre che gridava il suo nome. La vide entrare sorretta dai vicini dì casa, scarmigliata, le vesti strappate, coperta di polvere, i suoi capelli neri tutti bianchi di colpo: tutti piangevano disperatamente e certo non solo per lei la piccola Serena perduta, ma per tante altre vittime di quell’eccidio;  Serena si avvicinò a sua madre con gioia, 1' abbracciò chiamandola per nome, per consolarla con la sua presenza, ma sua madre non si accorse di lei e allora Serena capì che non era visibile per nessuno, era un’ombra anzi meno di un’ ombra, perche questa si intravedeva e lei non era visibile per nessuno, nemmeno per sua madre. Scoppiò in un pianto disperato, ma quale pianto? Le lacrime le si arrestarono in gola, ma quale gola? “I miei occhi, oh poter piangere con te, mamma!” Chi era ormai lei, era morta allora?
Morta... e l’Aldilà dov’era? Ma all’improvviso lei sentì una grande debolezza invaderla, un languore indefinibile e si sentì ignuda, senza il suo corpo di carne; sentì il bisogno vivissimo di riaverlo e uscì dalla sua casa dove nessuno si accorgeva di lei.
Riuscì a ritornare a quel muro e man mano che si avvicinava sentiva che le forze le ritornavano, cercò di fare presto, e di lei c’era solo quell’impronta sul muro sbrecciato.
Si ricordò di Dario.
Lo chiamò, lo chiamò sommessamente con la paura di averlo perduto; le rispose una voce stanca.
- Dario hai trovato i tuoi?
- No, sono morti tutti.
- E noi come siamo?
- Non lo so, ma i miei sono proprio morti,ho visto i loro corpi straziati e anneriti dall’esplosione. Io mi sentivo morire e fuggii per tornare qui; qui sto meglio, forse perché qui ho cessato di essere un uomo vivo. E tua madre?
- E’ viva, piange disperata, ma non mi vede,non mi sente.
- Serena, non lasciamoci, stiamo insieme, eri così bella da viva; dammi la mano.
- Serena quasi urlò: quale mano Dario? Non ho le mie mani, né i miei occhi per piangere.
- Avevo una sorella della tua età; avessi visto com'era ridotta!
- Non parlare più, Dario.
- Se non parlo, impazzisco, resto chiuso in questo nulla di cui non capisco le ragioni; noi in qualche modo siamo vivi, Serena, per un terribile sortilegio dell’atomica, noi siamo ancora legati al nostro corpo. Cosa sarà di noi?
- Non me lo chiedo, ho paura; andiamo via, cerchiamo, voglio ancora erbe e fiori.
 Si allontanarono verso la parte più intatta della città e peregrinarono col vento finché giunsero a un prato verde; c’era un gran silenzio attorno e Serena e Dario si posarono sul prato, sentirono quasi l’umido dell’erba e il profumo dei fiori che nascevano  tra l’erba, era assurdo ma vero.
Serena parlò: “Dario senti il profumo? Forse è solo un ricordo, ma noi vivremo così, d’erba e di fiori, e ogni tanto torneremo a prendere forza dai nostri corpi”.
Vissero molto tempo in quello strano modo d’essere vivi; ogni tanto Serena tornava da sua madre e la trovava spesso seduta davanti alla finestra come se l’aspettasse ancora.
Allora le parlava standole vicina, spesso si sedeva sulle sue ginocchia e le raccontava le sue terribili vicende, le parlava di Dario.
- Mamma, sai che volo davvero? Che ti sono vicina e ti accarezzo?
La madre spesso sorrideva, gli occhi perduti  nel vuoto, chissà a quali dolci ricordi, ma Serena sperava che l’ascoltasse; poi andava via, da Dario: passavano le lunghe notti estive a parlare, ricordare, a volte provavano a cantare; spesso sì sentivano venire meno, e allora tornavano presso i muri dove i loro corpi erano rimasti impressi, e riprendevano le forze.
Un giorno la città decise di tornare a vivere, e di far sparire i segni esteriori dell’immane  tragedia, non potendo fare molto per le piaghe che deturpavano e distruggevano i corpi degli uomini colpiti dalle radiazioni. Sì fecero venire le ruspe e sì cominciò ad appianare tutto per ricostruire. Fu abbattuto il muro contro il quale era stato scagliato Dario, egli intuì che questa era veramente la fine; "Serena addio" gridò mentre sentiva approssimarsi la morte. Ma Serena vagava tra le macerie e non lo sentì; ben presto fu preso di mira dalla ruspa anche il muro dov'era l’impronta del suo corpo. Si sentì venire meno, ma peggio, peggio delle altre volte.  Presa dal terrore guardò il muro che precipitava e “Noo” gridò “non voglio morire, voglio vivere, anche così, d’erba e di  fiori, voglio vivere...”.

MARGHERITA DI MATTIA SANTOCONO

 

 

 

Questa volta, lo scritto di MARGHERITA DI MATTIA SANTOCONO trae ispirazione da un avvenimento ipotetico ma (sperando che mai avvenga) sostanzialmente possibile.
E’ la storia di due giovani che, quasi sfiorandosi per la strada, si incamminano invece verso un destino comune che non potevano di certo immaginare.
La narrazione si svolge quasi a mezz’aria ed equidistante fra fantasia e realtà. Ma è quest’ultima, nella sua crudezza, che alla fine prende il sopravvento.
Si tratta di una favola, amara, dell’epoca in cui il mondo sta vivendo.


Da DUEMILA E PIU' - settembre 2010
 

 

 

 

Segnala questa pagina ad un amico




 

 

 

 

Piazza Scala News - ottobre 2010