Volevamo tentare di capirci qualcosa,
una volta per tutte. Moderno? Vecchio? Antico? Persiano?
Caucasico? Cinese? Quanti nodi per centimetro quadrato? Sarà
davvero lavorato a mano? Quanto può costare?
Volevamo mettere insieme una specie di mappa del tappeto, sulla
quale segnare dei punti fermi. Ma ci siamo accorti che per
sentenziare in questa sconfinata materia non basta armarsi di
pazienza e di volumi specialistici. L'unica cosa da fare è
rivolgersi ad un vero esperto ed annotare umilmente.
Abbiamo scelto Davide Misrachi, che tra i tappeti ci vive da
sempre. È nato in Italia, ma la sua famiglia è originaria di
Costantinopoli, dove il nonno aveva una manifattura, attiva
nella metà dell'Ottocento. Il padre è maestro nel restauro di
tappeti antichi, difficile arte che ha insegnato, nel nostro
paese, a molti degli attuali restauratori. I Misrachi hanno
negozio a Milano (attualmente in Via Rovello 8, a pochi passi
dal Piccolo Teatro) da mezzo secolo.
Moderno, vecchio, antico? Possiamo dire innanzitutto che un tappeto, per essere considerato antico, deve avere almeno cent'anni, e che ne occorrono una cinquantina perché gli spetti la definizione di « vecchio ». Differenze sostanziali di lavorazione non ne esistono. I tappeti vengono tuttora annodati a mano perché, a parte ogni altra considerazione, resta sempre il sistema più economico. Naturalmente la lana non è più filata manualmente e le tinture non sono più vegetali, ma chimiche. Tuttavia esiste al riguardo una severa regolamentazione che impone l'impiego di prodotti di ottima qualità.
Quanto al numero dei nodi, si tratta di un fattore importante, ma non necessariamente determinante. Esistono tappeti bellissimi con annodatura larga e tappeti annodati fittissimi che sono « brutti » per qualità di lana, colori, disegno etc. e quindi meno pregiati.
Nei prezzi esiste
una gamma illimitata. Quello che è certo è che un tappeto orientale resta
sempre un buon investimento. In primo luogo perché lo si gode ed è
praticamente indistruttibile. Quindi perché non invecchia, o meglio,
invecchiando acquista valore.
Il difficile comincia quando si passa alle
classificazioni, ai nomi, visto che a produrre tappeti è un intero
continente (e non soltanto) e che ogni villaggio, ogni tribù, ha battezzato
i suoi tappeti con un nome particolare. L'imbarazzo, naturalmente è
soltanto nostro, non del nostro interlocutore. Egli tiene però a chiarire
che non parleremo del tappeto come di un bene commerciabile e basta. Il
tappeto è un'espressione di gusto e fantasia (per non parlare di tutti gli
altri significati che riveste nel mondo orientale), è la più sincera delle
creazioni di arte « naif ». Lo si sceglie come un quadro: deve innanzitutto
piacere. Perciò il discorso avrà necessariamente l'impronta del suo gusto.
Cominciamo dai tappeti persiani
(Ispahan, Kashan, Kirman, Teheran, Meshed,
Heriz, Gum, Naim, Ramadan, Baktiar, Senneh, Horasan etc).
Non sono quelli che preferisce, ma sa benissimo che per molti sono
addirittura sinonimo di tappeto orientale. Si tratta infatti di una
produzione molto vasta e pregiata, che per la raffinata fantasia delle
composizioni, dalle astratte e simboliche alle figurative, ha incontrato il
gusto occidentale. Il fatto poi che intorno alla metà dell'Ottocento
alcune grosse industrie europee hanno impiantato proprie manifatture in Persia ha molto contribuito alla diffusione nel mondo del tappeto persiano.
Parlando di industrializzazione, comunque, quando si tratta di tappeti orientali, si intende semplicemente riferirsi ad una concentrazione di tipo amministrativo in quanto la produzione procede nei consueti modi ed è sempre esclusivamente manuale.
I tappeti dell'Asia Minore (Ghiordes, Kula, Melas, Sivas, Hereke, Pergamo, Sparta, Ladik, etc.) si differenziano dai persiani soprattutto per le caratteristiche della semplicità e della spontaneità. I popoli dell'Asia Minore, dell'Altipiano Anatolico, sono in prevalenza pastori nomadi. Lavorano d'istinto, ripetendo con varianti spontanee e casuali i motivi tradizionali, per lo più geometrici e geometrizzanti. Non si propongono di superare se stessi con creazioni sempre più « belle », come accade per i « persiani », perciò producono, forse senza saperlo, capolavori di elegante semplicità. D'altra parte, anche l'Asia Minore ha dato tappeti raffinatissimi. L'Impero Ottomano aveva proprie manifatture, dalle quali uscivano capolavori, addirittura « firmati » (Hereke).
L'influenza
dell'ambiente sulla creatività e l'inventiva trova la sua più vistosa
conferma nei tappeti caucasici, inconfondibili per la vivacità delle tinte
e per l'arditezza dei motivi
(Kasak, Shirvan, Karabak, Daghestan, Sumak,
Kuba, etc).
Vere composizioni astratte,
sono espressione della fantasia forte e primitiva di gente che conduce
un'esistenza particolarmente dura e difficile, in un ambiente naturale di
aspre montagne. Tra la produzione caucasica fino agli anni della
rivoluzione russa — pezzi bellissimi, interamente lavorati in lana (ordito
e trama) e tutti con colori vegetali —
e quella che attualmente va sotto lo stesso nome esiste uno stacco
notevolissimo di qualità.
Dei tappeti
dell'Asia centrale sono conosciuti soprattutto i
Buharà,
col loro
classico motivo ad ottagoni color avorio su fondo rosso scuro e, esempio
curioso, i
Samarkanda,
di qualità poco
pregiata per materiale e lavorazione, che tuttavia sono rari e
ricercatissimi per la eccezionale bellezza di colori e motivi.
Per concludere
questa rassegna necessariamente affrettata, un accenno anche alla
produzione indiana e cinese, che vanta antiche tradizioni ed ha creato pezzi
molto belli. Al presente è, in genere, un po' scaduta, ma sempre a buon
livello artigianale. Meritano di essere ricordati tra la produzione moderna
i tappeti del
Pakistan,
compatti e finemente
annodati.
Osservando nel negozio di Misrachi le ordinate cataste dì tappeti, ci
chiediamo se sono antichi oppure no e come sono giunti fin qui.
Di nuovi ce ne sono
pochi, perché per un appassionato di questa antica, civilissima forma,
d'arte, non c'è nulla di più affascinante che la ricerca di pezzi pregiati.
Ma è una ricerca sempre più difficile. Fino a non molti anni
fa i tappeti vecchi e antichi si raccoglievano direttamente nei
luoghi di origine e a prezzi « d'occasione
». Ma questa è una fonte in via di
estinzione. Ci sono le aste, ma è un sistema di vendita che in Italia non ha
le caratteristiche e le dimensioni che presenta altrove.
C'è stata poi l'ondata dei tappeti... americani. Un fenomeno singolare che val la pena di citare. Migliaia di bellissimi tappeti orientali, vecchi e antichi, che nell'ultimo dopoguerra l'avvento della moquette aveva sfrattato dalle abitazioni USA e che giunsero in Europa a prezzi da rottame o quasi. Hanno alimentato i nostri mercati per oltre un decennio.
Consigli pratici per la manutenzione?
Tener bene un
tappeto orientale non è difficile. Più ci si cammina su e più bello diventa.
Quanto alla pulizia, benissimo aspirapolvere e battitappeto, ma niente
battipanni. Per il lavaggio, meglio affidarsi a ditte specializzate,
assicurandosi che venga eseguito con acqua e sapone nelle apposite macchine
che non lo « maltrattano », cosa
che invece fanno le comuni macchine di tintoria, oltre ad impiegare
detergenti chimici, che sono meno adatti. C'è poi una semplicissima cura di
bellezza per ridare morbidezza al pelo quando è un po' ammaccato: una
nebulizzazione (con un comune spruzzatore da insetticida) di una miscela in
parti uguali di acqua e aceto bianco, seguita da una energica strigliata con
una scopa di saggina.
Chiusura in sordina, un po' alla casalinga.
Ci è sembrata la più adatta a ricondurci al nostro ruolo di semplici
portavoce. Anche se, a questo punto, ci sentiamo davvero un po' meno
sprovveduti in materia di tappeti.
È una bella fortuna, però, che per ogni faccia del conoscibile si riesca sempre a trovare qualcuno che ne sa molto più di noi. Così, quando occorre...
Un po' di storia
Non si conservano esemplari di tappeti orientali più antichi
di quattro o cinque secoli. Tuttavia si hanno notizie certe
dell'esistenza di tessuti da terra e da parete fino in
epoche remote. La tessitura dei primi tappeti deve essere
infatti legata alla comparsa del telaio, già noto in Egitto
3000 anni prima di Cristo.
Il tappeto non è per gli orientali un
semplice oggetto di ornamento. È in molti casi l'unico
arredo della casa, dove funge da letto, da cuscino, da
divano, da portiera etc.; è oggetto sacro destinato alle
tombe, ai templi, alle moschee. Si carica di valori
simbolici e rituali, diviene espressione di religiosità.
Pur assolvendo a tante funzioni, il tappeto
è in origine un semplice tessuto. L'annodatura vera e
propria, all'incirca quella usata tuttora, nasce nel
Turkestan circa duemila anni fa. In prevalenza pastori
nomadi, i Turcomanni sentirono evidentemente la necessità di
rendere più solido questo oggetto di arredo, che era poi
tutta la loro casa e costituiva persino la sacca nella quale
radunavano le masserizie nei loro spostamenti. Il nomade
filava la lana camminando, durante le marce di
trasferimento. Al lavoro dì tintura della lana stessa,
compito delicatissimo, si dedicavano gli uomini nei periodi
di sosta, mentre alle donne era affidata la tessitura vera
e propria dei tappeti.
Furono dunque i Turcomanni, coi loro
continui spostamenti, a diffondere in tutto l'Oriente il
sistema dell'annodatura. Quanto alla tintura, la si
considerava un'arte, dei cui segreti ognuno andava geloso,
cosicché molti ne sono andati perduti.
L'arte del tappeto vive attraverso i secoli
in tutto l'Oriente, uscendo indenne da guerre e invasioni e
raggiungendo talora vertici di splendore. In Persia, ad
esempio, intorno al sec. XVI, durante il munifico regno di
Abbas il Grande, nascono tappeti intessuti d'oro, d'argento,
di seta e persino ornati di perle e di pietre preziose.
I tappeti orientali si fanno apprezzare
anche in Occidente, già all'epoca dell'Impero Romano. Gli
scambi di artisti ed artigiani tra i vari paesi fanno sì che
ogni produzione sì arricchisca di nuovi motivi ornamentali,
ma le caratteristiche fondamentali delle creazioni di ogni
popolo sono ormai codificate.
Si può dire che l'arte del tappeto sì
mantiene « pura » sino al sec. XVIII, poi, dopo un periodo
di relativo abbandono, trova nuovo impulso nel 1800, ma in
forma più massiccia, « industrializzata », sotto la spinta
delle crescenti richieste del mercato occidentale. Compaiono
le tinture sintetiche, la filatura della lana viene
meccanizzata, si abbandona la motivata precauzione di
utilizzare soltanto lana di animali vivi, che conferisce ai
tappeti una diversa lucentezza, rendendoli più durevoli e
inattaccabili dalle tarme. Anche i disegni e i formati si
adattano alle esigenze ed al gusto occidentale. Si chiude
così per il tappeto d'Oriente la mitica età dell'oro.
Continua tuttavia una produzione che, pur nell'enorme
varietà di tipi e qualità, crea tuttora pezzi degni della
sua secolare, prestigiosa tradizione.
Tappeto figurale
Ispahan
(Persia) della Coll. Misrachi
-Milano. Risale alla seconda metà dell'800 e vi sono riprodotte le
immagini di Fathalì Scià (al centro) e di altri personaggi (nei
medaglioni) oltre ad alcuni versi di Omar El Kajan.
|
Tappeto Kashan (Persia). Si tratta di un pezzo antico e rarissimo. Interamente lavorato in seta (ordito e trama) e a rilievo. Nella produzione persiana, anche per quanto riguarda i tappeti con vello di lana, l'ordito è generalmente in cotone. Quelle popolazioni non sono nomadi ed hanno quindi la possibilità di dedicarsi, oltre che alla pastorizia, anche alle coltivazioni. |
« Preghiera
» Mujur
(Anatolia): risale alla prima metà
dell'800
|
Tappeto Gum (Persia) di produzione moderna (30 anni circa), finemente annodato e con motivi intonati al gusto occidentale. |
« Preghiera
» Melas
(Asia Minore). È un ben conservato
pezzo del '700. La « nicchia » molto allungata è classica dei
tappeti di questa produzione |
« Preghiera » Sirvan (Caucaso) del 1880 circa. Si tratta di un bell'esemplare, anche per la particolarità del formato (cm. 155 x 145), quasi quadrato. È interamente lavorato in lana (ordito e trama) come tutta la produzione caucasico.
|
Tappeto Feragan (Persia): epoca 1850 circa. È un prezioso esemplare dall'annodatura fittissima. Il motivo stilizzato che si ripete su tutta la superficie è detto dei « cipressi». |
Esemplari della Collezione Misrachi Milano |
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Il presente articolo - di Edda Cucè e del compianto Roberto
Amadasi - è tratto dal NOTIZIARIO - PERIODICO DEL CIRCOLO PER IL
PERSONALE DELLA BANCA COMMERCIALE ITALIANA numero 57 dell'ottobre 1974, anno
X. Il periodico, splendida pubblicazione cui rivolgiamo il nostro plauso e a
nostro giudizio nettamente superiore al successivo TEMPOCOMIT, veniva realizzato
con la collaborazione esclusiva di dipendenti e pensionati della Banca.
Piazza Scala - settembre 2009