I FAVOLOSI TAPPETI D'ORIENTE
Edda Cuce' - Roberto Amadasi

 

 

Volevamo tentare di capirci qualcosa, una volta per tutte. Moderno? Vecchio? Antico? Persiano? Caucasico? Cinese? Quanti nodi per centimetro quadrato? Sarà davvero lavorato a mano? Quanto può costare?
Volevamo mettere insieme una specie di mappa del tappeto, sulla quale segnare dei punti fermi. Ma ci siamo accorti che per sentenziare in questa sconfinata materia non basta armarsi di pazienza e di volumi specialistici. L'unica cosa da fare è rivolgersi ad un vero esperto ed annotare umilmente.
Abbiamo scelto Davide Misrachi, che tra i tappeti ci vive da sempre. È nato in Italia, ma la sua famiglia è originaria di Costantinopoli, dove il nonno aveva una manifattura, attiva nella metà dell'Ottocento. Il padre è maestro nel restauro di tappeti antichi, difficile arte che ha insegnato, nel nostro paese, a molti degli attuali restauratori. I Misrachi hanno negozio a Milano (attualmente in Via Rovello 8, a pochi passi dal Piccolo Teatro) da mezzo secolo.
 

 

 

    

       Moderno, vecchio, antico? Possiamo dire innanzi­tutto che un tappeto, per essere considerato antico, deve avere almeno cent'anni, e che ne occorrono una cinquantina perché gli spetti la definizione di « vecchio ». Differenze sostanziali di lavorazione non ne esistono. I tappeti vengono tuttora annodati a mano perché, a parte ogni altra considerazione, resta sempre il sistema più economico. Naturalmente la lana non è più filata manualmente e le tinture non sono più vegetali, ma chimiche. Tuttavia esiste al riguardo una severa regolamentazione che impone l'impiego di prodotti di ot­tima qualità.

       Quanto al numero dei nodi, si tratta di un fattore importante, ma non necessariamente determinante. Esistono tappeti bellissimi con annodatura larga e tappeti annodati fittissimi che sono « brutti » per qualità di lana, colori, disegno etc. e quindi meno pregiati.

Nei prezzi esiste una gamma illimitata. Quello che è certo è che un tappeto orientale resta sempre un buon investimento. In primo luogo perché lo si gode ed è praticamente indistruttibile. Quindi perché non invecchia, o meglio, invecchiando acquista valore.
       Il difficile comincia quando si passa alle classificazioni, ai nomi, visto che a produrre tappeti è un intero continente (e non soltanto) e che ogni villaggio, ogni tribù, ha battezzato i suoi tappeti con un nome particolare. L'imbarazzo, naturalmente è soltanto nostro, non del nostro interlocutore. Egli tiene però a chiarire che non parleremo del tappeto come di un bene commerciabile e basta. Il tappeto è un'espressione di gusto e fantasia (per non parlare di tutti gli altri significati che riveste nel mondo orientale), è la più sincera delle creazioni di arte « naif ». Lo si sceglie come un quadro: deve innanzitutto piacere. Perciò il discorso avrà necessariamente l'impronta del suo gusto.

       Cominciamo dai tappeti persiani
(Ispahan, Kashan, Kirman, Teheran, Meshed, Heriz, Gum, Naim, Ramadan, Baktiar, Senneh, Horasan etc). Non sono quelli che preferisce, ma sa benissimo che per molti sono addirittura sinonimo di tappeto orientale. Si tratta in­fatti di una produzione molto vasta e pregiata, che per la raffinata fantasia delle composizioni, dalle astratte e simboliche alle figurative, ha incontrato il gusto occidentale. Il fatto poi che intorno alla metà dell'Ottocento alcune grosse industrie europee hanno impiantato proprie manifatture in Persia ha molto contribuito alla diffusione nel mondo del tappeto persiano.

Parlando di industrializzazione, comunque, quando si tratta di tappeti orientali, si intende semplicemente riferirsi ad una concentrazione di tipo amministrativo in quanto la produzione procede nei consueti modi ed è sempre esclusivamente manuale.

I tappeti dell'Asia Minore (Ghiordes, Kula, Melas, Sivas, Hereke, Pergamo, Sparta, Ladik, etc.) si differenziano dai persiani soprattutto per le caratteristiche della semplicità e della spontaneità. I popoli dell'Asia Minore, dell'Altipiano Anatolico, sono in prevalenza pastori nomadi. Lavorano d'istinto, ripetendo con varianti spontanee e casuali i motivi tradizionali, per lo più geometrici e geometrizzanti. Non si propongono di superare se stessi con creazioni sempre più « belle », come accade per i « persiani », perciò producono, forse senza saperlo, capolavori di elegante semplicità. D'altra parte, anche l'Asia Minore ha dato tappeti raffinatissimi. L'Impero Ottomano aveva proprie manifatture, dalle quali uscivano capolavori, addirittura « firmati » (Hereke).

L'influenza dell'ambiente sulla creatività e l'inventiva trova la sua più vistosa conferma nei tappeti caucasici, inconfondibili per la vivacità delle tinte e per l'arditezza dei motivi (Kasak, Shirvan, Karabak, Daghestan, Sumak, Kuba, etc). Vere composizioni astratte, sono espressione della fantasia forte e primitiva di gente che conduce un'esistenza particolarmente dura e difficile, in un ambiente naturale di aspre montagne. Tra la produzione caucasica fino agli anni della rivo­luzione russa — pezzi bellissimi, interamente lavorati in lana (ordito e trama) e tutti con colori vegetali — e quella che attualmente va sotto lo stesso nome esiste uno stacco notevolissimo di qualità.
       Dei tappeti dell'Asia centrale sono conosciuti soprattutto i
Buharà, col loro classico motivo ad ottagoni color avorio su fondo rosso scuro e, esempio curioso, i Samarkanda, di qualità poco pregiata per materiale e lavorazione, che tuttavia sono rari e ricercatissimi per la eccezionale bellezza di colori e motivi.
       Per concludere questa rassegna necessariamente affrettata, un accenno anche alla produzione indiana e cinese, che vanta antiche tradizioni ed ha creato pezzi molto belli. Al presente è, in genere, un po' scaduta, ma sempre a buon livello artigianale. Meritano di essere ricordati tra la produzione moderna i tappeti del
Pakistan, compatti e finemente annodati.
       Osservando nel negozio di Misrachi le ordinate cataste dì tappeti, ci chiediamo se sono antichi oppure no e come sono giunti fin qui.

       Di nuovi ce ne sono pochi, perché per un appassionato di questa antica, civilissima forma, d'arte, non c'è nulla di più affascinante che la ricerca di pezzi pregiati. Ma è una ricerca sempre più difficile. Fino a non molti anni fa i tappeti vecchi e antichi si raccoglievano direttamente nei luoghi di origine e a prezzi « d'occasione ». Ma questa è una fonte in via di estinzione. Ci sono le aste, ma è un sistema di vendita che in Italia non ha le caratteristiche e le dimensioni che presenta altrove.

C'è stata poi l'ondata dei tappeti... americani. Un fenomeno singolare che val la pena di citare. Migliaia di bellissimi tappeti orientali, vecchi e antichi, che nell'ultimo dopoguerra l'avvento della moquette aveva sfrattato dalle abitazioni USA e che giunsero in Europa a prezzi da rottame o quasi. Hanno alimentato i nostri mercati per oltre un decennio.

Consigli pratici per la manutenzione?

Tener bene un tappeto orientale non è difficile. Più ci si cammina su e più bello diventa. Quanto alla pulizia, benissimo aspirapolvere e battitappeto, ma niente battipanni. Per il lavaggio, meglio affidarsi a ditte specializzate, assicurandosi che venga eseguito con acqua e sapone nelle apposite macchine che non lo « maltrattano », cosa che invece fanno le comuni macchine di tintoria, oltre ad impiegare detergenti chimici, che sono meno adatti. C'è poi una semplicissima cura di bellezza per ridare morbidezza al pelo quando è un po' ammaccato: una nebulizzazione (con un comune spruzzatore da insetticida) di una miscela in parti uguali di acqua e aceto bianco, seguita da una energica strigliata con una scopa di saggina.
       Chiusura in sordina, un po' alla casalinga. Ci è sembrata la più adatta a ricondurci al nostro ruolo di semplici portavoce. Anche se, a questo punto, ci sen­tiamo davvero un po' meno sprovveduti in materia di tappeti.

È una bella fortuna, però, che per ogni faccia del conoscibile si riesca sempre a trovare qualcuno che ne sa molto più di noi. Così, quando occorre...

 

 

Un po' di storia 

       Non si conservano esemplari di tappeti orientali più antichi di quattro o cinque secoli. Tuttavia si hanno notizie certe dell'esistenza di tessuti da terra e da parete fino in epoche remote. La tessitura dei primi tappeti deve essere infatti legata alla comparsa del telaio, già noto in Egitto 3000 anni prima di Cristo.
       Il tappeto non è per gli orientali un semplice oggetto di ornamento. È in molti casi l'unico arredo della casa, dove funge da letto, da cuscino, da divano, da portiera etc.; è oggetto sacro destinato alle tombe, ai templi, alle moschee. Si carica di valori simbolici e rituali, diviene espressione di religiosità.
       Pur assolvendo a tante funzioni, il tappeto è in origine un semplice tessuto. L'annodatura vera e propria, all'incirca quella usata tuttora, nasce nel Turkestan circa duemila anni fa. In prevalenza pastori nomadi, i Turcomanni sentirono evidentemente la necessità di rendere più solido questo oggetto di arredo, che era poi tutta la loro casa e costituiva persino la sacca nella quale radunavano le masserizie nei loro spostamenti. Il nomade filava la lana camminando, durante le marce di trasferimento. Al lavoro dì tintura della lana stessa, compito delicatissimo, si dedicavano gli uomini nei periodi di sosta, mentre alle donne era affidata la tessitura vera e propria dei tappeti.
       Furono dunque i Turcomanni, coi loro continui spostamenti, a diffondere in tutto l'Oriente il siste­ma dell'annodatura. Quanto alla tintura, la si considerava un'arte, dei cui segreti ognuno andava geloso, cosicché molti ne sono andati perduti.
       L'arte del tappeto vive attraverso i secoli in tut­to l'Oriente, uscendo indenne da guerre e invasioni e raggiungendo talora vertici di splendore. In Persia, ad esempio, intorno al sec. XVI, durante il munifico regno di Abbas il Grande, nascono tappeti intessuti d'oro, d'argento, di seta e persino ornati di perle e di pietre preziose.
       I tappeti orientali si fanno apprezzare anche in Occidente, già all'epoca dell'Impero Romano. Gli scambi di artisti ed artigiani tra i vari paesi fanno sì che ogni produzione sì arricchisca di nuovi motivi ornamentali, ma le caratteristiche fondamentali delle creazioni di ogni popolo sono ormai codificate.
       Si può dire che l'arte del tappeto sì mantiene « pura » sino al sec. XVIII, poi, dopo un periodo di relativo abbandono, trova nuovo impulso nel 1800, ma in forma più massiccia, « industrializzata », sotto la spinta delle crescenti richieste del mercato occidentale. Compaiono le tinture sintetiche, la filatura della lana viene meccanizzata, si abbandona la motivata precauzione di utilizzare soltanto lana di animali vivi, che conferisce ai tappeti una diversa lucentezza, rendendoli più durevoli e inattaccabili dalle tarme. Anche i disegni e i formati si adattano alle esigenze ed al gusto occidentale. Si chiude così per il tappeto d'Oriente la mitica età dell'oro. Continua tuttavia una produzione che, pur nell'enorme varietà di tipi e qualità, crea tuttora pezzi degni della sua secolare, prestigiosa tradizione.

 

 

Galleria di immagini (click sulle miniature per ingrandirle)

 

Tappeto figurale Ispahan (Persia) della Coll. Misrachi -Milano. Risale alla seconda metà dell'800 e vi sono riprodotte le immagini di Fathalì Scià (al centro) e di altri personaggi (nei medaglioni) oltre ad alcuni versi di Omar El Kajan.
 
 
 

Tappeto Kashan (Persia). Si tratta di un pezzo antico e rarissimo. Interamente lavorato in seta (ordito e trama) e a rilievo. Nella produzione persiana, anche per quanto riguarda i tappeti con vello di lana, l'ordito è generalmente in cotone. Quelle popolazioni non sono nomadi ed hanno quin­di la possibilità di dedicarsi, oltre che alla pastorizia, anche alle coltivazioni.

« Preghiera » Mujur (Anatolia): risale alla prima metà dell'800
 
 
 
 
 

 

Tappeto Gum (Persia) di produzione moderna (30 anni circa), finemente annodato e con motivi intonati al gusto occidentale.

« Preghiera » Melas (Asia Mi­nore). È un ben conservato pezzo del '700. La « nicchia » molto allungata è classica dei tappeti di questa produzione

« Preghiera » Sirvan (Caucaso) del 1880 circa. Si tratta di un bell'esemplare, anche per la particolarità del formato (cm. 155 x 145), quasi quadrato. È interamente lavorato in lana (ordito e trama) come tutta la produzione caucasico.

 

Tappeto Feragan (Persia): epoca 1850 circa. È un prezioso esemplare dall'annodatura fittissima. Il motivo stilizzato che si ripete su tutta la superficie è detto dei « cipressi».

Esemplari della

Collezione Misrachi Milano
(foto Polo)

 

 

 

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Il presente articolo - di Edda Cucè e del compianto Roberto Amadasi -  è tratto dal NOTIZIARIO - PERIODICO DEL CIRCOLO PER IL PERSONALE DELLA BANCA COMMERCIALE ITALIANA numero 57 dell'ottobre 1974, anno X. Il periodico, splendida pubblicazione cui rivolgiamo il nostro plauso e a nostro giudizio nettamente superiore al successivo TEMPOCOMIT, veniva realizzato con la collaborazione esclusiva di dipendenti e pensionati della Banca.
Piazza Scala - settembre 2009