Normandia
quarant'anni dopo
Non è solo una regione della Francia. Normandia è anche un nome che evoca
il ricordo del momento più cruciale della seconda guerra mondiale. Sulle sue
coste fu compiuto lo sbarco delle forze alleate per risolvere la guerra.
L'impresa, ormai entrata nella leggenda, riporta alla memoria dei non più
giovani immagini di
paracadutisti e marines all'assalto della fortezza Europa, per aprire un
secondo fronte contro i tedeschi. Un esercito con mezzi meccanizzati, carri
armati e cannoni trasportato da una flotta immensa per quello che fa
definito il più grande sbarco militare della storia.
Un miracolo di potenza ed organizzazione logistica, animate da una forte
motivazione ideale. Gli interessi, i calcoli politici le grandi strategie
economiche furono per quel "giorno più lungo", tanto bene descritto da un
celebre film, superati da un diapason ideale oggi un poco appannato:
innalzare in Europa la bandiera della libertà.
Letture e films ci hanno tramandato immagini di varie fasi, come per rendere
più comprensibile un avvenimento troppo complesso, da poter cogliere solo
esaminandone vari spezzoni. Così ci sono stati resi noti episodi, a volte di
scarso rilievo nel grande quadro della battaglia, ma tutti insieme
concorrenti ad una epopea.
Come quei paracadutisti lanciati nella notte prima dello sbarco alle spalle
dei tedeschi e sospinti dal vento per ironia della sorte, su St-Mère-Eglise
dove i tedeschi già erano in allarme per un incendio, con le campane
dell'unica chiesa nella piazza centrale del paese che suonavano a distesa.
All'apparire dei bianchi paracaduti nel cielo illuminati dalle
fotoelettriche, i tedeschi non avevano dovuto far altro che attendere che
fossero a tiro per mitragliarli prima che riuscissero a toccare il sagrato
della chiesa. O come episodi di pattuglie di paracadutisti che avevano preso
terra intorno a St-Mère-Eglise e che si scontrarono nella notte con quelle
tedesche, nella campagna piena di alberi e siepi. I soldati alleati avevano
in dotazione una specie di "nacchera" che emetteva un suono particolare.
Avanzavano solo dopo essersi accertati che, al richiamo di quel prezioso
strumento, da dietro gli alberi vicini venisse la tranquillante risposta di
egual suono.
Piccoli infiniti particolari di una battaglia complessa, combattuta casa per
casa, cespuglio per cespuglio e nel quale ogni errore era pagato con la
vita.
All'alba del 6 giugno 1944 sulla Manica, di fronte alla costa che va da
Quinèville a Lion-sur-Mer si presentarono circa 4300 navi traghetto, oltre
720 navi da guerra ed un numero incalcolabile di mezzi da sbarco.
L'operazione fu appoggiata da 11.000 aerei.
Si fa fatica ad immaginare quella flotta dinanzi ad un solo tratto della
costa per quanto assai ampio. Come un ariete che colpisce in un punto della
fortezza, concentrandovi tutta la sua forza per aprire una breccia.
In auto, in una limpida mattina di giugno, lasciata alle nostre spalle
Angers, puntammo verso Nord lungo il rettifilo che porta a Laval. Era un
susseguirsi di salite e discese su un'unica linea tracciata fra due filari
di alberi. Dopo la concitata circolazione che avevamo sperimentata ad Angers
ed ancor più a Tours, la quasi totale solitudine in cui il nostro viaggio si
svolgeva ci sembrò un rilassante miracolo. La nostra attenzione fu ben
presto attratta da alcune colonnine, che ad intervalli fiancheggiavano la
strada. Erano alte e massicce, poste su una larga base color azzurro. Vi era
ricavato in rilievo la forma di una fiaccola e sopra di essa era riportata
una numerazione chilometrica che non ci fu possibile capire quale senso
avesse. Per comprenderlo avremmo dovuto attendere l'indomani, quando sulla
spiaggia di Utah Beach una di quelle dello sbarco, ci imbattemmo in una
colonnina identica alle tante incontrate lungo il nostro viaggio. Portava la
solita fiaccola e la numerazione dei chilometri era indicata con lo zero. Da
li era cominciata la marcia della libertà. Sul piedistallo azzurro era
scritto: "lei ont dèbarquè les armèes americanes".
Ma torniamo al viaggio. Dopo aver oltrepassata Laval, pur senza consultare
le carte stradali capimmo di essere giunti in Normandia. Ci parve, più che
giungervi per la prima volta, di "riconoscerla". Dall'architettura delle
case e delle chiese nonché dalla lussureggiante campagna. Ci dirigemmo verso
St-Mère-Eglise. Dalla solitudine emanava un senso di pace che contrastava
con il ricordo degli avvenimenti di cui quella zona era stata teatro.
Ricordo tenuto desto dalle colonnine con la fiaccola e la numerazione
decrescente.
Nel paesino arrivammo quasi all'improvviso e subito ci trovammo nella piazza
di fronte a quella chiesa ed a quel sagrato che fu bagnato di sangue in una
tragica notte del giugno 1944.
La chiesa, del XII secolo, non ci parve slanciata come le altre che avevamo
visto e tuttavia armoniosa. La guardammo a lungo. Anche lei era stata
coinvolta quella notte, quando un paracadutista era rimasto impigliato con
le cinghie del suo paracadute alla croce di ferro posta sulla sommità del
tetto e da li, ferito, aveva assistito allo sterminio dei suoi compagni.
Pagò il prezzo della vita con la sordità, per via delle campane che avevano
continuato a suonare a distesa.
Si capiva subito che, nel paese, il ricordo di quella notte continuava a
vivere magari sotto forma di richiamo turistico. In un bar vicino alla
chiesa ci accorgemmo che le pareti erano tappezzate di fotografie anche
recenti, per periodici raduni con reduci americani. L'aspetto turistico lo
si coglieva nei negozi ove erano in vendita cartoline ricordo dello sbarco.
Financo o riproducenti la controfigura del paracadutista penzolante dalla
sommità della chiesa. E non mancava il "museo dello sbarco" costruito dagli
americani. La visita si rivelò interessante.
Era ricco di cimeli, fotografie, divise, anni di vario tipo e financo aerei
ed alianti. Vedemmo una infinità di oggetti fra cui quelle "nacchere" usate
dai paracadutisti di cui si è parlato più sopra.
Sembrava una rassegna fredda ed ordinata di un qualsiasi museo anche se
molto particolare, in cui si sente la cortina del tempo frapporsi fra gli
avvenimenti ricordati e la capacità di emozioni.
Ma ogni tanto qualcosa squarciava quella cortina, come per esempio la vista
di un flacone di plasma sanguigno trovato sulla spiaggia di Utah B. dopo 30
anni. A scuoterci poi vennero le cifre. Migliaia di caduti in questa
spiaggia ed altre migliaia in quell'altra. Allora non ci fu più passato e
presente, ma una sola realtà.
Sentimmo in tutta la sua portata la tragedia che fu la guerra. Non molto
lontano è il cimitero di guerra americano. All'ingresso sembrava soltanto un
grande nitido, giardino con ampie aiuole verdi. Fu dopo aver percorso un po'
di strada che ad un tratto scorgemmo il lieve declinare della collina verso
il mare, gremita da una selva impressionante di croci bianche. Al loro
cospetto campeggiava un magnifico gruppo statuario in bronzo che - anche
senza suggestione del luogo - trasmetteva al visitatore il senso della
pietà. Provammo piacere nel constatare quanta gente vi si recava in visita
portando fiori.
Raggiungemmo quindi le grandi spiagge. Prima Utah B. e poi Omaha B.
Quando ci trovammo di fronte al mare in quelle distese bianche, eravamo
ormai psicologicamente calati in una realtà di tanti anni addietro, e che
sentivamo ancora palpitante. Il museo, il cimitero e quelle spiagge; tutte
le emozioni si fondevano per dar vita ad un sentimento di grata rimembranza
e rispetto. Pensavamo alle migliaia di giovani vite spente in quelle sabbie,
perché altri potessero andar oltre a percorrere quelle strade ora
contrassegnate dalle colonnine con scolpita una fiaccola.
E allora che cosa può dire oggi una visita ai luoghi di quella famosa
battaglia?
Credo di avere già risposto.
Giovanni Noera
Giovanni Noera
Laureatosi all'Università di Torino, deve la sua formazione
culturale ai tanti incontri avuti nelle sue varie residenze. Numerosi sono i
suoi viaggi negli USA e in Europa, oggetto
di suoi articoli. Nato in Sicilia; ha vissuto in Friuli, Trentino, Lombardia
e Liguria. Da diversi anni vive in Emilia.
Ha pubblicato tre romanzi:
- «Tempi perduti e ritrovati» (1° premio
concorso letterario "La Vecchia Lizza a
Marina di Carrara");
- «Per caso per sempre» (2° premio... Marina
di Carrara);
- «Son tornate a frinir le cicale»; (Delta 3
edizioni).
Il romanzo «C'e una logica nel destino?» è arrivato 2°al premio letterario
«L'inedito». I racconti presenti in Emozioni hanno ricevuto il primo premio
- XIII°edizione concorso letterario «Padus Amoneus» a Parma).
Ha collaborato con alcuni periodici.
Il titolo dato o questa raccolta di alcuni miei racconti, riassume
ispirazioni trasmesse da vicende umane i cui protagonisti ho conosciuto nel
corso della mio vita o stati d'animo particolari connessi allo tragedia che
fu la guerra. Spero che dai vari racconti emerga la luce della speranza o il
balsamo dello rassegnazione che sempre albergano nel cuore umano anche nei
tragitti accidentati che tanto spesso lo vita costringe a percorrere.
Giovanni Noera
Piazza Scala News - novembre 2011