Normandia
quarant'anni dopo

 

     da EMOZIONI - RACCONTI di Giovanni Noera - Delta Edizioni 2008    

 

Non è solo una regione della Francia. Normandia è anche un nome che evoca il ricordo del momento più cruciale della seconda guerra mondiale. Sulle sue coste fu compiuto lo sbarco delle forze alleate per risolvere la guerra.
L'impresa, ormai entrata nella leggenda, riporta alla memoria dei non più giovani immagini di paracadutisti e marines all'assalto della fortezza Europa, per aprire un secondo fronte contro i tedeschi. Un esercito con mezzi meccanizzati, carri armati e cannoni trasportato da una flotta immensa per quello che fa definito il più grande sbarco militare della storia.
Un miracolo di potenza ed organizzazione logistica, animate da una forte motivazione ideale. Gli interessi, i calcoli politici le grandi strategie economiche furono per quel "giorno più lungo", tanto bene descritto da un celebre film, superati da un diapason ideale oggi un poco appannato: innalzare in Europa la bandiera della libertà.
Letture e films ci hanno tramandato immagini di varie fasi, come per rendere più comprensibile un avvenimento troppo complesso, da poter cogliere solo esaminandone vari spezzoni. Così ci sono stati resi noti episodi, a volte di scarso rilievo nel grande quadro della battaglia, ma tutti insieme concorrenti ad una epopea.
Come quei paracadutisti lanciati nella notte prima dello sbarco alle spalle dei tedeschi e sospinti dal vento per ironia della sorte, su St-Mère-Eglise dove i tedeschi già erano in allarme per un incendio, con le campane dell'unica chiesa nella piazza centrale del paese che suonavano a distesa.
All'apparire dei bianchi paracaduti nel cielo illuminati dalle fotoelettriche, i tedeschi non avevano dovuto far altro che attendere che fossero a tiro per mitragliarli prima che riuscissero a toccare il sagrato della chiesa. O come episodi di pattuglie di paracadutisti che avevano preso terra intorno a St-Mère-Eglise e che si scontrarono nella notte con quelle tedesche, nella campagna piena di alberi e siepi. I soldati alleati avevano in dotazione una specie di "nacchera" che emetteva un suono particolare. Avanzavano solo dopo essersi accertati che, al richiamo di quel prezioso strumento, da dietro gli alberi vicini venisse la tranquillante risposta di egual suono.
Piccoli infiniti particolari di una battaglia complessa, combattuta casa per casa, cespuglio per cespuglio e nel quale ogni errore era pagato con la vita.
All'alba del 6 giugno 1944 sulla Manica, di fronte alla costa che va da Quinèville a Lion-sur-Mer si presentarono circa 4300 navi traghetto, oltre 720 navi da guerra ed un numero incalcolabile di mezzi da sbarco. L'operazione fu appoggiata da 11.000 aerei.
Si fa fatica ad immaginare quella flotta dinanzi ad un solo tratto della costa per quanto assai ampio. Come un ariete che colpisce in un punto della fortezza, concentrandovi tutta la sua forza per aprire una breccia.
In auto, in una limpida mattina di giugno, lasciata alle nostre spalle Angers, puntammo verso Nord lungo il rettifilo che porta a Laval. Era un susseguirsi di salite e discese su un'unica linea tracciata fra due filari di alberi. Dopo la concitata circolazione che avevamo sperimentata ad Angers ed ancor più a Tours, la quasi totale solitudine in cui il nostro viaggio si svolgeva ci sembrò un rilassante miracolo. La nostra attenzione fu ben presto attratta da alcune colonnine, che ad intervalli fiancheggiavano la strada. Erano alte e massicce, poste su una larga base color azzurro. Vi era ricavato in rilievo la forma di una fiaccola e sopra di essa era riportata una numerazione chilometrica che non ci fu possibile capire quale senso avesse. Per comprenderlo avremmo dovuto attendere l'indomani, quando sulla spiaggia di Utah Beach una di quelle dello sbarco, ci imbattemmo in una colonnina identica alle tante incontrate lungo il nostro viaggio. Portava la solita fiaccola e la numerazione dei chilometri era indicata con lo zero. Da li era cominciata la marcia della libertà. Sul piedistallo azzurro era scritto: "lei ont dèbarquè les armèes americanes".
Ma torniamo al viaggio. Dopo aver oltrepassata Laval, pur senza consultare le carte stradali capimmo di essere giunti in Normandia. Ci parve, più che giungervi per la prima volta, di "riconoscerla". Dall'architettura delle case e delle chiese nonché dalla lussureggiante campagna. Ci dirigemmo verso St-Mère-Eglise. Dalla solitudine emanava un senso di pace che contrastava con il ricordo degli avvenimenti di cui quella zona era stata teatro. Ricordo tenuto desto dalle colonnine con la fiaccola e la numerazione decrescente.
Nel paesino arrivammo quasi all'improvviso e subito ci trovammo nella piazza di fronte a quella chiesa ed a quel sagrato che fu bagnato di sangue in una tragica notte del giugno 1944.
La chiesa, del XII secolo, non ci parve slanciata come le altre che avevamo visto e tuttavia armoniosa. La guardammo a lungo. Anche lei era stata coinvolta quella notte, quando un paracadutista era rimasto impigliato con le cinghie del suo paracadute alla croce di ferro posta sulla sommità del tetto e da li, ferito, aveva assistito allo sterminio dei suoi compagni. Pagò il prezzo della vita con la sordità, per via delle campane che avevano continuato a suonare a distesa.
Si capiva subito che, nel paese, il ricordo di quella notte continuava a vivere magari sotto forma di richiamo turistico. In un bar vicino alla chiesa ci accorgemmo che le pareti erano tappezzate di fotografie anche recenti, per periodici raduni con reduci americani. L'aspetto turistico lo si coglieva nei negozi ove erano in vendita cartoline ricordo dello sbarco. Financo o riproducenti la controfigura del paracadutista penzolante dalla sommità della chiesa. E non mancava il "museo dello sbarco" costruito dagli americani. La visita si rivelò interessante.
Era ricco di cimeli, fotografie, divise, anni di vario tipo e financo aerei ed alianti. Vedemmo una infinità di oggetti fra cui quelle "nacchere" usate dai paracadutisti di cui si è parlato più sopra.
Sembrava una rassegna fredda ed ordinata di un qualsiasi museo anche se molto particolare, in cui si sente la cortina del tempo frapporsi fra gli avvenimenti ricordati e la capacità di emozioni.
Ma ogni tanto qualcosa squarciava quella cortina, come per esempio la vista di un flacone di plasma sanguigno trovato sulla spiaggia di Utah B. dopo 30 anni. A scuoterci poi vennero le cifre. Migliaia di caduti in questa spiaggia ed altre migliaia in quell'altra. Allora non ci fu più passato e presente, ma una sola realtà.
Sentimmo in tutta la sua portata la tragedia che fu la guerra. Non molto lontano è il cimitero di guerra americano. All'ingresso sembrava soltanto un grande nitido, giardino con ampie aiuole verdi. Fu dopo aver percorso un po' di strada che ad un tratto scorgemmo il lieve declinare della collina verso il mare, gremita da una selva impressionante di croci bianche. Al loro cospetto campeggiava un magnifico gruppo statuario in bronzo che - anche senza suggestione del luogo - trasmetteva al visitatore il senso della pietà. Provammo piacere nel constatare quanta gente vi si recava in visita portando fiori.
Raggiungemmo quindi le grandi spiagge. Prima Utah B. e poi Omaha B.
Quando ci trovammo di fronte al mare in quelle distese bianche, eravamo ormai psicologicamente calati in una realtà di tanti anni addietro, e che sentivamo ancora palpitante. Il museo, il cimitero e quelle spiagge; tutte le emozioni si fondevano per dar vita ad un sentimento di grata rimembranza e rispetto. Pensavamo alle migliaia di giovani vite spente in quelle sabbie, perché altri potessero andar oltre a percorrere quelle strade ora contrassegnate dalle colonnine con scolpita una fiaccola.
E allora che cosa può dire oggi una visita ai luoghi di quella famosa battaglia?
Credo di avere già risposto.

Giovanni Noera
 

 

Giovanni Noera
Laureatosi all'Università di Torino, deve la sua formazione culturale ai tanti incontri avuti nelle sue varie residenze. Numerosi sono i suoi viaggi negli USA e in Europa, oggetto di suoi articoli. Nato in Sicilia; ha vissuto in Friuli, Trentino, Lombardia e Liguria. Da diversi anni vive in Emilia.
Ha pubblicato tre romanzi:
- «Tempi perduti e ritrovati» (1° premio
  concorso letterario    "La Vecchia Lizza a
  Marina    di Carrara");
- «Per caso per sempre» (2° premio... Marina
  di Carrara);
- «Son tornate a frinir le cicale»; (Delta 3
  edizioni).
Il romanzo «C'e una logica nel destino?» è arrivato 2°al premio letterario «L'inedito». I racconti presenti in Emozioni hanno ricevuto il primo premio - XIII°edizione concorso letterario «Padus Amoneus» a Parma).
Ha collaborato con alcuni periodici.
Il titolo dato o questa raccolta di alcuni miei racconti, riassume ispirazioni trasmesse da vicende umane i cui protagonisti ho conosciuto nel corso della mio vita o stati d'animo particolari connessi allo tragedia che fu la guerra. Spero che dai vari racconti emerga la luce della speranza o il balsamo dello rassegnazione che sempre albergano nel cuore umano anche nei tragitti accidentati che tanto spesso lo vita costringe a percorrere. Giovanni Noera

 

 

 

 

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Piazza Scala News - novembre 2011