Il Ponte
un racconto di Mariella Di Pasquale
 

 

 

Foulard nero in testa legato sotto il mento, sbattendo la porta di casa, si avviò decisa sotto la pioggia.
Sembrava invitarla le stradina desolata del paese arrampicato lassù sul cocuzzolo della collina. A ciottoli incassati, ripida e stretta, dirupando giù verso la piazza in fondo, pareva volesse piuttosto tuffarsi nello Jonio cupo e agitato laggiù lontano, biancheggiante di spuma.
Fradicia di pioggia e pallida per il freddo, senza guardarsi intorno, un passo dopo l’altro, la donna camminava spedita poggiando con noncuranza i piedi nudi sui rivoli di fango che scorrevano neri fra i ciottoli lisci.
Inseguiva la sofferenza.
Fino alla caviglia lunga e spruzzata di fango intorno all’orlo, ondeggiava al passo la ricca gonna nera o svolazzava per il vento facendo intravedere la bianca sottana.
Solo il rumore della pioggia d’intorno e alle narici l’odore aspro del letame bagnato.
Dalla porta di una bettola con i vetri appannati da respiri avvinazzati, le giunsero chiacchiere e tintinnio di bicchieri. Come da un’altra vita.
Laggiù in fondo, fra le case, intravide l’angolo della piazza chiuso dalla ringhiera sullo strapiombo. E sentì il vento che rombava giù nella valle stretto fra i versanti.
Una volta entrata nella piazza, lo sapeva, le sarebbe apparso sulla destra maestoso il ponte nuovo.
Allora terrorizzata, come per prender tempo, appoggiò le spalle un attimo alla grande porta di legno massiccio della chiesa che cigolando cominciò ad aprirsi lentamente dietro le sue spalle. Si girò di scatto, nella semioscurità intravide i banchi vuoti e l’altare miseramente spoglio, solo la fiammella di due ceri davanti al tabernacolo. Non aveva voglia di pregare e rigirò il viso verso la vallata. Le cinque guglie rocciose di Pentadattilo si stagliavano come spade minacciose pronte a ferirla.
Velocemente si fece il segno della croce e si riavviò giù per la discesa. Il ponte l’aspettava.
Ecco, sul lato sinistro della piazza intravide il ben noto lavatoio incassato nella parete rocciosa, dalle vasche verdi di muschio viscido sciabordava acqua sul selciato.
Col petto ansante, ferma un attimo, la donna inspirò a lungo, ma poi decisa, entrando nella piazza, s’indirizzò veloce verso destra.
Appena nello slargo una ventata più forte le schiaffeggiò il viso mentre il bianco ponte si aprì davanti a lei come spalancato.
Ferma in piedi a gambe larghe, come bloccata da qualcosa, col mento sollevato e gli occhi chiusi, aprì la bocca a invitare la pioggia. Percepì immobile il fragore dell’acqua vorticosa del S. Elia, la Fiumara maledetta, e nel suo petto incalzarono ancor più i battiti impazziti del cuore
Ricominciò ad avanzare lentamente. Passo dopo passo fino ad imboccare il ponte.
Se l’era portato via quell’acqua vorticosa il vecchio arco di pietra, l’anno prima, con la piena di marzo. Ma nello stesso posto era sorto in poco tempo il ponte nuovo dalle bianche fiancate.
Irrigidita, tesa nei muscoli, continuò ad avanzare.
- Perché sei sola? –
La donna si fermò.
- Chi parla – gridò con gli occhi dilatati.
- Sono il ponte vecchio.
- Ma io sto su quello nuovo.
- Sono il ponte vecchio e tu sei sola. C’era tuo figlio quel giorno, quando l’acqua alta di marzo mi scuoteva. Giocava tuo figlio e guardava l’acqua nera quel giorno.
La donna mandò un urlo rauco e cadde in ginocchio. Dalla testa le volò via il foulard. E lei tremava e si scuoteva e strofinava a terra i capelli sciolti, intridendoli di fango, senza ritegno, come invasata.
Quel rumore assordante intorno, come di una folla che gridasse minacciosa, la stordiva, la sfibrava. Nei suoi occhi sbarrati colmi di paura, quasi sembravano rimpicciolite le pupille nel bianco svasato della cornea. Si passò le mani sul viso. Le unghie. A sangue. Si guardò a destra e a sinistra. Si voltò indietro e ancora avanti. L’acqua del torrente di sotto schiumava furiosa trascinando detriti e rami che rotolavano inermi intorno ai pilastri sotto le arcate. Si affacciò a guardarla, il corpo riverso sul muretto, sentendosi anche lei come un tronco trascinare e avvoltolare da quell’acqua.
- Torna indietro e vivi – disse l’acqua.
- Io sono il ponte nuovo – disse il ponte.
- Hai detto che eri il ponte vecchio – gridò la donna.
- Quel giorno ero il ponte vecchio. Adesso sono il ponte nuovo. Il ponte vecchio non c’è più. Io sono forte fra le montagne. Và via, torna indietro e vivi.
Il dolore cominciò a sciogliersi dentro di lei e il sangue a scorrere più caldo nelle vene.
Guardò le nuvole e gli orti e la valle in fondo, oltre il torrente, dove respiravano gli ulivi. Si era aperto d’improvviso un pezzo d’azzurro nel cielo. Le punte di Pentedattilo sembravano adesso nel rosso del tramonto, cinque tenere dita rosate.
Quella era la sua terra, sua come il suo corpo, fatta di sangue e di dolore.

Mariella Di Pasquale
dalla raccolta "Terra di Calabria"