LORENZO MILANESI (1925)
 

 

Decenne, lascia la natia Calabria per Milano dove si avvia agli studi ginnasiali e quindi a quelli classici.
Nel 1941, alle prime avvisaglie belliche, i genitori lo richiamano in Calabria dove consegue la Maturità classica. Intraprende quindi gli studi di Giurisprudenza all'Università di Messina.
Nel 1946 toma a Milano e viene assunto dalla Banca Commerciale Italiana. Lavora prima alla Sede di Milano e quindi, dal 1961 in avanti, alla Direzione Centrale in costante vicinanza con i vertici dell'Istituto.
E' collocato a riposo nel 1986 con il grado di V. Direttore addetto alla D.C.
E' sposato dal 1955.
Ha pubblicato presso la Casa Editrice Rubbettino i seguenti libri:
CARMELA CUDA - Viaggio d'amore - nel 1997 (da cui è tratto "Taniche, carri armati e carrettini)
TIRAMISU' - ossia l'incontenibile desiderio, nel 2002
MONTAIGNE - Della Saggezza - nel 2006.
MONTAIGNE - Socrate a Cavallo - Giornale di viaggio in Italia (1580-1581) - nel 2008

 

 

TANICHE CARRI ARMATI E CARRETTINI


Tra la fine di agosto e i primi di settembre 1943 le truppe tedesche, incalzate dall'ottava armata inglese, si stavano ritirando verso il nord.
La Sicilia era stata occupata pressoché interamente e si aspettava da un momento all'altro lo sbarco in Calabria.
Una notte sentii un fortissimo rumore di motori e uno sferragliare assordante e mi affacciai alla finestra da dove potevo inquadrare circa trecento metri della strada principale.
Si trattava di una colonna di carri armati tedeschi che si dirigeva verso S. Procopio dove, si seppe dopo, c'era il Comando generale delle nostre truppe.
I carri passavano uno dopo l'altro mantenendo il massimo dell'allineamento per evitare la cunetta di lato alla strada dove confluivano le acque di scarico e la pioggia.
Era notte di luna piena e i mezzi si distinguevano nettamente. C'era un che di livido in quella luce notturna che rischiarava la colonna dei carri e rendeva metallico l'intero scenario.
La teoria dei mezzi si snodava sulla strada come se fosse stata inseguita (ma forse proprio per questo), alla maniera di mostruose testuggini che abbiano urgenza di guadagnare il mare.
Mi guardai attorno ma non scorsi anima viva.
D'un tratto un carro scivolò a destra e con un cingolo finì nella cunetta.
Sembrò la manovra maldestra di un pilota colto da un colpo di sonno. E bastò lo scossone laterale perché il distratto carrista imprimesse d'istinto una sterzata contraria e si riportasse al suo posto nella colonna.
Il repentino spostamento si ripercosse in maggiore misura nella parte posteriore del mezzo, proprio dov'erano collocate le taniche di scorta della benzina.
Due di queste caddero nella cunetta, ma il carrista successivo o non se ne accorse o, accorgendosene, preferì tirare avanti per non rompere la colonna in due tronconi.
Non mi mossi fino a quando non fui certo che tutti i carri fossero passati.
Poi scesi in istrada e mi diressi verso le taniche.
Ne ero quasi vicino quando udii rumore di passi alle mie spalle. Mi fermai di scatto e vidi spuntare da una rruga laterale la figura bassa e tozza di un uomo che si dirigeva verso di me con passo lento e pesante.
Non mi ci volle molto per riconoscerlo. Era Ntoni Florio che, come me, aveva assistito a tutta la scena dalla finestra della sua casa, senza esser visto da nessuno.
«Nda, c'avim'a ffari?» mi disse deciso.
Allargai le braccia senza rispondere e lui incalzò: «Ndi pigghiamu una l'unu?».
«Certo, certo» fu la mia risposta e ci avviammo con la tanica di benzina ognuno verso casa propria.
La depositai dietro la porta d'ingresso e tornai a letto.
Dopo pochi minuti il passaggio dei mezzi riprese ininterrotto per quasi un'ora, ma dal rumore che si lasciavano dietro capivo che ora la colonna era composta da camion e autoblindo montati su gomme.
Il silenzio che seguì al rumore assordante fu tanto alto che mi impedì fino all'alba di riprendere sonno.
Mio padre, mattiniero come sempre, arrivò dalla campagna, dove con i miei trascorrevano la notte, e si accorse subito della novità.
Confabulò con mia madre e decisero di aspettare che mi alzassi dal letto per saperne di più.
Verso mezzogiorno, quando gli raccontai l'episodio, non mostrò di stupirsi più di tanto. Aveva da comunicarmi una novità ancora più sbalorditiva.
Di ritorno da Santo Todaro si erano imbattuti in un carro armato abbandonato lungo la strada verso S. Procopio, poco dopo la fornace di Cesare.
Collegammo il tutto e concludemmo che poteva trattarsi proprio di quello che aveva sbandato in paese e che, essendo in avaria, era stato abbandonato dai tedeschi in ritirata.
L'ipotesi era suffragata dal fatto che non solo era privo di taniche di carburante, ma il cavo d'acciaio che le teneva agganciate al mezzo risultava spezzato in due. Evidentemente la sbandata in paese era dovuta non alla sonnolenza del pilota ma allo stesso guasto che poco dopo lo avrebbe costretto ad abbandonare il carro.
Per la destinazione della benzina, visto che altro impiego non era possibile, mio padre non perse tempo. Prese la tanica e la portò a uno dei due signorotti del luogo che possedevano l'automobile, pregandolo peraltro di avvisare i carabinieri a scanso di responsabilità.
Il carro armato invece stette lì per parecchio tempo. Privato dapprima, a cura di specialisti chiamati dai carabinieri, del cannone e di quant'altro poteva costituire pericolo o servire alle autorità, fu poi letteralmente smontato dai ragazzi del paese per quanto fu loro possibile. Ne ricavarono soprattutto cuscinetti a sfera di ogni dimensione con i quali si sbizzarrirono nella costruzione di ingegnosi carrettini bassi bassi, sui quali sfrecciavano per le strade e i vicoli con velocità impressionante.
Le donne e le vecchiette ne erano terrorizzate. Da ogni parte, purché vi fosse una leggera pendenza della strada - il che da noi è frequentissimo - sbucavano questi veloci carrettini con un ragazzo o due a bordo, a seconda delle dimensioni del mezzo, che si lanciavano come furie scatenate per ogni dove, sicuri di non trovare ostacoli, se non in qualche cavalcatura, e felici di potersi godere l'ebbrezza della sconsiderata velocità.
Non sempre il manufatto reggeva alle sconnessioni delle strade e particolarmente delle rrughe. Ma poco importava, tanto di cuscinetti a sfera ce n'erano a non finire e si poteva quindi scegliere fra la riparazione, se era lieve, o altrimenti l'eliminazione completa del carrettino per costruirne uno ex novo.
Fu insomma per gli adulti una vera e propria dannazione che durò a lungo.
Per i ragazzi invece una manna del cielo che mise a disposizione di ognuno di essi la possibilità di disporre finalmente di un vero giocattolo, e che giocattolo!.
Col senno di poi possiamo comprendere e giustificare la loro irrequieta esaltazione che rappresentava una sorta di gioioso prepotente soddisfacimento di desideri rimasti lungamente compressi.
Quello che rimase del carro, cingoli, carcassa, cerchioni, ecc., arrugginì ai margini della strada fin quando non finì sottostante torrentello o chissà dove altro.

 

Lorenzo Milanesi

Da CARMELA CUDA - (Rubbettino Editore)