I DONI DEL NATALE - di Vincenzino Barone (Salerno)

 

Mi sono risvegliato in una domenica gelida di dicembre pensando che i viaggiatori dell’Oriente di questi tempi sono ormai già in moto, alla ricerca della stella cometa. Scrutano il cielo, consultano il cesellato astrolabio, individuano il punto. Si aspettano di trovare un’idea diversa del mondo. Questa idea la troveranno finalmente dinanzi alla stalla, un posto semplice, addirittura misero, dove vegliano uno smarrito falegname e la fanciulla con l’occhio di gazzella spaurita.  Disteso sulla paglia, possono ammirare il piccolo nato, ancora incosciente delle brutture che potrebbero toccargli in sorte. Ecco la chiave, non solo esoterica, della lettura del mistero. Lo sguardo dei  maestri non avverte nemmeno l’inadeguatezza del luogo prescelto; i sapienti in genere volano alto. Non possono neanche essere al corrente dell’indifferenza degli abitanti che hanno negato a una madre persino il posto decente per partorire. Di lontano, un principe ottuso e sanguinario sta pronunciando i suoi editti e ordina l’uccisione dei bambini. Il re non vuole attorno a sé i giovani; detesta il cambiamento. La grotta è  Scampia, l’artigiano si chiama Peppino, fa parte dell’immensa schiera dei diseredati del posto. E Maruzzella ha quindici anni, forse non sa com’è rimasta incinta. Salvatore, nel suo fagottino di stracci, ha gli occhi di un palestinese disperato, ma ha dentro di sé la prepotente voglia di sopravvivere. I botti che sentiamo sullo sfondo non sono fuochi d’artificio; sono i colpi dei kalashnikov delle bande criminali di Erode. E il padre, a ben vedere, non è nemmeno povero: la povertà è quanto meno una categoria letteraria con una sua dignità consolidata. E’ piuttosto un disgraziato, che è proprio un’altra cosa. Appartiene ai quei 3 milioni circa di senza lavoro, a quel 27% della popolazione nazionale che in Campania raddoppia, avvicinandosi al 50%. Che fai ogni giorno, gli chiede il mago nero, disceso nel frattempo dal cammello. Mi arrangio, qualcosa trovo sempre. E, si sa, Dio provvede. Avrà venti anni, ancora non si è aggiunto al numero di quelli che non ci provano più, la maggioranza indistinta nella periferia degradata della metropoli, quelli che vengono definiti “sfiduciati”. Desideriamo farti dei regali: cosa vorresti per tuo figlio. Allora, lasciatemi pensare. Sto in una grotta: vorrei una casa piccola, ma accogliente, per non patire il freddo e dormire su un letto decente. Vorrei poi guadagnare quanto basta con una fatica onesta, per assicurare il pane e il latte alla famiglia. Vorrei infine che Totore potesse crescere lontano dalle bombe, andare a scuola e imparare a leggere e scrivere, per non morire in croce dopo essere stato schiavo delle cosche. I tre viaggiatori si interrogano tra di loro e, con un subitaneo colpo di mano, ripongono con un po’ di vergogna nelle gerle i pacchetti di Fendi con l’oro, l’incenso e la mirra. Tanto, l’oro sarebbe finito probabilmente al banco dei pegni. I pacchetti poi con gli aromi preziosi potrebbero configurare il reato di possesso di droghe leggere e il maresciallo non scherza: magari arresterebbe tutti per detenzione di non modiche quantità. Occorre dare fondo alla scienza e ricorrere ad una grande magia per fare qualcosa di concreto prima di ritornare definitivamente nel laboratorio dei sapienti.  Per questo neonato serviranno tre regali non effimeri, ben diversi da quelli che erano stati preventivati. Una società senza sovrani crudeli e senza  malavita, dove regnino ordine e pace. L’istruzione e l’onesto lavoro, per non abbassare gli occhi dinanzi a nessuno. La tutela della salute, dall’infanzia alla vecchiaia, perché le sofferenze non siano il corollario di un’esistenza difficile e senza dignità.  Il pargolo sacro è il futuro migliore che vogliamo aspettare; il contesto umiliato nel quale è stato inserito è il passato da rinnegare. Coi Re Magi, abbiamo imparato una lezione importante che non dimenticheremo facilmente. Buon Natale a tutti.

 

 

Enzo Barone

 



                           

 

 

 

 

 

 

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