Il dono - di Piera Favetto (Torino)

 

Il cielo è tersissimo, il sole caldo inonda di tepore la sua pelle chiara mentre una leggera brezza scompiglia maliziosa i suoi capelli. “Che bella giornata” pensa e ripercorre gli avvenimenti che lo hanno portato su quella spiaggia  da sogno.

Aveva lavorato sodo per lungo tempo in una piccola ditta, combattendo contro un titolare esigente, cali di vendite, colleghi nervosi, traffico intasato, problemi con i vicini, piccoli malesseri e spiacevoli malintesi, insomma tutti quegli intoppi che la vita ci propone ogni giorno e che talora ci sembrano insormontabili, sino a quando un vero problema non viene a ridimensionare tutto quanto.

E il problema, anzi i problemi veri erano arrivati. La piccola impresa nella quale aveva lavorato per otto anni era fallita, la modesta riserva di denaro era presto sfumata, aveva dovuto lasciare il suo appartamento, piccolo ma tutto suo e aveva iniziato a cercare lavoro. Prima era partito a caccia di una nuova occupazione tutto pieno di speranze, poi, trascorrendo il tempo, era diventato rabbioso e infine disperato. Come molti giovani, che erano andati lontani dalla famiglia in cerca di fortuna, non voleva ritornare a casa sconfitto e quindi la sua pena aumentava sempre più.

Un giorno, circa un anno prima, mentre vagava in cerca di lavoro da un ufficio ad un ristorante, da una officina meccanica a una agenzia di collocamento, si era accorto di un ombra  che lo seguiva, silenziosa, schiva e timorosa. Come lui girava la testa l’ombra spariva ma, non appena riprendeva il cammino, il fantasma faceva sentire la sua presenza. Incuriosito si era fermato davanti ad un bar e, facendo finta di occhieggiare all’interno, era rimasto fermo e immobile. L’ombra si era furtivamente avvicinata e gli si era fermata alle spalle. Lui si era voltato e due grandi e dolcissimi occhi l’avevano guardato un po’ timorosi e un po’ spavaldi. Fu amore a prima vista.

La cagnetta, chiaramente in attesa di piccoli, era arruffata, sporca e magrissima ma aveva un aria, come dire, “signorile”, di animale educato. Lui si era chinato e lentamente aveva allungato una mano verso il muso di Shaddy (il nome gli era venuto spontaneo pensando a “shadow”, ombra). La cagnolina, agitando lentamente la coda, aveva appoggiato il suo tartufo umido sul dorso della mano e lentamente ma sicura, allungando la linguetta rasposa, gliela aveva leccata. A lui era parso che il cielo fosse più blu, il sole più brillante, un gran calore gli aveva inondatoil petto e d’un tratto aveva avuto la netta sensazione che la sua vita non sarebbe più stata la stessa. E così fu.

Con alcuni spiccioli aveva comprato nel bar, davanti alla cui vetrina si era fermato, un panino che aveva diviso imparzialmente con Shaddy. Poi si erano avviati lungo la strada, lei al suo fianco come se non avesse mai fatto altro nella sua vita. Poco lontano c’era un’agenzia di viaggio: Shaddy si era fermata e l’aveva guardato. Un impulso improvviso e irrazionale lo aveva spinto ad entrare e a chiedere se avevano un lavoro per lui, qualsiasi lavoro purché onesto. La donna dell’agenzia,dopo averlo scrutato per qualche istante con sguardo fisso, gli aveva detto “Sai qualche lingua straniera?” Lui le aveva risposto che ne sapeva non una ma tre e che due le parlava correntemente. La donna,dopo averlo ancora studiato per qualche attimo, gli aveva detto “Ti assumo, ma in prova, intesi? La paga all’inizio sarà bassa ma, se hai voglia di lavorare e capacità, avrai dei discreti guadagni”. A lui era sembrato di toccare il cielo con un dito e, ciliegina sulla torta, aveva trovato Shaddy seduta fuori dall’agenzia in attesa. Entrambi avevano ripreso, fianco a fianco, il cammino verso la nuova vita.

Trascorse alcune settimane Shaddyaveva dato alla luce due cucciolotti bellissimi che furono presto adottati dai vicini della nuova casa che lui aveva potuto affittare con il nuovo salario. Il lavoro aveva ingranato, la paga era aumentata come promesso. Aveva fatto nuove amicizie e c’era in aria anche un  piccolo amoretto. Lui andava a lavorare al mattino e tornava verso sera. Shaddy, ormai una cagnetta bellissima e pulitissima, attendeva tranquilla il suo nuovo padrone nel giardinetto del condominio. Non appena lui svoltava l’angolo della via, lei gli correva incontro affettuosa e gioiosa per tornare insieme al piccolo e ordinatissimo appartamento. Sembrava quasi che l’incontro con Shaddy fosse stato come un dono del cielo, un regalo di Babbo Natale fuori stagione.

Una domenica si erano recati in un piccolo parco nelle vicinanze. Mentre mangiavano, l’uno accanto all’altra, lui su una panchina, lei ai suoi piedi, era passato un signore anziano che, vedendoli, aveva sbarrato gli occhi e aveva lanciato un grido strozzato: “Principessa, sei qui,  ti ho ritrovata!” e si era avvicinato trepidante alla cagnetta che lo aveva accolto con mugolii di gioia. Il signore aveva rivolto al giovane uno sguardo interrogativo e lui gli aveva raccontato brevementetuttociò che era accaduto: l’incontro,il lavoro trovato mentre Shaddy lo attendeva paziente, la nuova casa, i cuccioli, le giornate e le serate insieme.  Poi aveva taciuto restando con il fiato sospeso in attesa di ciò che sarebbe accaduto. Il signore aveva guardato meditabondoShaddy la quale,avvicinandosi, gli aveva strofinato il muso sulla mano.Poi si era giratalentamente ritornando verso il giovane ai cui piedi si era accucciata. Il signore,dopo un attimo in silenzio, con voce triste ma decisaaveva detto: “Principessa ha deciso per noi e ha scelto te. E’giusto, tu l’hai salvata e i cani sono, a differenza degli uomini, eternamente riconoscenti. Ora io ho un altro cane, i miei nipotini erano disperati e ne volevano subito uno, mentre tu hai solo Principessa,che d’ora in poi sarà solo più Shaddy”.Così dicendo, dopo un’ultima carezza, se n’era andato a passo lento.

Ora il ragazzo e Shaddy sono in vacanza su questa spiaggia caraibica meravigliosa, lontana da tutto e da tutti, un viaggio premio per il buon lavoro svolto. Il giovane, d’impulso, prende il telefonino e scatta una foto a lui e Shaddy, viso contro muso. D’improvviso, mentre guarda la foto appena scattata,si rende conto che, in mezzo a tutta quella natura lussureggiante non c’è alcun segno che ricordi che quello è un giorno speciale. Pensa un attimo e poi invia alla sua famiglia lontana la loro immagine gioiosa con queste parole:

“Affettuosissimi auguri di Buon Natale dal vostro amato figlio e da Shaddy. Lei è per me il più bel dono di Gesù Bambino e mi ricorda ogni giorno, ogni minuto,che la felicità non consiste nei doni, nelle ghirlande, nei jngles o nei cibi, ma nell’avere accanto qualcuno a cui vogliamo bene e che ci vuole bene, sia esso umano o animale. Baci”

 

Questa piccola e forse sciocca favoletta mi è servita per ricordarmi,nel giorno di Natale, di tutti i miei amici vicini e lontani e per augurare a tutti Buone Feste.

 

Piera Favetto

 

 

 

 

 

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