NATALE ANNI ‘30 - di Giacomo Morandi (Rivergaro)
 

Quando ero bambino, dalle mie parti non usava molto il Natale dei regali. Questo è stato inventato e quasi imposto nei decenni più recenti dal commercio, dall’irrompere del consumismo, dalla pubblicità, dalla televisione, dall’americanizzazione del nostro vecchio mondo.

I bambini, da noi, aspettavano i giocattoli da Santa Lucia, la notte del 13 dicembre, mentre Gesù bambino faceva trovare sul presepio qualche cioccolato, qualche mandarino, un frutto esotico, un sacchetto di noci.

Io capii presto che l’Aldilà non c’entrava, per quanti sforzi facessero i miei genitori per avvalorare l’inganno. Scoprii facilmente dove erano nascosti i giocattoli, in un vecchio armadio della biancheria, e vi portai di nascosto le mie sorelle, più piccole di me. Mia madre ci rimase male, ma ricordo che invece mio padre, sempre un po’ anticonformista, mostrò di apprezzare la mia scoperta.

Facevo domande: “come fa Santa Lucia a girare per le case se è completamente cieca? Mia madre, colta di sorpresa, mi rispose che si faceva aiutare dalla santa del giorno precedente Santa Giovanna.

E Gesù bambino? Beh, lui aveva i genitori e un certo numero di pastori che bazzicavano intorno.

Risposte che naturalmente non riuscirono a convincermi.

Naturalmente, la notte di Natale mia madre ci portava alla messa di mezzanotte, lunga e noiosa, ma era bello vedere la città illuminata e addobbata, tanta gente in giro, molti bambini che altrimenti sarebbero stati messi a letto.

La cena della Vigilia era stata “di magro”, niente carne o salumi ma pesce prelibato, cotto in bianco e coperto dalla buona maionese di mia madre, tortelli a treccia di ricotta e spinaci conditi al burro, sardine e anguilla marinata, dolce “Aurora” di amaretti e zabaione.

Il giorno dell’antivigilia, per ordine dell’organizzazione fascista della gioventù, la Gioventù Italiana del Littorio, avevamo invitato a pranzo due bambini poveri, maschio e femmina, vestiti rispettivamente da Balilla e da Piccola Italiana. Mio padre, antifascista convinto, non se ne accorse. Non approvava quelle iniziative paternalistiche che, a suo dire, servivano a buttar fumo negli occhi ai poveri, che restavano poveri, con scarse possibilità di rivendicare i loro diritti. Del resto, noi che facevamo parte di una categoria più fortunata, non facevamo molto per aiutarli.

La mattina di Natale eravamo esentati dalla messa dato che quella di Mezzanotte valeva a soddisfare il precetto. Io e le mie sorelle non eravamo ancora in età da Comunione, ma mia madre si era regolarmente confessata e comunicata. Mio padre, agnostico, non era affatto contrario a ciò. Diceva che le donne ne hanno bisogno e i bambini avrebbero scelto da soli una volta diventati adulti (argomenti che facevano andare in bestia mia madre).

Tutta la mattina mia madre e la domestica (allora si diceva “la donna”) s’impegnarono alla preparazione del grande pranzo di mezzogiorno: antipasti di salumi piacentini con sottaceti vari, anolini di stracotto in brodo, cappone, tacchino, mostarda di frutta, panettone, frutta fresca e secca. Una festa poco religiosa, anche se mia madre pretese che dicessimo le preghiere all’inizio del pasto.

Nei giorni precedenti erano arrivati molti biglietti d’auguri, cartoncini semplici, e diverse telefonate da parenti e amici lontani.

Non c’era ancora la guerra, anche se il nostro governo, per tenersi in allenamento, ne aveva già fatta qualcuna, Etiopia, Spagna e faceva  la voce grossa in vista di altre iniziative. Non lo sapevamo ancora, ma ci attendevano Natali ben più tristi.

 

Giacomo Morandi

                                                                                 

 

                   

 

 

 

 

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