La Cantata dei Pastori.... ovvero una celebrazione della Natività

secondo il rito partenopeo - di Maurizio D'Angelo (Camerano)

 

 

Fra i miei ricordi d'infanzia i più belli sono legati al Natale... ma penso sia così per molti in verità...
Allora, parliamo di una sessantina d'anni fa, il Natale a Napoli aveva contorni favolosi: dalla visita quasi rituale ai presepi di San Martino e a quelli più accessibili nelle chiese si passava a profane escursioni ai mercati della Pignasecca e di Santa Brigida, vivacizzate da improvvise ma non imprevedibili fughe di capitoni ben decisi a declinare qualsiasi “invito” al cenone della Vigilia.
Non meno fiabesca era l'atmosfera nella zona del centro occupata dalle bancarelle dei “pastori” (come a Napoli si chiamano le statuine del presepe) che era d'obbligo visitare dato che anno dopo anno era necessario il rimpiazzo per qualche soggetto che si rompeva. Impensabili mancate sostituzioni: a parte, ovviamente, gli “attori” principali (Sacra Famiglia), nel presepe napoletano talune figure sono indipensabili, Benino, Ciccibacco, il pescatore, il cacciatore, Razzullo, Sarchiapone....
Mio padre, ufficiale di carriera, in quei giorni smetteva i suoi modi piuttosto bruschi e, nonostante il
suo convinto ateismo, ci preparava il presepe quindi passava in cucina per la preparazione del cenone e del pranzo di Natale. Per essere precisi, lui dirigeva e mia madre – in queste sole circostanze – era ridotta a mera esecutrice, in particolare per quanto concerneva il settore dolciario Poi, non ricordo il momento, la tradizione si spense, forse in modo del tutto naturale: a posteriori posso ipotizzare che sia stato determinante l'arrivo della televisione, di certo arrivarono nuove usanze, considerate più moderne, l'albero..di presepe non se ne parlò più.
Solo molti anni dopo, grazie anche a “mamma Comit” che, dopo un quindicennio di Nord, dal 1961 al 1976, mi spedì Funzionario di prima nomina in quel di Napoli (ricordo ancora il Direttore di Novara affacciarsi in Segreteria annunziandomi: “D'Angelo, allora, Procuratore d'Agenzia a.... Napoli !”), mi ritrovai nella “quasi” mia città....proprio l'anno che tornò di moda il presepe...
Per me fu come un viaggio nel tempo e, sarà che – come che sia – a Napoli il Natale ha sempre un sapore particolare (io non sono legato agli stereotipi partenopei, tutt'altro, ma qui cedo volentieri allo stereotipo), sebbene avessi raggiunto in materia religiosa le posizioni della buonanima di mio padre, o forse proprio per questo, ho cominciato a fare il presepe per mia figlia....
Nel frattempo, iniziavo allora un percorso di riscoperta – o meglio di scoperta – delle nostre radici: non è questa la sede per riaprire un discorso, ma una cosa è sicura: allora la scuola svolgeva un fortissimo ruolo di “formazione” dell'italiano tipo che, specie al Sud, voleva dire negare, anzi a esser precisi, occultare le culture del luogo d'origine. Ragion per cui, lo studente meridionale era adeguatamente edotto su, ad esempio, Arduino d'Ivrea ma gli era del tutto ignoto tal Console Cesario... e sì che non era l'ultimo fesso, visto che 700 anni prima di Lepanto capeggiò la flotta di Napoli,Gaeta e Amalfi che inflisse un solenne mazziatone ai Saraceni nel mare di Ostia....
E così, fra l'altro, scoprii che il presepe napoletano è anche, per alcuni aspetti, la messa in scena statica di un'incredibile opera teatrale di fine '600: “Il vero Lume fra le tenebre ovvero la spelonca arricchita ovvero la nascita del Verbo Umanato” dell'esimio Dottor Ruggiero Casimiro Ugone.
Ruggiero Casimiro Ugone era lo pseudonimo dell'accademico Andrea Perrucci e l'opera dall'altisonante titolo si è affermata, per i successivi 250 anni, come “La Cantata dei Pastori”.
La trama...bè, solo perchè nel XX secolo c'è stato Hellzapoppin, non detiene la palma assoluta della
demenzialità.
Come definire altrimenti, un lavoro imperniato su Giuseppe e Maria da un lato, impegnati a raggiungere Betlemme, e su una nutrita schiera di diavoli, dall'altro, impegnatissimi a impedire la nascita del “Verbo Umanato” ?
Costoro, i diavoli, tengono all'uopo una riunione di lavoro, all'Inferno ovviamente, presieduta da Plutone e quindi viene spedita in Palestina una scelta compagnia: Asmodeo, Belfagor, Astaroth e Belzebù.
Altri protagonisti sono l'Arcangelo Gabriele che a più riprese nel corso della rappresentazione sventerà le losche manovre della banda diabolica capeggiata da Belfagor, i pastori Armenzio e figlio Benino (il famoso pastore dormiente), il pescatore Ruscellio e il cacciatore Cidonio... ma su tutti spicca Razzullo che, nell'economia dell'opera, potrebbe definirsi elemento di raccordo dato che è il personaggio che si trova, di volta in volta, a interagire un po' con tutti gli altri, le schiere celesti, i pastori, i diavoli, una sorta di filo conduttore.
La singolarità del personaggio sta nel fatto che è un napoletano: solo Iddio e, forse l'autore della
Cantata, sanno cosa diavolo ci faccia in Palestina....oddio, una giustificazione formale Perrucci la fornisce attribuendogli un ruolo di scrivano al seguito dei funzionari romani incaricati del censimento........
L'opera ebbe un grande successo sin dall'inizio perchè veniva rappresentata sia nei principali teatri napoletani, San Ferdinando e Fondo (oggi Mercadante), sia nelle più modeste e sperdute sale parrocchiali dei quartieri popolari, ma, ecco il punto, gli interpreti erano dilettanti, non attori professionisti (questi infatti agivano solo nei teatri veri).
Sia chiaro un punto, dilettante in questo caso non significava 'na cosa alla come viene viene, tutt'altro, erano persone che si preparavano intensamente per mesi per ben figurare nelle uniche due rappresentazioni che si tenevano dopo la mezzanotte di Natale, però... però, dato che ogni quartiere ci teneva a primeggiare, negli anni, proprio grazie al dilettantismo, cominciarono a verificarsi varianti, aggiunte “migliorative”.
Tale fu, ad esempio, l'introduzione di un nuovo personaggio, Sarchiapone, un barbiere napoletano che farà coppia con Razzullo dalla seconda metà dell' 800....
Ma, soprattutto, la vicinanza degli interpreti al pubblico (come detto, dilettanti del luogo) portò
gradualmente ad una trasformazione, da sacra rappresentazione a scombinatissima commedia dell'arte: ben curioso destino per Andrea Perrucci che nel 1691, otto anni prima di partorire la Cantata, aveva scritto una energica difesa della rappresentazione teatrale basata su testi scritti da seguirsi scrupolosamente e contro la tendenza all'improvvisazione della commedia dell'arte.
Ora, mettete insieme un pubblico motteggiatore come quello popolare napoletano, attori dilettanti
dello stesso ambiente, lazzi e frizzi che volavano fra sala e palco, munizioni come fagioli secchi.... e
ritengo che si possa immaginare cosa succedeva.
Infatti, a fine Ottocento un Prefetto pensò bene di vietare per ragioni di ordine pubblico e pubblica decenza queste rappresentazioni, senza gran successo per la verità.
Tant'è vero che mio padre (era del 1909) me ne parlava come ancora rappresentata negli anni prima della guerra, la Seconda, chiaro, mentre la mia consorte mi rivelò che suo padre interpretava Ruscellio (il pescatore).
Da qualche anno, grazie all'opera del grande Peppe Barra, un tempo anima della NCCP (Nuova Compagnia di Canto Popolare) e ricercatore del folklore napoletano più autentico, nel periodo natalizio si rappresenta nuovamente dopo anni di totale oblio.
Se qualcuno si trova da quelle parti nel periodo giusto mi sento di consigliarla.

 

Maurizio D'Angelo

 

 

                   
 

 

 

 

 

 

 

Segnala questa pagina ad un amico: