Piazza Scala News - Natale 2011

 


LA LEGGENDA DEL PESCATORE
Racconto di Antonio Annunziata

 

 

 l'illustrazione inserita nel  racconto è un mio disegno china acquerellato che vuole rendere omaggio 

 a quel grande artista che è stato ed è Renato Guttuso, che, indegnamente, ho cercato di... copiare 

  Antonio Annunziata 

 

 

Tanti e tanti anni fa viveva un pescatore di nome Vito.
Allora avrà avuto una trentina d’anni e da almeno venti andava per mare.
Abitava con la moglie e tre bambini (due maschietti di otto e quattro anni e una femminuccia di sei) a Mazara del Vallo, in uno di quei quartieri tipici fatti di case basse, e tante viuzze così strette che gli odori e i rumori di ciascuna si mischiavano tra loro.
Vito era un brav’uomo, e un pescatore molto apprezzato.
Ogni giorno, quando il sole ancora sonnecchia dietro l’orizzonte, prendeva la sua piccola barca per andare a pescare.
E anche quel giorno, sebbene fosse il 23 di dicembre e fra due giorni sarebbe stato Natale, prese la sua piccola barca per guadagnarsi la giornata.
Se la pesca fosse stata buona – si era detto appena s’incamminò per raggiungere il molo – avrebbe acquistato qualche regalino per il Natale dei suoi bambini, e la collanina di corallo per Elisa, la moglie, che tanto aveva desiderato dopo averla vista esposta sul banco di Peppe al mercatino del giovedì nella piazza del paese.
Quando la fortuna gli diceva bene, Vito nella sua rete riusciva a tirare a bordo orate e spigole, polpi e scorfani, aragoste e merluzzetti, che riusciva a vendere appena fatto rientro in porto.
Raccontano i vecchi che quella mattina il giovane pescatore tirando sulla sua barca la rete, vi trovò impigliato uno stupendo e grosso pesce, di una specie mai vista prima: aveva le squame color argento ed oro, gli occhi grandi e azzurri come il mare, e le pinne del dorso di cristallo.
Era così bello che il buon Vito non ebbe il coraggio di lasciarlo morire a bordo della barca – anche se era sicuro che rivendendolo a qualche ristoratore avrebbe ricavato almeno diecimila lire – e così, dopo averlo baciato sul muso, lo ributtò in mare.
Poi sistemò quanto aveva pescato nelle cassette dividendo i pesci per qualità e grandezza.
Alla fine di queste operazioni, dopo aver issato la vela, indirizzò la prua verso casa.
Il sole si era appena alzato quella mattina del 23 dicembre, e un leggero venticello gonfiava la vela della barca di Vito spingendola verso la costa.
“Fra un paio d’ore sarò al molo, e dopo aver venduto i pesci, andrò nel negozio di zia Teresa a prendere i doni per i miei bambini e, dopo, corro alla piazza da Peppe a comprare la collanina per la mia Elisa…”pensò sorridendo e guardando il cielo azzurro.
Senza neanche rendersene conto, ad un tratto, si addormentò così profondamente che neanche si accorse che involontariamente aveva “girato” il timone verso il largo.
Fu il grido di un gabbiano a svegliarlo quando oramai era il tramonto.
Con sua meraviglia l’uomo vide che davanti a lui c’era una bellissima ragazza dalla pelle bianca come il latte appena munto, i capelli lunghi e verdi come smeraldi, gli occhi azzurri come il mare, simili a quelli di quel pesce che aveva pescato con la rete e che aveva ributtato in acqua.
Dopo essersi dato un pizzicotto per sincerarsi se era sveglio o se stava sognando, e stropicciati gli occhi più volte, chiese, balbettando, alla ragazza che gli stava seduta di fronte chi fosse.
“Mi chiamano Aurora, e sono la figlia del Dio del Mare” rispose sorridendogli
“Sono quel pesce che hai pescato questa mattina e che hai ributtato in mare perché ti dispiaceva vederlo morire…”continuò la bella ragazza
“In fondo al mare tutti ti conosciamo come un uomo buono, e mio padre, il Dio del Mare, mi ha trasformato in quel pesce per metterti alla prova e vedere se per ingordigia di denaro avresti avuto il coraggio di uccidermi per rivendermi al mercato.
“Io ero sicura che non lo avresti fatto, perché sappiamo che sei un bravo pescatore e un uomo buono, e che mai e poi mai avresti catturato altri pesci solo per il gusto di riempire le ceste, ben oltre il tanto necessario per la sopravvivenza tua e della tua famiglia…
“Lasciandomi vivere come pesce, ti sei guadagnato la fiducia di mio padre, e in premio sarai il mio unico sposo…
“Mio padre vuole che io ti porti con me nel palazzo delle Sirene blu, e dei Draghi marini, dove vivremo felici e contenti per mille e mille anni”.
In quel momento il povero Vito non seppe che dire, né cosa rispondere, tanto era confuso e affascinato dalla bellezza di quella ragazza.
In quel momento aveva dimenticato di avere già una moglie e tre figli che lo aspettavano per passare, come tutti gli anni, il Natale raccolti intorno all’alberello e al Presepe.
Senza riuscire ad aprire bocca lasciò che due delfini alati trascinassero la barca in quel mondo fantastico in fondo al mare.
Il castello del Dio del Mare - dove andarono ad abitare – aveva le pareti di corallo, e tutt’intorno c’erano piante marine tempestate di rubini e zaffiri, ed enormi conchiglie nelle quali grosse perle luminose facevano da lampioni dando luce dappertutto.
A Vito sembrò tutto un sogno, un incredibile sogno.
Ogni giorno appena sveglio gli sembrava di toccare il cielo con un dito dalla felicità, per avere accanto a sé una splendida ragazza che sentiva di amare più di ogni cosa al mondo, e che ricambiava il suo amore coprendolo di baci e tenerezze.
Un bel giorno però Vito si svegliò e improvvisamente avvertì che gli mancava qualcosa, e quel qualcosa che gli mancava erano la moglie Elisa, la sua casa e i suoi tre bambini.
Dopo tanti anni Vito pianse, e alla sua Aurora che gli chiese il perché di quelle lacrime, lui, essendo una persona buona ed onesta, rispose dicendo la verità.
“Vorrei tornare a casa, almeno una volta, per vedere come stanno mia moglie e i miei figli, se hanno bisogno di qualcosa…Magari se tuo padre è d’accordo potrei portare loro qualche moneta d’oro, o qualche pietra preziosa…qui ce ne sono tante dappertutto e a voi non servono per vivere…”
Vito era stato per la famiglia l’unico sostentamento e adesso aveva paura che in sua mancanza moglie e figli fossero caduti in povertà, e magari morti.
Aurora benché triste nel vedere il proprio uomo così addolorato accettò che partisse per ritornare al suo paesello.
“Amore mio” disse “vedo nelle tue lacrime la nostalgia dei tuoi cari. Non ti voglio trattenere contro la tua volontà…I due delfini alati che ci hanno condotto al Palazzo ti riporteranno a casa…Porterai con te questo scrigno che, questa è la mia raccomandazione, non dovrai mai aprire per nessuna ragione al mondo. Bada che se lo farai mi perderai per sempre!”
Così detto Vito prese la sua vecchia barca e spinto dai due delfini alati si lasciò portare verso Mazara del Vallo.
Quando giunse a destinazione, quasi non riconobbe il proprio paese: il molo era pieno di barche a motore e pescherecci enormi, la piazza non erano come le ricordava e la gente non era più la stessa.
Al posto dei carretti trascinati da ciuchi ansimanti, c’erano macchine d’ogni tipo, e carrozzine a motore.
Eppure non erano passati poi tanti anni da quando aveva issato la vela per andare a pescare quel 23 dicembre.
Sul molo non c’erano più gli amici di un tempo, e anche i negozi della piazza non erano più gli stessi, mentre la gente gli passava accanto senza riconoscerlo.
Quando vide al centro della piazza un enorme abete tappezzato da mille palle colorate, si ricordò che fra due giorni sarebbe stato Natale e che doveva comperare i regali per i tre figli e la moglie.
Così corse nel negozio di zia Teresa, ma giunto sul posto, il negozio non c’era più e nessuno sapeva chi era questa zia Teresa.
Comprò allora nel vicino negozio di alimentari tante cose buone da mangiare che pagò con due monete d’oro.
Alla moglie Elisa avrebbe regalato le due perle che si era portato e che aveva riposto nella tasca dei pantaloni.
Camminò dunque tra le viuzze del paese per raggiungere casa, ma là dove era una volta, ora non c’era più nulla se non un cumolo di macerie.
Allora si sedete su un sasso e colto dalla malinconia e dalla tristezza cominciò a piangere pensando alla moglie e ai figli.
Ad un tratto vide venire verso di lui due vecchi, e andando loro incontro chiese se sapevano dirgli che fine avesse fatto la sua famiglia e perché la casa dove aveva abitato era stata distrutta.
“La casa del povero Vito?” risposero guardandosi e guardandolo perplessi” Sono anni e anni che non c’è più…E’ stata distrutta da un incendio il giorno di Natale, due giorni dopo che alla povera moglie dissero che il marito era stato inghiottito dal mare…
“In quell’incendio sono morti tutti…
“Di questo Vito, e della sua casa ce lo hanno raccontato i vecchi dei nostri vecchi…Sono almeno cento e cento anni che quel pescatore è morto inghiottito dai pesci…
“Ma dite, voi straniero, come fate a ricordarvi di lui …ormai fa parte della leggenda del paese…E’ una storia che le nostre nonne ci raccontavano quando eravamo piccini, per raccomandarci di stare attenti al mare perché il mare ci dà da mangiare, ma è anche capace di far scomparire e inghiottire le persone buone come quel Vito che era anche un bravo e provetto pescatore se non si sta “accorti”…”
Vito ringraziò i due vecchi, e asciugandosi le lacrime con le mani fece ritorno alla sua barca che aveva lasciato attraccata al molo.
Ormai a Mazara non aveva più scopo restarci e quindi non gli rimaneva che ritornare dalla sua amata Aurora.
Ma come avrebbe fatto per tornare da lei?
Lei non glielo aveva detto, e lui, preso dal desiderio e dalla nostalgia di rivedere moglie e figli, non glielo aveva chiesto.
Pensieroso si ricordò, allora, della scatola magica.
“Forse dentro di essa” pensò” troverò la formula magica che mi farà fare ritorno da Aurora”
E così Vito – non ricordando le raccomandazioni della ragazza – aprì la scatola.
Improvvisamente dalla scatola prese ad uscire una nuvola di fumo azzurro che si sparse dappertutto coprendo il porto e il mare.
E quando, tra quella nuvola azzurra gli parve di scorgere la sua Aurora, la chiamò per nome, gridando, due, tre volte.
A un certo punto gli parve di scorgere Aurora camminare sulle acque verso il mare aperto e, quando lei si volse verso di lui facendogli cenno di seguirlo, Vito si buttò sulla sua povera barca e mollando la cima che la teneva ancorata al molo, prese a remare per raggiungerla.
Ma mentre remava dentro la nuvola azzurra per raggiungere la sua Aurora, a un certo punto si sentì mancare le forze.
Smise così di remare e gridare il nome della ragazza.
Quando la nube azzurra scomparve Vito, guardandosi nelle acque trasparenti, vide che i suoi capelli erano diventati bianchi, e che il viso era solcato da profonde rughe, gli occhi erano diventati di un grigio spento, e le mani vecchie e rinsecchite come tutto il suo corpo.
Fu così che cadde riverso sul fondo della sua barca e il suo cuore smise di battere.
Ancora oggi i vecchi raccontano che il 23 e il 24 di dicembre, durante le notti di luna piena, i pescatori che si spingono in mare, di quando in quando, soprattutto quando spira il vento di scirocco, odono una voce provenire dalle acque profonde.
E’ una voce flebile, piena di angoscia, che chiama, chiama disperatamente.
I vecchi raccontano che i pescatori credono sia la voce della bella Aurora che ancora chiama il suo unico amore.

 

F I N E

 

Per questo racconto mi sono liberamente ispirato alla “Leggenda del pescatore Taro Urashima"

 

 

Antonio Annunziata - Natale 2011
 


 

 

Antonio Annunziata (ex Comit) è nato a Milano il 9 febbraio del 1944. Inizialmente ha pubblicato con Kimerik due romanzi sotto pseudonimo (il secondo dei quali è stato scelto fra i primi cinque del Concorso Letterario "La torre dell'orologio" di Siculiana ).
Nel 2008 ha scritto "Mattia Alba Orazio - Ovvero storia di corna e tradimenti: come vivere felici e contenti"
Nel 2009 "All'ombra di Tavolara" e successivamente "Il bamboccione".
E proprio quest'ultimo romanzo "Una striscia rosso sangue" è il seguito del precedente.

Nel 2010 è uscito il suo ultimo romanzo, "Le colpe dei fichi d'India".

 

 

 

 

 

 

 

 

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