LA LEGGENDA DEL PESCATORE
Racconto di Antonio Annunziata
l'illustrazione inserita nel
racconto è un mio disegno china acquerellato che vuole rendere
omaggio
a quel grande artista che è stato ed è Renato Guttuso, che, indegnamente,
ho cercato di... copiare
Antonio Annunziata
Tanti e tanti anni
fa viveva un pescatore di nome Vito.
Allora avrà avuto una trentina d’anni e da almeno venti andava
per mare.
Abitava con la moglie e tre bambini (due maschietti di otto e
quattro anni e una femminuccia di sei) a Mazara del Vallo, in
uno di quei quartieri tipici fatti di case basse, e tante viuzze
così strette che gli odori e i rumori di
ciascuna si mischiavano tra loro.
Vito era un brav’uomo, e un pescatore molto apprezzato.
Ogni giorno, quando il sole ancora sonnecchia dietro
l’orizzonte, prendeva la sua piccola barca per andare a pescare.
E anche quel giorno, sebbene fosse il 23 di dicembre e fra due
giorni sarebbe stato Natale, prese la sua piccola barca per
guadagnarsi la giornata.
Se la pesca fosse stata buona – si era detto appena s’incamminò
per raggiungere il molo – avrebbe acquistato qualche regalino
per il Natale dei suoi bambini, e la collanina di corallo per
Elisa, la moglie, che tanto aveva desiderato dopo averla vista
esposta sul banco di Peppe al mercatino del giovedì nella piazza
del paese.
Quando la fortuna gli diceva bene, Vito nella sua rete riusciva
a tirare a bordo orate e spigole, polpi e scorfani, aragoste e
merluzzetti, che riusciva a vendere appena fatto rientro in
porto.
Raccontano i vecchi che quella mattina il giovane pescatore
tirando sulla sua barca la rete, vi trovò impigliato uno
stupendo e grosso pesce, di una specie mai vista prima: aveva le
squame color argento ed oro, gli occhi grandi e azzurri come il
mare, e le pinne del dorso di cristallo.
Era così bello che il buon Vito non ebbe il coraggio di
lasciarlo morire a bordo della barca – anche se era sicuro che
rivendendolo a qualche ristoratore avrebbe ricavato almeno
diecimila lire – e così, dopo averlo baciato sul muso, lo
ributtò in mare.
Poi sistemò quanto aveva pescato nelle cassette dividendo i
pesci per qualità e grandezza.
Alla fine di queste operazioni, dopo aver issato la vela,
indirizzò la prua verso casa.
Il sole si era appena alzato quella mattina del 23 dicembre, e
un leggero venticello gonfiava la vela della barca di Vito
spingendola verso la costa.
“Fra un paio d’ore sarò al molo, e dopo aver venduto i pesci,
andrò nel negozio di zia Teresa a prendere i doni per i miei
bambini e, dopo, corro alla piazza da Peppe a comprare la
collanina per la mia Elisa…”pensò sorridendo e guardando il
cielo azzurro.
Senza neanche rendersene conto, ad un tratto, si addormentò così
profondamente che neanche si accorse che involontariamente aveva
“girato” il timone verso il largo.
Fu il grido di un gabbiano a svegliarlo quando oramai era il
tramonto.
Con sua meraviglia l’uomo vide che davanti a lui c’era una
bellissima ragazza dalla pelle bianca come il latte appena
munto, i capelli lunghi e verdi come smeraldi, gli occhi azzurri
come il mare, simili a quelli di quel pesce che aveva pescato
con la rete e che aveva ributtato in acqua.
Dopo essersi dato un pizzicotto per sincerarsi se era sveglio o
se stava sognando, e stropicciati gli occhi più volte, chiese,
balbettando, alla ragazza che gli stava seduta di fronte chi
fosse.
“Mi chiamano Aurora, e sono la figlia del Dio del Mare” rispose
sorridendogli
“Sono quel pesce che hai pescato questa mattina e che hai
ributtato in mare perché ti dispiaceva vederlo morire…”continuò
la bella ragazza
“In fondo al mare tutti ti conosciamo come un uomo buono, e mio
padre, il Dio del Mare, mi ha trasformato in quel pesce per
metterti alla prova e vedere se per ingordigia di denaro avresti
avuto il coraggio di uccidermi per rivendermi al mercato.
“Io ero sicura che non lo avresti fatto, perché sappiamo che sei
un bravo pescatore e un uomo buono, e che mai e poi mai avresti
catturato altri pesci solo per il gusto di riempire le ceste,
ben oltre il tanto necessario per la sopravvivenza tua e della
tua famiglia…
“Lasciandomi vivere come pesce, ti sei guadagnato la fiducia di
mio padre, e in premio sarai il mio unico sposo…
“Mio padre vuole che io ti porti con me nel palazzo delle Sirene
blu, e dei Draghi marini, dove vivremo felici e contenti per
mille e mille anni”.
In quel momento il povero Vito non seppe che dire, né cosa
rispondere, tanto era confuso e affascinato dalla bellezza di
quella ragazza.
In quel momento aveva dimenticato di avere già una moglie e tre
figli che lo aspettavano per passare, come tutti gli anni, il
Natale raccolti intorno all’alberello e al Presepe.
Senza riuscire ad aprire bocca lasciò che due delfini alati
trascinassero la barca in quel mondo fantastico in fondo al
mare.
Il castello del Dio del Mare - dove andarono ad abitare – aveva
le pareti di corallo, e tutt’intorno c’erano piante marine
tempestate di rubini e zaffiri, ed enormi conchiglie nelle quali
grosse perle luminose facevano da lampioni dando luce
dappertutto.
A Vito sembrò tutto un sogno, un incredibile sogno.
Ogni giorno appena sveglio gli sembrava di toccare il cielo con
un dito dalla felicità, per avere accanto a sé una splendida
ragazza che sentiva di amare più di ogni cosa al mondo, e che
ricambiava il suo amore coprendolo di baci e tenerezze.
Un bel giorno però Vito si svegliò e improvvisamente avvertì che
gli mancava qualcosa, e quel qualcosa che gli mancava erano la
moglie Elisa, la sua casa e i suoi tre bambini.
Dopo tanti anni Vito pianse, e alla sua Aurora che gli chiese il
perché di quelle lacrime, lui, essendo una persona buona ed
onesta, rispose dicendo la verità.
“Vorrei tornare a casa, almeno una volta, per vedere come stanno
mia moglie e i miei figli, se hanno bisogno di qualcosa…Magari
se tuo padre è d’accordo potrei portare loro qualche moneta
d’oro, o qualche pietra preziosa…qui ce ne sono tante
dappertutto e a voi non servono per vivere…”
Vito era stato per la famiglia l’unico sostentamento e adesso
aveva paura che in sua mancanza moglie e figli fossero caduti in
povertà, e magari morti.
Aurora benché triste nel vedere il proprio uomo così addolorato
accettò che partisse per ritornare al suo paesello.
“Amore mio” disse “vedo nelle tue lacrime la nostalgia dei tuoi
cari. Non ti voglio trattenere contro la tua volontà…I due
delfini alati che ci hanno condotto al Palazzo ti riporteranno a
casa…Porterai con te questo scrigno che, questa è la mia
raccomandazione, non dovrai mai aprire per nessuna ragione al
mondo. Bada che se lo farai mi perderai per sempre!”
Così detto Vito prese la sua vecchia barca e spinto dai due
delfini alati si lasciò portare verso Mazara del Vallo.
Quando giunse a destinazione, quasi non riconobbe il proprio
paese: il molo era pieno di barche a motore e pescherecci
enormi, la piazza non erano come le ricordava e la gente non era
più la stessa.
Al posto dei carretti trascinati da ciuchi ansimanti, c’erano
macchine d’ogni tipo, e carrozzine a motore.
Eppure non erano passati poi tanti anni da quando aveva issato
la vela per andare a pescare quel 23 dicembre.
Sul molo non c’erano più gli amici di un tempo, e anche i negozi
della piazza non erano più gli stessi, mentre la gente gli
passava accanto senza riconoscerlo.
Quando vide al centro della piazza un enorme abete tappezzato da
mille palle colorate, si ricordò che fra due giorni sarebbe
stato Natale e che doveva comperare i regali per i tre figli e
la moglie.
Così corse nel negozio di zia Teresa, ma giunto sul posto, il
negozio non c’era più e nessuno sapeva chi era questa zia
Teresa.
Comprò allora nel vicino negozio di alimentari tante cose buone
da mangiare che pagò con due monete d’oro.
Alla moglie Elisa avrebbe regalato le due perle che si era
portato e che aveva riposto nella tasca dei pantaloni.
Camminò dunque tra le viuzze del paese per raggiungere casa, ma
là dove era una volta, ora non c’era più nulla se non un cumolo
di macerie.
Allora si sedete su un sasso e colto dalla malinconia e dalla
tristezza cominciò a piangere pensando alla moglie e ai figli.
Ad un tratto vide venire verso di lui due vecchi, e andando loro
incontro chiese se sapevano dirgli che fine avesse fatto la sua
famiglia e perché la casa dove aveva abitato era stata
distrutta.
“La casa del povero Vito?” risposero guardandosi e guardandolo
perplessi” Sono anni e anni che non c’è più…E’ stata distrutta
da un incendio il giorno di Natale, due giorni dopo che alla
povera moglie dissero che il marito era stato inghiottito dal
mare…
“In quell’incendio sono morti tutti…
“Di questo Vito, e della sua casa ce lo hanno raccontato i
vecchi dei nostri vecchi…Sono almeno cento e cento anni che quel
pescatore è morto inghiottito dai pesci…
“Ma dite, voi straniero, come fate a ricordarvi di lui …ormai fa
parte della leggenda del paese…E’ una storia che le nostre nonne
ci raccontavano quando eravamo piccini, per raccomandarci di
stare attenti al mare perché il mare ci dà da mangiare, ma è
anche capace di far scomparire e inghiottire le persone buone
come quel Vito che era anche un bravo e provetto pescatore se
non si sta “accorti”…”
Vito ringraziò i due vecchi, e asciugandosi le lacrime con le
mani fece ritorno alla sua barca che aveva lasciato attraccata
al molo.
Ormai a Mazara non aveva più scopo restarci e quindi non gli
rimaneva che ritornare dalla sua amata Aurora.
Ma come avrebbe fatto per tornare da lei?
Lei non glielo aveva detto, e lui, preso dal desiderio e dalla
nostalgia di rivedere moglie e figli, non glielo aveva chiesto.
Pensieroso si ricordò, allora, della scatola magica.
“Forse dentro di essa” pensò” troverò la formula magica che mi
farà fare ritorno da Aurora”
E così Vito – non ricordando le raccomandazioni della ragazza –
aprì la scatola.
Improvvisamente dalla scatola prese ad uscire una nuvola di fumo
azzurro che si sparse dappertutto coprendo il porto e il mare.
E quando, tra quella nuvola azzurra gli parve di scorgere la sua
Aurora, la chiamò per nome, gridando, due, tre volte.
A un certo punto gli parve di scorgere Aurora camminare sulle
acque verso il mare aperto e, quando lei si volse verso di lui
facendogli cenno di seguirlo, Vito si buttò sulla sua povera
barca e mollando la cima che la teneva ancorata al molo, prese a
remare per raggiungerla.
Ma mentre remava dentro la nuvola azzurra per raggiungere la sua
Aurora, a un certo punto si sentì mancare le forze.
Smise così di remare e gridare il nome della ragazza.
Quando la nube azzurra scomparve Vito, guardandosi nelle acque
trasparenti, vide che i suoi capelli erano diventati bianchi, e
che il viso era solcato da profonde rughe, gli occhi erano
diventati di un grigio spento, e le mani vecchie e rinsecchite
come tutto il suo corpo.
Fu così che cadde riverso sul fondo della sua barca e il suo
cuore smise di battere.
Ancora oggi i vecchi raccontano che il 23 e il 24 di dicembre,
durante le notti di luna piena, i pescatori che si spingono in
mare, di quando in quando, soprattutto quando spira il vento di
scirocco, odono una voce provenire dalle acque profonde.
E’ una voce flebile, piena di angoscia, che chiama, chiama
disperatamente.
I vecchi raccontano che i pescatori credono sia la voce della
bella Aurora che ancora chiama il suo unico amore.
F I N E
Per questo
racconto mi sono liberamente ispirato alla “Leggenda del
pescatore Taro Urashima"
Antonio
Annunziata - Natale 2011
Antonio Annunziata
(ex Comit) è nato a Milano il 9 febbraio del 1944. Inizialmente ha
pubblicato con Kimerik due romanzi sotto pseudonimo (il secondo dei
quali è stato scelto fra i primi cinque del Concorso Letterario "La
torre dell'orologio" di Siculiana ).
Nel 2008 ha scritto "Mattia Alba Orazio - Ovvero storia di corna e
tradimenti: come vivere felici e contenti"
Nel 2009 "All'ombra di Tavolara" e successivamente "Il bamboccione".
E proprio quest'ultimo romanzo "Una striscia rosso sangue" è il
seguito del precedente.
Nel
2010 è uscito il suo ultimo romanzo, "Le colpe dei fichi d'India".