Mentre i falò scoppiettavano già davanti alle due
chiese del mio piccolo paese alle falde dell’Aspromonte (com’era
costumanza inveterata da parte delle due Arciconfraternite i cui
“fratelli” provvedevano con molto anticipo a raccogliere la legna
per i campi e ad ammucchiarla a mo’ di
grande albero sul piccolo sagrato dove, alla vigilia di Natale, lo
accendevano e lo alimentavano per farlo durare fino all’Epifania per
la gioia soprattutto dei bambini che vi giocavano intorno) a mio
padre venne l’idea di regalarci per Natale una gita in automobile.
Non era circostanza consueta lasciare il paese proprio alla vigilia
della ricorrenza, ma lui volle farci una sorpresa a motivo del fatto
che aveva saputo, non si sa come, che un suo caro amico,
proprietario di un’automobile, doveva recarsi fuori paese a rilevare
una persona. La macchina era una Balilla e il proprietario era
Natale L. che si mise a disposizione lui stesso. Disse a mio padre:
“Debbo andare a Palmi a prendere una persona e perciò vi ci posso
portare, ma non riportare”. Mio padre alzò lo sguardo verso il cielo
strizzando gli occhi e, dopo brevissima riflessione, “Va bene” – gli
rispose – “al ritorno prenderemo il treno”. Siamo a cavallo del
1930. Io ero sui quattro anni, mio fratello sui cinque e mia sorella
sui sei. Un altro fratello, di un anno, sarebbe stato affidato per
quelle poche ore alle cure di una mia zia che aveva un figlio della
medesima età o quasi. Quando mio padre ci comunicò la notizia,
scoppiammo di felicità. L’unica che non festeggiò fu mia madre,
riluttante a staccarsi dal figlioletto di un anno. Ma poi si
convinse, anzi la convinse e la rassicurò la stessa sorella alla
quale il piccoletto sarebbe stato affidato. Indossammo i vestitini
della festa e, per mano dei nostri genitori, anch’essi tirati a
lucido, ci presentammo da Natale L. che armeggiava intorno alla
Balilla con uno straccio per spolverarne i vetri. Per la verità
durante il tragitto da casa nostra fino all’auto, il nostro
gruppetto in ghingheri suscitò la curiosità di tanti paesani.
Qualcuno salutò con larghi sorrisi, altri con sguardi e qualche
gesto che miravano a saperne la destinazione. La nostra eccitazione
era al culmine e facemmo a gomitate per riuscire a infilarci a bordo
per primi. Mio padre prese posto a fianco di Natale L. che si
sedette al volante; mia madre, con tutti noi, dietro. Non eravamo
mai saliti a bordo di un’auto (in paese ve n’erano altre due, di
proprietà dei signorotti locali) e dunque si può immaginare quale
fosse la nostra gioia di trovarcisi dentro. Quando poi l’auto si
mise in moto, non riuscimmo a trattenere un innocente battimano e
qualche reciproco pizzicotto fra di noi per attirare maggiore
attenzione su quanto stava succedendo. Uscimmo dal paese lasciandoci
alle spalle i lunghi cipressi del cimitero e una scia di polvere che
l’auto sollevava dalla strada sterrata. Lungo il tragitto
incrociavamo qualche contadino che a cavalcioni del suo asino si
dirigeva nelle campagne. Non c’era altro traffico. Il tracciato
della strada era inserito per intero all’interno di fittissimi
uliveti che dalle nostre parti – a differenza che altrove – hanno
altezza smisurata e assumono, nell’insieme, le fattezze di vere e
proprie foreste argentate. Superammo il borgo di S. Anna e quello di
Seminara. Entrambi davano segni palesi della festa imminente
attraverso gli addobbi delle chiese, gli indumenti nuovi della
gente, il suono qua e là di qualche strumento musicale in chiara
attività di studio, insomma fervevano i preparativi. Poi imboccammo
l’ultimo tratto, in piano, che porta a Palmi.
La macchina superò brevi rettifili in allegria e in breve ci
trovammo davanti all’Istituto Agrario e poco dopo alla stazione
della ferrovia calabro-lucana che da Gioia Tauro collegava i vari
paesini – fra i quali il mio – fino a Sinopoli. Alle spalle della
stazione c’è la strada cosiddetta nazionale che, venendo da nord,
conduce a Reggio Calabria e, poco più in là, si diparte quella che
invece porta al centro di Palmi. La imboccammo e, dopo un lungo
tratto in rettilineo, fra due file di case in prevalenza popolari,
si spalancò davanti a noi la vista del mare con il profilo della
Sicilia. La giornata era fredda e ventosa, sicchè - a ben guardare –
si scorgevano anche le isole Eolie, sulla destra e il profilo della
rocca di Scilla, a sinistra. Uno spettacolo davvero stupefacente.
Giungemmo al centro di Palmi dove fervevano, anche lì, i preparativi
della vigilia. I negozi, pieni di luci e di ogni bendidio, erano
quelli che attiravano di più la nostra curiosità. Non cercavamo che
dolci e qualche giocattolo. Di entrambi v’era abbondanza, ma i
nostri genitori rimasero su posizioni di sobrietà anche perché, al
ritorno e per quanto riguardava i dolci, ci sarebbe stato di che
saziarci con quelli che avrebbe preparato la mamma. Giravamo per le
strade incantati dal fervore della gente, dalle luminarie,
dall’abbondanza della merce esposta nei negozi e dall’allegria
generale che si spandeva per ogni dove. Eravamo felicissimi. Ma lo
fummo ancora di più quando mio padre, nonostante la paventata
sobrietà, decise di consumare qualcosa in una dolceria. Ci
accomodammo a un tavolo e ci venne servita – su richiesta – una
serie variegata di dolci con crema e secchi, di pasta di mandorle,
su un’alzata in ceramica stracolma.
Esitammo, prima di avventarci, fin quando mio padre non ce ne diede
il permesso e poi, in meno che non si dica, il vassoio rimase
sgombro. I genitori e Natale L. fecero in tempo ad afferrare qualche
amaretto e si consolarono con un sorso di malvasia. Noi con la
gazzosa. Poi tutti ci incamminammo per le strade piene della
vivacità della gente, soprattutto dei bambini, che correvano festosi
con i palloncini in mano, fin quando Natale L. non disse ai miei che
doveva recarsi a prelevare e riportare in paese quel signore per il
quale era venuto fin qui. Si dichiarò disponibile a riportarci
almeno fino alla stazione e mio padre, spinto dalla mamma ormai
stanca di girovagare e col pensiero al piccoletto affidato alla
sorella, accettò volentieri. Noi non sapevamo ancora di dover
prendere il treno per il ritorno e quando lo seppimo fummo travolti
dalla contentezza. Era, per noi, una sorpresa che si aggiungeva alla
prima. Il treno era sempre stato per noi bambini una sorta di
giocattolo gigantesco. Lo vedevamo passare dal nostro paese con la
sua chioma di fumo, il suo sferragliare rumoroso ma festoso,
l’ansimante sbuffo della caldaia e, non di rado, l’acutissimo
fischio per avvisare o salutare qualche imprudente che si fosse
avventurato ai margini dei binari per abbreviare il tragitto. E
dunque l’idea di montarvi a bordo ci eccitava in maniera quasi
irrefrenabile. Natale L. ci condusse alla stazione, salutò i nostri
genitori, ci diede un buffetto ciascuno e scomparve con la sua
Balilla. Il cielo ora s’era offuscato per una grossa nuvola che,
sospinta dal vento, si dirigeva verso l’Aspromonte. All’arrivo del
treno mancava circa mezz’ora e per tutto quel tempo la nostra
effervescente allegria mise a dura prova la pazienza dei genitori.
A un tratto, però, un fischio lontano, lacerante ne annunciò
l’arrivo. Mio padre ci chiamò e ci disse di stargli vicino finchè il
treno non si fosse fermato. Noi lo vedevamo arrivare e via via
diventava ai nostri occhi sempre più grande. Poi, procedendo
lentamente, si arrestò davanti alla stazione traendo un prolungato
sbuffo dagli ugelli laterali vicino alle ruote. Scese un po’ di
gente e altrettanta ne salì. Noi corremmo a prender posto in uno
scomparto coi sedili di legno dove ci raggiunsero i genitori. Vicino
al finestrino si sedette mia sorella, in mezzo mio fratello e poi
io; di fronte – sugli altri due posti – i genitori. Dopo che il
capostazione, con tanto di berretto rosso, suonò la trombetta e
agitò verso il macchinista una bandierina verde, il treno partì
sbuffando e inondando l’aria di fumo nero. Mia madre non finiva mai
di raccomandarci che non ci sporcassimo i vestiti col carbone e ci
impose di tenere chiuso il finestrino. Ma noi eravamo felici lo
stesso. Il treno scivolava sui binari dentro vere e proprie gallerie
fatte di ulivi d’alto fusto, in uno stridore continuo di ferraglia e
di sbuffi. Per noi l’intero contesto rappresentava il meglio che si
potesse regalare a dei bambini. Eravamo inebriati. Quando il treno
attraversò il ponte sopra un fiumiciattolo sembrò a noi di essere in
cielo, di volare. E lo stesso quando attraversammo le gallerie: ci
pareva di viaggiare nello spazio. Fu, insomma, un’indimenticabile
avventura, un’ubriacatura che si concluse all’arrivo in paese. Qui
aspettammo che il treno ripartisse verso il capolinea, quasi a non
volercene distaccare, e lo salutammo agitando per aria i nostri
variopinti palloncini. Il macchinista, col solito fare sornione, ci
sorrise sotto i baffi e scomparve nel suo antro dietro una nuvola di
fumo nero. Per noi però la festa vera e propria doveva ancora
incominciare. Dalle nostre parti il Natale si celebra la sera e la
notte del 24 dicembre, la vigilia. Il culmine è raggiunto con la
messa di mezzanotte, celebrata mentre sul sagrato s’innalzano le
fiamme dalla catasta di legna accumulata in precedenza. Le mamme,
così anche la nostra, si dedicano per tutta la serata alla
preparazione di montagne di crespelle e di dolcetti, che verranno
divorati dalla mezzanotte in avanti, con il tacito impegno di andare
a messa il 25, giorno – appunto – di Natale.
Natale 2011 - Lorenzo Milanesi
Lorenzo Milanesi Decenne, lascia la natia Calabria per Milano dove si avvia
agli studi ginnasiali e quindi a quelli classici. Nel 1941,
alle prime avvisaglie belliche, i genitori lo richiamano in Calabria dove
consegue la Maturità classica. Intraprende quindi gli studi di
Giurisprudenza all'Università di Messina. Nel 1946 toma a Milano e viene
assunto dalla Banca Commerciale Italiana. Lavora prima alla Sede di Milano e
quindi, dal 1961 in avanti, alla Direzione Centrale in costante vicinanza
con i vertici dell'Istituto. E' collocato a riposo nel 1986 con il grado di
V. Direttore addetto alla D.C. E' sposato dal 1955.
Ha pubblicato presso la Casa Editrice Rubbettino i seguenti libri:
• CARMELA CUDA - Viaggio d'amore - nel 1997
• TIRAMISU' - ossia l'incontenibile desiderio, nel 2002
• MONTAIGNE - Della Saggezza - (scelta dei testi e traduzione dal francese),
nel 2006
• MONTAIGNE - Socrate a cavallo - Giornale di viaggio in Italia (1580-1581),
nel 2008
• L'ULTIMO CAVALIERE - Don Chisciotte di Miguel De Cervantes - antologia di
brani e presentazione, nel 2009
Lorenzo è uno dei più assidui amici di Piazza Scala, sulle cui pagine è
spesso presente con i suoi articoli.