Piazza Scala News - Natale 2011

 

 

 

      Un Natale lontanissimo - di Lorenzo Milanesi    

 

 

Mentre i falò scoppiettavano già davanti alle due chiese del mio piccolo paese alle falde dell’Aspromonte (com’era costumanza inveterata da parte delle due Arciconfraternite i cui “fratelli” provvedevano con molto anticipo a raccogliere la legna per i campi e ad ammucchiarla a mo’ di grande albero sul piccolo sagrato dove, alla vigilia di Natale, lo accendevano e lo alimentavano per farlo durare fino all’Epifania per la gioia soprattutto dei bambini che vi giocavano intorno) a mio padre venne l’idea di regalarci per Natale una gita in automobile. Non era circostanza consueta lasciare il paese proprio alla vigilia della ricorrenza, ma lui volle farci una sorpresa a motivo del fatto che aveva saputo, non si sa come, che un suo caro amico, proprietario di un’automobile, doveva recarsi fuori paese a rilevare una persona. La macchina era una Balilla e il proprietario era Natale L. che si mise a disposizione lui stesso. Disse a mio padre: “Debbo andare a Palmi a prendere una persona e perciò vi ci posso portare, ma non riportare”. Mio padre alzò lo sguardo verso il cielo strizzando gli occhi e, dopo brevissima riflessione, “Va bene” – gli rispose – “al ritorno prenderemo il treno”. Siamo a cavallo del 1930. Io ero sui quattro anni, mio fratello sui cinque e mia sorella sui sei. Un altro fratello, di un anno, sarebbe stato affidato per quelle poche ore alle cure di una mia zia che aveva un figlio della medesima età o quasi. Quando mio padre ci comunicò la notizia, scoppiammo di felicità. L’unica che non festeggiò fu mia madre, riluttante a staccarsi dal figlioletto di un anno. Ma poi si convinse, anzi la convinse e la rassicurò la stessa sorella alla quale il piccoletto sarebbe stato affidato. Indossammo i vestitini della festa e, per mano dei nostri genitori, anch’essi tirati a lucido, ci presentammo da Natale L. che armeggiava intorno alla Balilla con uno straccio per spolverarne i vetri. Per la verità durante il tragitto da casa nostra fino all’auto, il nostro gruppetto in ghingheri suscitò la curiosità di tanti paesani. Qualcuno salutò con larghi sorrisi, altri con sguardi e qualche gesto che miravano a saperne la destinazione. La nostra eccitazione era al culmine e facemmo a gomitate per riuscire a infilarci a bordo per primi. Mio padre prese posto a fianco di Natale L. che si sedette al volante; mia madre, con tutti noi, dietro. Non eravamo mai saliti a bordo di un’auto (in paese ve n’erano altre due, di proprietà dei signorotti locali) e dunque si può immaginare quale fosse la nostra gioia di trovarcisi dentro. Quando poi l’auto si mise in moto, non riuscimmo a trattenere un innocente battimano e qualche reciproco pizzicotto fra di noi per attirare maggiore attenzione su quanto stava succedendo. Uscimmo dal paese lasciandoci alle spalle i lunghi cipressi del cimitero e una scia di polvere che l’auto sollevava dalla strada sterrata. Lungo il tragitto incrociavamo qualche contadino che a cavalcioni del suo asino si dirigeva nelle campagne. Non c’era altro traffico. Il tracciato della strada era inserito per intero all’interno di fittissimi uliveti che dalle nostre parti – a differenza che altrove – hanno altezza smisurata e assumono, nell’insieme, le fattezze di vere e proprie foreste argentate. Superammo il borgo di S. Anna e quello di Seminara. Entrambi davano segni palesi della festa imminente attraverso gli addobbi delle chiese, gli indumenti nuovi della gente, il suono qua e là di qualche strumento musicale in chiara attività di studio, insomma fervevano i preparativi. Poi imboccammo l’ultimo tratto, in piano, che porta a Palmi.
La macchina superò brevi rettifili in allegria e in breve ci trovammo davanti all’Istituto Agrario e poco dopo alla stazione della ferrovia calabro-lucana che da Gioia Tauro collegava i vari paesini – fra i quali il mio – fino a Sinopoli. Alle spalle della stazione c’è la strada cosiddetta nazionale che, venendo da nord, conduce a Reggio Calabria e, poco più in là, si diparte quella che invece porta al centro di Palmi. La imboccammo e, dopo un lungo tratto in rettilineo, fra due file di case in prevalenza popolari, si spalancò davanti a noi la vista del mare con il profilo della Sicilia. La giornata era fredda e ventosa, sicchè - a ben guardare – si scorgevano anche le isole Eolie, sulla destra e il profilo della rocca di Scilla, a sinistra. Uno spettacolo davvero stupefacente. Giungemmo al centro di Palmi dove fervevano, anche lì, i preparativi della vigilia. I negozi, pieni di luci e di ogni bendidio, erano quelli che attiravano di più la nostra curiosità. Non cercavamo che dolci e qualche giocattolo. Di entrambi v’era abbondanza, ma i nostri genitori rimasero su posizioni di sobrietà anche perché, al ritorno e per quanto riguardava i dolci, ci sarebbe stato di che saziarci con quelli che avrebbe preparato la mamma. Giravamo per le strade incantati dal fervore della gente, dalle luminarie, dall’abbondanza della merce esposta nei negozi e dall’allegria generale che si spandeva per ogni dove. Eravamo felicissimi. Ma lo fummo ancora di più quando mio padre, nonostante la paventata sobrietà, decise di consumare qualcosa in una dolceria. Ci accomodammo a un tavolo e ci venne servita – su richiesta – una serie variegata di dolci con crema e secchi, di pasta di mandorle, su un’alzata in ceramica stracolma.
Esitammo, prima di avventarci, fin quando mio padre non ce ne diede il permesso e poi, in meno che non si dica, il vassoio rimase sgombro. I genitori e Natale L. fecero in tempo ad afferrare qualche amaretto e si consolarono con un sorso di malvasia. Noi con la gazzosa. Poi tutti ci incamminammo per le strade piene della vivacità della gente, soprattutto dei bambini, che correvano festosi con i palloncini in mano, fin quando Natale L. non disse ai miei che doveva recarsi a prelevare e riportare in paese quel signore per il quale era venuto fin qui. Si dichiarò disponibile a riportarci almeno fino alla stazione e mio padre, spinto dalla mamma ormai stanca di girovagare e col pensiero al piccoletto affidato alla sorella, accettò volentieri. Noi non sapevamo ancora di dover prendere il treno per il ritorno e quando lo seppimo fummo travolti dalla contentezza. Era, per noi, una sorpresa che si aggiungeva alla prima. Il treno era sempre stato per noi bambini una sorta di giocattolo gigantesco. Lo vedevamo passare dal nostro paese con la sua chioma di fumo, il suo sferragliare rumoroso ma festoso, l’ansimante sbuffo della caldaia e, non di rado, l’acutissimo fischio per avvisare o salutare qualche imprudente che si fosse avventurato ai margini dei binari per abbreviare il tragitto. E dunque l’idea di montarvi a bordo ci eccitava in maniera quasi irrefrenabile. Natale L. ci condusse alla stazione, salutò i nostri genitori, ci diede un buffetto ciascuno e scomparve con la sua Balilla. Il cielo ora s’era offuscato per una grossa nuvola che, sospinta dal vento, si dirigeva verso l’Aspromonte. All’arrivo del treno mancava circa mezz’ora e per tutto quel tempo la nostra effervescente allegria mise a dura prova la pazienza dei genitori.
A un tratto, però, un fischio lontano, lacerante ne annunciò l’arrivo. Mio padre ci chiamò e ci disse di stargli vicino finchè il treno non si fosse fermato. Noi lo vedevamo arrivare e via via diventava ai nostri occhi sempre più grande. Poi, procedendo lentamente, si arrestò davanti alla stazione traendo un prolungato sbuffo dagli ugelli laterali vicino alle ruote. Scese un po’ di gente e altrettanta ne salì. Noi corremmo a prender posto in uno scomparto coi sedili di legno dove ci raggiunsero i genitori. Vicino al finestrino si sedette mia sorella, in mezzo mio fratello e poi io; di fronte – sugli altri due posti – i genitori. Dopo che il capostazione, con tanto di berretto rosso, suonò la trombetta e agitò verso il macchinista una bandierina verde, il treno partì sbuffando e inondando l’aria di fumo nero. Mia madre non finiva mai di raccomandarci che non ci sporcassimo i vestiti col carbone e ci impose di tenere chiuso il finestrino. Ma noi eravamo felici lo stesso. Il treno scivolava sui binari dentro vere e proprie gallerie fatte di ulivi d’alto fusto, in uno stridore continuo di ferraglia e di sbuffi. Per noi l’intero contesto rappresentava il meglio che si potesse regalare a dei bambini. Eravamo inebriati. Quando il treno attraversò il ponte sopra un fiumiciattolo sembrò a noi di essere in cielo, di volare. E lo stesso quando attraversammo le gallerie: ci pareva di viaggiare nello spazio. Fu, insomma, un’indimenticabile avventura, un’ubriacatura che si concluse all’arrivo in paese. Qui aspettammo che il treno ripartisse verso il capolinea, quasi a non volercene distaccare, e lo salutammo agitando per aria i nostri variopinti palloncini. Il macchinista, col solito fare sornione, ci sorrise sotto i baffi e scomparve nel suo antro dietro una nuvola di fumo nero. Per noi però la festa vera e propria doveva ancora incominciare. Dalle nostre parti il Natale si celebra la sera e la notte del 24 dicembre, la vigilia. Il culmine è raggiunto con la messa di mezzanotte, celebrata mentre sul sagrato s’innalzano le fiamme dalla catasta di legna accumulata in precedenza. Le mamme, così anche la nostra, si dedicano per tutta la serata alla preparazione di montagne di crespelle e di dolcetti, che verranno divorati dalla mezzanotte in avanti, con il tacito impegno di andare a messa il 25, giorno – appunto – di Natale.

Natale 2011 - Lorenzo Milanesi

 

 

Lorenzo Milanesi
Decenne, lascia la natia Calabria per Milano dove si avvia agli studi ginnasiali e quindi a quelli classici. Nel 1941, alle prime avvisaglie belliche, i genitori lo richiamano in Calabria dove consegue la Maturità classica. Intraprende quindi gli studi di Giurisprudenza all'Università di Messina. Nel 1946 toma a Milano e viene assunto dalla Banca Commerciale Italiana. Lavora prima alla Sede di Milano e quindi, dal 1961 in avanti, alla Direzione Centrale in costante vicinanza con i vertici dell'Istituto. E' collocato a riposo nel 1986 con il grado di V. Direttore addetto alla D.C. E' sposato dal 1955.
Ha pubblicato presso la Casa Editrice Rubbettino i seguenti libri:
• CARMELA CUDA - Viaggio d'amore - nel 1997
• TIRAMISU' - ossia l'incontenibile desiderio, nel 2002
• MONTAIGNE - Della Saggezza - (scelta dei testi e traduzione dal francese), nel 2006
• MONTAIGNE - Socrate a cavallo - Giornale di viaggio in Italia (1580-1581), nel 2008
• L'ULTIMO CAVALIERE - Don Chisciotte di Miguel De Cervantes - antologia di brani e presentazione, nel 2009
Lorenzo è uno dei più assidui amici di Piazza Scala, sulle cui pagine è spesso presente con i suoi articoli.

 

 

 

 

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