La data di nascita del Messia, coincidente con
l’inizio della nuova Era, fu stabilita nel VI sec. dopo vari calcoli
del monaco scita Dionigi il Piccolo che la fa risalire all’anno 754
della fondazione di Roma. Però essa è in contrasto con la tradizione
dell’evangelista Matteo che pone la nascita di Gesù sotto il regno
di Erode il Grande morto nel 750, cioè 4 anni prima del computo
fissato da
Dionigi. Riguardo al giorno della nascita nei primi tempi del
Cristianesimo non vi era coincidenza tra le diverse Chiese. Clemente
Alessandrino riportava la data del 18 novembre, il De Pasha computus,
attribuito a Cipriano da Cartagine, al 28 marzo ecc. Secondo la
tradizione della Chiesa romana il Natale, con celebrazione liturgica
fissa, fu stabilito e fissato il 25 dicembre nel IV sec. da Papa
Giulio II. Precise testimonianze sia in Sant’Ambrogio che nel
cronografo del 354 riguardano invece il papato del suo successore
Liberio. La celebrazione avvenne nella Basilica liberiana
sull’Esquilino dove oggi sorge la chiesa di Santa Maria Maggiore.
La festa si diffuse presto in Africa poi a Costantinopoli e
Antiochia (fine IV sec.); in Oriente sostituì la festività del 6
gennaio già considerato giorno natale di Gesù e poi passato a
celebrare l’ Adorazione dei magi in Occidente e il battesimo di Gesù
in Oriente.
La scelta del 25 dicembre e il titolo della festa traggono origine
diretta dal calendario romano che dal III sec. segnava in tale
giorno la celebrazione del “Natale del Sole invitto” (Dies natalis
solis invictis).
In onore del dio Saturno, dio dell’Agricoltura, nell’antica Roma,
annualmente in dicembre (nei giorni tra il 17 e il 23) che
coincidevano con il solstizio d’inverno, si celebravano i Saturnali
con festeggiamenti, danze, sontuosi banchetti illuminati da tante
candele, scambi di doni come i sigillari (i “sigilli” erano statuine
di figure umane e animali). Tale festa pagana continuava un’antica
festa
solstiziale del mondo mediterraneo variamente collegata, a seconda
dei tempi e dei culti, alla celebrazione della nascita di divinità
come Dioniso, Horo e Mitra e alla vicenda annua del Sole che con il
solstizio invernale sembrava tornare sulla Terra grazie al
progressivo allungamento del giorno, quasi come per una rinascita.
Questa simbologia solare, nella scelta del 25 dicembre, fu adottata
dal Cristianesimo per qualificare “luminosamente” la figura del
Cristo.
La consuetudine dei doni natalizi sembra derivare dall’antico
costume delle “strenne”, rami d’albero consacrati che la gente si
scambiava dalle calende di gennaio come augurio di prosperità e di
abbondanza. Secondo la leggenda a inaugurare l’uso sarebbe stato
Tito Tazio re dei Sabini, chiedendo ai suoi sudditi, ogni capodanno,
un ramoscello d’alloro o di ulivo colto nel sacro boschetto della
dea Strenia, da cui deriva il nome “strenne”.
Nel 274 l’Imperatore Aureliano decise che il 25 dic. si festeggiasse
il Sole. Ế da queste origini che risale la tradizione del “ceppo
natalizio”, ceppo che nelle case doveva bruciare per 12 giorni
consecutivi e doveva essere preferibilmente di quercia, un legno con
valore propiziatorio: da come bruciava si presagiva com’era l’anno
futuro. In Umbria e Romagna si faceva ardere un grosso ceppo di
olivo e se ne spargeva poi la cenere nei campi e nelle vigne
pronunciando parole augurali. Così nelle valli del Sieg e del Lahn
in Germania, fino a circa la metà del secolo scorso, un pesante
blocco di quercia ardeva nel focolare tutto l’anno e le sue ceneri
si spargevano nei campi, durante le dodici notti tra Natale ed
Epifania, per stimolare la crescita delle messi. In Provenza il
ceppo di Natale (tréfoir) aveva la virtù, se messo sotto il letto,
di proteggere la casa da incendi e fulmini tutto l’anno e di guarire
il bestiame da varie malattie, mentre le sue ceneri, sparse sui
campi, impedivano che il grano ammuffisse. Tra i serbi si crede che
il ceppo (di quercia, di olivo o di betulla) protegga il raccolto
dalla grandine; in Albania che le ceneri di quel fuoco rendano i
campi più fertili. Il ceppo natalizio nei nostri giorni si è
trasformato nelle luci e nelle candele che addobbano case, alberi e
strade.
Come nella Roma antica, anche oggi a Natale è comune l’uso di
scambiarsi doni ma ai bambini si dice siano portati da Babbo Natale,
personificazione del Natale sotto le spoglie di un vecchio barbuto
con abito e cappello rossi
listati di bianco. Nei paesi anglosassoni invece si dice che i doni
sono portati da Santa Claus, corruzione di Sanctus Nicolaus, cioè
San Nicola di Bari che già nel Medio Evo si festeggiava il 6
dicembre. In Svezia e Danimarca i doni un tempo venivano fatti
recapitare in modi strani e furtivi da speciali messaggeri, talvolta
a cavallo e mascherati per non farsi riconoscere. In molti paesi del
d’Europa, specialmente del centro-nord i doni sono appesi all’albero
(Weinachtsbaum, Christbaum) che rappresenta il centro rituale
della festa con effetto propiziatorio.
L’uso dell’albero di Natale si affermò nei Paesi nordici verso la
fine del XVI sec. In seguito si diffuse in tutta l’Europa offuscando
in parte la tradizione del presepio che è la raffigurazione
realistica della Natività. A San Francesco si attribuisce la prima
ricostruzione della scena che compì a Greccio nel 1223. L’usanza del
Presepio è più diffusa nell’Europa meridionale.
Legata al senso di partecipazione collettiva e al valore
socializzante della festa di Natale, è la svariata confezione di
cibi e dolci natalizi, alcuni dei quali, come agnello, capitone e
anguille, sono dappertutto rituali, altri, come rami di meli in
Sicilia, mustazzoli di zucchero in tutta l’ Italia meridionale, sono
altrettanto tradizionali per il significato simbolico degli
ingredienti o per le forme augurali di fiori o animali che assumono:
tutti sono segni di un festivo collettivo in cui il pranzo comune è
felice momento di aggregazione.
Mariella Di Pasquale
LA COMETA – Il
volto sacro delle stelle –
Il profeta Balaam nel Libro dei Numeri (24-17)
risalente al VI sec. a.C. vedeva la rinascita
del popolo d’Israele annunciata da un evento
astrale straordinario: l’emergere di una stella
speciale, vistosa, foriera di buone novità.
Secondo alcune
teorie astronomiche, verso l’anno 6 o 7 a.C. si
sarebbe verificata una particolare congiuntura
astrale che vide i due pianeti Giove e Saturno
entrare nella costellazione dei Pesci e
allineandosi avrebbero causato un fenomeno
particolarmente luminoso. Questo fenomeno
sarebbe in relazione con l’evento descritto nel
Vangelo di Matteo: alcuni màgoi , che secondo lo
storico greco Erodoto (VI sec. a.C.) erano
sacerdoti del popolo dei Medi dediti allo studio
dei corpi celesti, notarono un astro
particolarmente brillante che secondo la loro
dottrina specifica poteva intendersi come legato
alla nascita del figlio di un re. La teoria
sembra condivisa da Simo Parpola docente di
Assirologia all’Università di Helsinki, il quale
vede il viaggio dei Magi in accordo con certe
fonti storiche e pone la prima manifestazione
del fenomeno celeste agli inizi di ottobre,
seguito, ai primi di dicembre, da un secondo
evento astronomico. La stella osservata, secondo
la sua ricostruzione, non era quindi una cometa
(e va detto che il testo greco del Vangelo non
parla di comete, cioè “kométes,”, ma dice solo
“un astro”, “ò astèr”), bensì una
sovrapposizione ottica dovuta all’allineamento
dei due pianeti. Si pensa inoltre che i Re Magi
furono proprio dei personaggi storici reali. Si
sa che nell’anno 614 i Persiani del re Cosroe II
invasero la Palestina ma non distrussero la
basilica della Natività a Betlemme perché sulla
facciata c’era un mosaico bizantino che
raffigurava proprio l’adorazione dei Magi e, in
base agli ornamenti speciali dei loro abiti, i
Persiani li riconobbero come nobili del loro
popolo.
L’immagine della stella come espressione del
divino era comune anche nel linguaggio
figurativo pagano. Perfino l’Imperatore
Costantino, uomo romano per cultura gusti e
mentalità, secondo la tradizione lesse la sua
futura vittoria proprio in un fenomeno apparso
in cielo: la scelta di aderire al cristianesimo,
cui già apparteneva la madre Elena, dipese
dall’aver visto le iniziali del nome di Cristo
(X e P, nella sua forma greca Christòs)
disegnate fra le nubi in modo rifulgente, così,
consultati gli astrologi, si sentì dare dai
sacerdoti cristiani quel responso passato poi
alla civiltà latina con la frase in hoc signo vinces.