Piazza Scala News - Natale 2011

 

 

Origini del Natale - Le Comete

di Mariella Di Pasquale


 

La data di nascita del Messia, coincidente con l’inizio della nuova Era, fu stabilita nel VI sec. dopo vari calcoli del monaco scita Dionigi il Piccolo che la fa risalire all’anno 754 della fondazione di Roma. Però essa è in contrasto con la tradizione dell’evangelista Matteo che pone la nascita di Gesù sotto il regno di Erode il Grande morto nel 750, cioè 4 anni prima del computo fissato da Dionigi. Riguardo al giorno della nascita nei primi tempi del Cristianesimo non vi era coincidenza tra le diverse Chiese. Clemente Alessandrino riportava la data del 18 novembre, il De Pasha computus, attribuito a Cipriano da Cartagine, al 28 marzo ecc. Secondo la tradizione della Chiesa romana il Natale, con celebrazione liturgica fissa, fu stabilito e fissato il 25 dicembre nel IV sec. da Papa Giulio II. Precise testimonianze sia in Sant’Ambrogio che nel cronografo del 354 riguardano invece il papato del suo successore Liberio. La celebrazione avvenne nella Basilica liberiana sull’Esquilino dove oggi sorge la chiesa di Santa Maria Maggiore.
La festa si diffuse presto in Africa poi a Costantinopoli e Antiochia (fine IV sec.); in Oriente sostituì la festività del 6 gennaio già considerato giorno natale di Gesù e poi passato a celebrare l’ Adorazione dei magi in Occidente e il battesimo di Gesù in Oriente.
La scelta del 25 dicembre e il titolo della festa traggono origine diretta dal calendario romano che dal III sec. segnava in tale giorno la celebrazione del “Natale del Sole invitto” (Dies natalis solis invictis).
In onore del dio Saturno, dio dell’Agricoltura, nell’antica Roma, annualmente in dicembre (nei giorni tra il 17 e il 23) che coincidevano con il solstizio d’inverno, si celebravano i Saturnali con festeggiamenti, danze, sontuosi banchetti illuminati da tante candele, scambi di doni come i sigillari (i “sigilli” erano statuine di figure umane e animali). Tale festa pagana continuava un’antica festa solstiziale del mondo mediterraneo variamente collegata, a seconda dei tempi e dei culti, alla celebrazione della nascita di divinità come Dioniso, Horo e Mitra e alla vicenda annua del Sole che con il solstizio invernale sembrava tornare sulla Terra grazie al progressivo allungamento del giorno, quasi come per una rinascita. Questa simbologia solare, nella scelta del 25 dicembre, fu adottata dal Cristianesimo per qualificare “luminosamente” la figura del Cristo.
La consuetudine dei doni natalizi sembra derivare dall’antico costume delle “strenne”, rami d’albero consacrati che la gente si scambiava dalle calende di gennaio come augurio di prosperità e di abbondanza. Secondo la leggenda a inaugurare l’uso sarebbe stato Tito Tazio re dei Sabini, chiedendo ai suoi sudditi, ogni capodanno, un ramoscello d’alloro o di ulivo colto nel sacro boschetto della dea Strenia, da cui deriva il nome “strenne”.
Nel 274 l’Imperatore Aureliano decise che il 25 dic. si festeggiasse il Sole. Ế da queste origini che risale la tradizione del “ceppo natalizio”, ceppo che nelle case doveva bruciare per 12 giorni consecutivi e doveva essere preferibilmente di quercia, un legno con valore propiziatorio: da come bruciava si presagiva com’era l’anno futuro. In Umbria e Romagna si faceva ardere un grosso ceppo di olivo e se ne spargeva poi la cenere nei campi e nelle vigne pronunciando parole augurali. Così nelle valli del Sieg e del Lahn in Germania, fino a circa la metà del secolo scorso, un pesante blocco di quercia ardeva nel focolare tutto l’anno e le sue ceneri si spargevano nei campi, durante le dodici notti tra Natale ed Epifania, per stimolare la crescita delle messi. In Provenza il ceppo di Natale (tréfoir) aveva la virtù, se messo sotto il letto, di proteggere la casa da incendi e fulmini tutto l’anno e di guarire il bestiame da varie malattie, mentre le sue ceneri, sparse sui campi, impedivano che il grano ammuffisse. Tra i serbi si crede che il ceppo (di quercia, di olivo o di betulla) protegga il raccolto dalla grandine; in Albania che le ceneri di quel fuoco rendano i campi più fertili. Il ceppo natalizio nei nostri giorni si è trasformato nelle luci e nelle candele che addobbano case, alberi e strade.
Come nella Roma antica, anche oggi a Natale è comune l’uso di scambiarsi doni ma ai bambini si dice siano portati da Babbo Natale, personificazione del Natale sotto le spoglie di un vecchio barbuto con abito e cappello rossi listati di bianco. Nei paesi anglosassoni invece si dice che i doni sono portati da Santa Claus, corruzione di Sanctus Nicolaus, cioè San Nicola di Bari che già nel Medio Evo si festeggiava il 6 dicembre. In Svezia e Danimarca i doni un tempo venivano fatti recapitare in modi strani e furtivi da speciali messaggeri, talvolta a cavallo e mascherati per non farsi riconoscere. In molti paesi del d’Europa, specialmente del centro-nord i doni sono appesi all’albero (Weinachtsbaum, Christbaum) che rappresenta il centro rituale della festa con effetto propiziatorio.
L’uso dell’albero di Natale si affermò nei Paesi nordici verso la fine del XVI sec. In seguito si diffuse in tutta l’Europa offuscando in parte la tradizione del presepio che è la raffigurazione realistica della Natività. A San Francesco si attribuisce la prima ricostruzione della scena che compì a Greccio nel 1223. L’usanza del Presepio è più diffusa nell’Europa meridionale.
Legata al senso di partecipazione collettiva e al valore socializzante della festa di Natale, è la svariata confezione di cibi e dolci natalizi, alcuni dei quali, come agnello, capitone e anguille, sono dappertutto rituali, altri, come rami di meli in Sicilia, mustazzoli di zucchero in tutta l’ Italia meridionale, sono altrettanto tradizionali per il significato simbolico degli ingredienti o per le forme augurali di fiori o animali che assumono: tutti sono segni di un festivo collettivo in cui il pranzo comune è felice momento di aggregazione.

 

Mariella Di Pasquale

 

 

 

LA COMETA – Il volto sacro delle stelle –

Il profeta Balaam nel Libro dei Numeri (24-17) risalente al VI sec. a.C. vedeva la rinascita del popolo d’Israele annunciata da un evento astrale straordinario: l’emergere di una stella speciale, vistosa, foriera di buone novità. Secondo alcune teorie astronomiche, verso l’anno 6 o 7 a.C. si sarebbe verificata una particolare congiuntura astrale che vide i due pianeti Giove e Saturno entrare nella costellazione dei Pesci e allineandosi avrebbero causato un fenomeno particolarmente luminoso. Questo fenomeno sarebbe in relazione con l’evento descritto nel Vangelo di Matteo: alcuni màgoi , che secondo lo storico greco Erodoto (VI sec. a.C.) erano sacerdoti del popolo dei Medi dediti allo studio dei corpi celesti, notarono un astro particolarmente brillante che secondo la loro dottrina specifica poteva intendersi come legato alla nascita del figlio di un re. La teoria sembra condivisa da Simo Parpola docente di Assirologia all’Università di Helsinki, il quale vede il viaggio dei Magi in accordo con certe fonti storiche e pone la prima manifestazione del fenomeno celeste agli inizi di ottobre, seguito, ai primi di dicembre, da un secondo evento astronomico. La stella osservata, secondo la sua ricostruzione, non era quindi una cometa (e va detto che il testo greco del Vangelo non parla di comete, cioè “kométes,”, ma dice solo “un astro”, “ò astèr”), bensì una sovrapposizione ottica dovuta all’allineamento dei due pianeti. Si pensa inoltre che i Re Magi furono proprio dei personaggi storici reali. Si sa che nell’anno 614 i Persiani del re Cosroe II invasero la Palestina ma non distrussero la basilica della Natività a Betlemme perché sulla facciata c’era un mosaico bizantino che raffigurava proprio l’adorazione dei Magi e, in base agli ornamenti speciali dei loro abiti, i Persiani li riconobbero come nobili del loro popolo.
L’immagine della stella come espressione del divino era comune anche nel linguaggio figurativo pagano. Perfino l’Imperatore Costantino, uomo romano per cultura gusti e mentalità, secondo la tradizione lesse la sua futura vittoria proprio in un fenomeno apparso in cielo: la scelta di aderire al cristianesimo, cui già apparteneva la madre Elena, dipese dall’aver visto le iniziali del nome di Cristo (X e P, nella sua forma greca Christòs) disegnate fra le nubi in modo rifulgente, così, consultati gli astrologi, si sentì dare dai sacerdoti cristiani quel responso passato poi alla civiltà latina con la frase
in hoc signo vinces.

M.D.P.



 

 

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