Il club dei suicidi (un racconto inedito di Fortuna Della Porta)

 

Mirko Maria fu il primo ad arrivare. Allargò le maglie della recinzione che aveva spezzato con un tronchetto durante il primo sopralluogo e si diresse verso il capannone. Era in anticipo di una buona mezz’ora, ma come organizzatore era giusto che si presentasse prima degli altri. Dopo tutto aveva alcune cose da sistemare.
Il luogo gli era subito sembrato perfetto. Alla periferia della città, era in ottimo stato. Stava appena assumendo la patina grigiastra del tempo e quasi tutte le finestre erano senza vetri, ma per il resto sembrava solido. Mirko Maria lì per lì si era domandato perché non se ne fossero impadroniti tossici ed extracomunitari, sempre alla ricerca di un tetto alla buona e isolato, ma poi si era reso conto che la zona pullulava di fabbriche dismesse.
Nell’edificio basso e allungato, un tempo si confezionavano calze per i due sessi e per ogni età e, sebbene, come considerò, i piedi umani continuano a essere due, la fabbrica era stata chiusa. Aveva sentito talora parlare di crisi e di localizzazione degli stabilimenti in paesi esteri con manodopera a buon mercato. Doveva essere vero. Mirko Maria da almeno un anno non si teneva al passo con gli eventi. Aveva preferito concentrarsi su di sé.
Quando entrò, gli parve di vedere le maestranze di giovani donne controllare la qualità dei prodotti sui lunghi tavoli, prima che fossero imbustati. Avvertì uno stropiccio di carta cellophan, da quei sacchetti che contengono le calze delle signore. Ma fu solo un attimo.
In un angolo, la sera precedente aveva poggiato una borsa con delle lampade ricaricabili, alcune bottiglie di cognac e il suo flacone. Tirò fuori le prime, le sistemò su una specie di banco e si domandò quanti ragazzi stesse aspettando. Non poteva saperlo. Gli avevano risposto una ventina di coetanei con i quali si era tenuto in contatto per qualche tempo, prima di rivelare i suoi propositi, ma non era ragionevole immaginare che sarebbero venuti tutti.
Da quando aveva deciso di farla finita, non aveva più abbandonato quell’idea ed essa era diventata in breve un vero e proprio assillo. Per giornate intere si concentrava sui suoi pensieri nel chiuso della sua stanza, steso sul letto, le braccia incrociate dietro il collo, lo sguardo al soffitto. In seguito, pigiando se pur di malavoglia sui tasti del computer, aveva scoperto che la rete offriva una caterva di indicazioni, persino con suggerimenti sul modo di farlo nella maniera più indolore possibile. Come per l’anoressia, pensò con una lieve angoscia.
Dal giorno che era morta Clara, quella parola gli tornava sovente nella mente e nei discorsi. Quando aveva cominciato a penetrare quel mondo sconosciuto, era rimasto frastornato dalla miriade di siti che davano consigli e opinioni su come astenersi dal cibo e ingannare i genitori con il trucco, per esempio, di nascondere bocconi nel tovagliolo. Più di tutto aveva trovato terribili le foto di scapole appuntite, costole e sterno in bella vista.
Lo stesso era accaduto quando l’intenzione di uccidersi aveva cominciato a ossessionarlo e anche questa volta in rete aveva trovato l’indescrivibile, anche tanti compagni di avventura e molti gli erano sembrati determinati ad andare fino in fondo. Sebbene non si possa mai essere certi dei profili che si offrono sul web, pareva che alcuni dei suoi contatti risiedessero all’estero, ma se il computer avvicina i pensieri della gente, non è tanto miracoloso da avvicinare anche i corpi.
Insomma, considerò Mirko Maria, è difficile che Jean abbia preso un treno da Lione per raggiungermi e Louis dalla Scozia.  In ogni modo si dispose ad attendere anche loro.
L’idea di creare un gruppo con lo scopo di un suicidio collettivo l’aveva avuta leggendo un quotidiano che riportava la notizia di alcuni casi di morti procurate e simultanee avvenute nel giro di un mese in Giappone, dove pareva si stesse imponendo tra i giovani una sorta di moda macabra e aveva cominciato a informarsi e a indagare.
Pensò ai titoloni dei giornali: Venti ragazzi mettono fine alla loro vita in un edificio abbandonato la notte di Natale e poi psicologi e sedicenti esperti a parlare dei mali della società, delle malattie della famiglia e bla, bla, bla, senza capire nulla di quanto sia oscuro l’animo umano.
Desiderò versarsi un sorso di cognac. Guardò i bicchieri di plastica, ma non gli sembrò leale. Aveva pianificato un rito comune e così sarebbe stato.
Guardò l’orologio. Mancava un quarto alle 22 e sentiva freddo. Aveva appoggiato un cartone ai finestroni più vicini ma, se pure la serata si potesse giudicare tiepida per essere dicembre inoltrato, provò un brivido.
In lontananza la città splendeva delle luci aggiuntive del Natale. Erano visibili gli edifici più alti, coperti da quella sorta di maglia luminosa che si usa anche per gli alberi.
Mirko Maria si disse che trovava odioso addobbare gli alberi, un modo per infliggere loro una sofferenza, con quelle puntine calde e innaturali.
D’improvviso colse lo scalpiccio di un passo sulla ghiaia. Aveva, secondo l’accordo, appiccicato una X nera su fondo bianco su alcuni punti della rete di recinzione e quindi nessuno avrebbe avuto difficoltà a trovare il luogo.
Uscì sulla porta e aspettò che l’altro si avvicinasse.
- Salve
dissero quasi contemporaneamente e subito dopo Mirko Maria si presentò:
- Mirko Maria, ciao. Benvenuto. Sei Paolo, vero?
- Così dicono
Mirko Maria si spostò di lato e il compagno cominciò a togliersi i guanti ficcandoli in una tasca del giubbino. Poi gettò quest’ultimo verso il muro.
Si guardarono per un po’ in silenzio. Mirko Maria si domandò se anche l’altro fosse sorpreso quanto lui. Si era aspettato un ragazzo provato, un irregolare, un drogato. Paolo aveva l’aspetto rassicurante del bravo ragazzo, sano, ben vestito. Lo aveva pensato anche la prima volta che aveva visto apparire sullo schermo le sue foto. Proprio la stessa immagine che dava di sé.
Dallo sgabello su cui si era seduto, Paolo cominciò a dondolarsi leggermente in avanti, le dita intrecciate.
- So cosa stai pensando…Non ho l’aspetto del disperato, dell’emarginato.
-Un aspirante suicida s’immagina che…
Paolo lo interruppe agitando la mano destra. Esitò un istante e recitò quasi avesse imparato una lezione.
- Luoghi comuni…Pure banalità.
Mirko Maria convenne con un cenno del capo e Paolo proseguì che aveva meditato a lungo e aveva concluso che non esiste una sola causa sufficientemente grave che possa indurre al suicidio. È una determinazione che nasce dentro alcuni individui, forse una distorsione genetica, che niente ha a che vedere con circostanze oggettive. Le persone quasi sempre hanno la capacità di sopportare lutti e dolore e difatti spesso il motivo scatenante di un suicidio è così futile…Ma lui non ce la faceva più. Questo era sicuro. Doveva venire fuori in qualche modo dal bruciore che aveva dentro. Non voleva aspettare un secondo di più.
- Io, in particolare, ho una famiglia più che regolare e amorevole. Certo alti e assi, come in tutte le case…Ma non riesco a vedere che nero davanti a me.
Sempre dondolandosi lievemente a questo punto Paolo tacque. Mirko Maria lo aveva ascoltato interessato senza interromperlo. Di tanto in tanto assentiva con la testa. Poi Mirko Maria si alzò, girò su se stesso e sbottò:
- Credi che siamo pazzi a pensare di morire? Sì, insomma, che sia la nostra una sorta di malattia mentale…
Pronunciate a voce alta, le parole risuonarono in un’eco che si perse in lontananza.
Si era levato il vento che s’insinuava dalle fessure con un sibilo. Paolo si sistemò il collo alto del maglione e tirò un sospiro. Riprese a parlare alla fine col tono di chi la sa lunga sull’argomento:
- Pazzi no. Noi viviamo la condizione estrema di ritenere la vita insopportabile. Abbiamo tentato… Hai tentato, vero?... di migliorare le cose. Ci sei riuscito? Io no, ergo…
Ora di nuovo seduto e con le braccia dietro la testa, Mirko Maria si fermò un attimo, con lo sguardo perso nel vuoto.
- Mi sono sforzato, altroché, ammise. Mia madre mi ha anche imposto uno psicologo…Ma nulla è mutato in un intero anno. Alzarmi la mattina, andare a scuola, incontrare persone è un dolore feroce.
- Io non li ascolto…Di tanto in tanto gli esseri umani li paragono ai pesci in una boccia, con le guance che si aprono e si chiudono nel parlare. Ho smesso di ascoltare…
Di fuori si sentì di nuovo un rumore di passi e di scatto si alzarono.
Sebbene ancora lontana si accorsero che si trattava di una ragazza.
- Deve essere Sabina, disse Mirko Maria.
Lei intanto si guardò intorno e li scorse accennando con la mano un saluto, poi si mise a camminare sulle punte per evitare che il tacco dello stivale entrasse nella ghiaia. Quando entrò, l’aiutarono a togliersi il giaccone.
Poco dopo Mirko Maria versò un dito di cognac nel bicchiere.
- Solo un sorso, non uno di più, prima di essere certi che non verrà più nessuno.
- Che ore sono, domandò Sabina?
Bagnandosi le labbra, Paolo girò il polso per guardare il quadrante dell’orologio.
- Sono appena passate le dieci, disse. Si può cominciare.
Bevendo anche lui un sorso, Mirko Maria pensò che quella decisione toccava a lui e che era giusto attendere ancora un quarto d’ora. Essendo la notte di Natale, c’era caos dappertutto e qualcuno poteva essere in ritardo. Bisognava considerare anche questa ipotesi. Ma, quando parlò, nessuno dei due reagì come se non lo avessero sentito. Sembravano studiarsi. Sabina era anche più alta di Paolo, con capelli lisci e neri. Indossava la divisa di ogni adolescente che terminava in quegli assurdi stivali da rischiare in ogni momento di spezzarsi il malleolo. Anche il jeans era nero, come le tonalità del trucco, che intorno agli occhi si stendeva quasi a comprendere tutta l’orbita.
- Sei carina, disse Mirko Maria.
- Può darsi, non mi sembra.
 Prese un pacchetto di sigarette dalla tracolla e ne accese una. Tirò una lunga boccata:
- Allora? domandò. Incominciamo?
Con pazienza Mirko Maria ripeté che poteva esserci qualcun altro in arrivo. Bisognava dargli tempo, a causa del traffico natalizio.
In quel momento Paolo si girò verso di lui e disse enfaticamente sollevando il bicchiere:
- Bravo, alla salute
- Questa poi!
- Dico sul serio. Questa trovata di farla finita la notte di Natale mi sembra geniale,

replicò Paolo, sempre col bicchiere in alto. E proseguì:
- Così allusiva, simbolica. Se lo ricorderanno finché campano.
- Vorrei vederli tutti morti! urlò d’improvviso Sabina,
Il tono era tanto isterico che Paolo le chiese subito con chi ce l’avesse. Anche Mirko Maria pensò a una delusione d’amore, ma Sabina precisò:
- Mia madre, è lei che odio. Oddio, è lei che vorrei vedere morta.
Drizzandosi quasi con un balzo dalla sedia di legno e muovendo qualche passo, Paolo la osservò chinando alquanto il capo sulla spalla destra.
- Pupa, non ci si ammazza per fare un dispetto a un altro. La tua motivazione non è valida. Bisogna morire per se stessi, per la propria pace. Non sei pronta, secondo me. Torna a casa.
Come se l’avessero schiaffeggiata Sabina si sentì le lacrime infiammarle negli occhi. Si avventò in un angolo e raccolse un pezzo di vetro, appoggiandoselo sul polso.
- Vuoi vedere che lo faccio adesso, a modo mio, senza chiedere il permesso a nessuno? Non ti permettere di giudicare.
Anche Mirko Maria ritenne che aveva ragione e che Paolo aveva esagerato. Nessuno era lì per sindacare le ragioni degli altri. Erano tutti e tre maggiorenni in grado di fare delle scelte autonome.
- Sei maggiorenne, vero? Non avrai mentito?
Per tutta risposta Sabina gridò:
- Che t’importa?
Nella concitazione che si era creata, non si accorsero del nuovo arrivato se non quando disse:
- Sono in ritardo? Perdonatemi.
Si volsero verso di lui e lo riconobbero. Era Tommaso e veniva dal nord. Aveva i capelli biondi e ricci e gli occhi lavati dei montanari che si videro anche nella poca luce. Sabina, d’improvviso del tutto calma, gli mise in mano il bicchiere che prese dal tavolo, poi girò con la bottiglia.
- Piano, disse Paolo, se ci ubriachiamo finiamo col perdere il controllo. Bisogna seguire la procedura concordata. Non perdete di vista il vostro flacone. Una pillola e un sorso…di seguito…senza fermarsi.
Di nuovo Mirko Maria si sentì scavalcato. Avrebbe dovuto dirle lui quelle parole, Toccava a lui scandire di volta in volta le fasi del programma. Non disse nulla.
Il nuovo arrivato si sedette tra Sabina e Paolo, aveva la luce proprio di fronte.
- Beh, disse a un tratto. Chi comincia?
- Non comincia nessuno. Si marcia insieme. Una pillola e un sorso. S’è già deciso.
Quando sorrise nell’assentire, Tommaso mostrò gli incisivi separati nel mezzo. I denti erano bianchissimi e sottili.
- Forse dovremmo provare a raccontare qualcosa di noi. Non ci si può uccidere senza aver detto tutto quello che abbiamo nel fondo. Del resto io mi rifiuto di morire senza aver capito il perché di questo macigno che mi rende così diverso…Così solo…
Di nuovo Paolo riprese il discorso di poco prima e cioè che non vedeva una causa possibile per un suicidio. Ripeté meccanicamente:
- L’istinto vitale è talmente forte che nulla può indurre a rinunciare alla vita, a meno che non sia proprio l’istinto vitale a essere compromesso per ragioni che risiedono nel mistero della mente. L’impulso al suicidio, secondo me, è del tutto incomprensibile e irrazionale, eppure non riesco a sottrarmi al suo richiamo. Una specie di fascinazione morbosa…
- Come si rompe l’istinto dell’alimentazione nell’anoressia. Vuoi dire questo? domandò Mirko Maria.
Paolo lo osservò ammirato, affermando che non ci aveva mai pensato, ma era un discorso plausibile.
Fu a questo punto che Mirko Maria guardò l’ora e disse che si poteva iniziare perché erano quasi le 10 e mezzo.  Di fuori si sentì uno stormire di foglie.
- Siamo in pochini, osservò Sabina. Tutti fifoni, alla resa dei conti.
Nel frattempo Mirko Maria aveva allineato ancora una volta i quattro flaconi sul tavolo e al suo tolse il tappo. Riempì i bicchieri di cognac.
Poi, sollevando il braccio, con una compressa tra il pollice e l’indice dell’altra mano, assunse un’aria grave.
- Amici, recitò enfatico, ci siamo. Prendete le vostre pillole. Amici, ribadì, spero che nella nuova vita che andiamo a intraprendere ci sia per tutti più pace che di qua.
Senza lasciarlo finire, Tommaso commentò:
- Ottimo! Ottimo! Ma voi, proseguì meno concitato, cosa sperate di trovare di là? Capisco la mia, la nostra, frustrazione per essere così infelici, così incompresi e soli, ma quale tipo di sollievo ci aspettiamo? Descrivetemelo. Dobbiamo provarci…
Subito Sabina obiettò che aveva lasciato il liceo proprio per non vedersela con la filosofia e quindi quei ragionamenti contorti per lei erano inutili. Da morta non sarebbe stata di sicuro così arrabbiata e disperata.
- Io invece sono convinto che chi minaccia di suicidarsi in realtà leva un grido d’aiuto, vorrebbe essere ascoltato.
Sia Paolo che Tommaso ebbero un sorriso nervoso. Ma da dove veniva questo qui? Voleva farla finita o li stava prendendo in giro?
Quasi rispondendo al loro pensiero Tommaso dichiarò che in verità non aveva mai avuto desiderio di morte, invece era venuto per ascoltarli. Ecco, era venuto per capire.
Il primo a reagire fu Mirko Maria, che gli afferrò il colletto della camicia, che fuoriusciva dal pullover, lasciando cadere la pillola.
- Ci hai preso in giro?
Anche Paolo sembrava turbato, ma disse solo:
- Lascialo andare.
E poi rivolto a Tommaso che aveva le guance arrossate per la stretta:
- Raccogli i tuoi stracci e vattene.
Subito Mirko Maria lasciò la presa e il ragazzo si ricompose.
- Vi propongo un gioco,
disse tranquillissimo, come se non fosse successo nulla.
Avvicinato lo zaino che aveva portato in spalla, allentò la cinghia di chiusura e, infilata dentro una mano, cominciò a tirare fuori fazzoletti legati, come un illusionista e Sabina, sbuffando una boccata di fumo dall’ennesima sigaretta, proruppe in una risata isterica:
- Non siamo a teatro! Smettila.
- Ma è la notte di Natale. È lecito un piccolo scherzo.
Nel frattempo Tommaso continuava a ficcare la mano nella sacca e a tirare fuori palle colorate, strisce variopinte. In sottofondo si sentiva un suono di cornamuse.
- Finiscila, buffone!
disse anche Paolo, mentre Mirko Maria sembrava sopraffatto dalla quantità di oggetti che orami avevano invaso tutto lo spazio davanti ai loro piedi. Era impossibile che tutta quella mercanzia fosse entrata nello zaino.
- Ma che significa?
domandò stupito.
Continuando a tirare fuori freneticamente le sue meraviglie Tommaso disse:
- È questa la vita, amici. Non si sa mai cosa verrà fuori dal sacco, cosa ci aspetta dietro l’angolo. Dopo i fazzoletti neri ci sono quelli variegati ed è probabile che diventeremo adulti e avremo dei figli perché il mondo è come questo zaino pieno di sorprese e bellezze.
In quel momento una candela rotonda che Tommaso aveva tra le mani, dopo averla tirata fuori, come animata da una forza propria si sollevò raggiungendo il davanzale del finestrone. Alla corrente d’aria che attraversava il cartone, la fiamma vacillò ma non si spense.
La prima a riaversi dallo stupore fu Sabina:
- Di’ la verità, sei un prestigiatore!
- Proprio così, lo ammetto,
sorrise Tommaso, continuando a inondare di oggetti multicolori ogni spazio.
- Facciamo un patto, disse a un tratto. Io non vi chiedo di vivere tutta la vita, ma un giorno per volta. Ogni sera alle sette ci incontreremo qui. Noi dobbiamo farcela a raggiungere la sera e poi qui ci racconteremo quanto è stato difficile superare la giornata e magari a qualcuno capiterà di vivere una buona giornata… L’errore è farsi carico di una settimana, un mese, un anno… Un anno, lo capisco, è davvero un traguardo insopportabile… Noi ci limiteremo a vivere un’ora per volta.
In quel momento Sabina afferrò la sua boccetta e ingoiò una compressa bevendo un sorso. Gli altri rimasero immobili.
- Voglio un mese, disse ora con tono duro Tommaso. Dovete darmi un mese, poi siete liberi di avvelenarvi come volete.
Lo stanzone era oramai invaso di musica oltre che di oggetti, eppure in lontananza si sentirono le campane di Natale.
Senza volerlo, Mirko Maria ebbe un lampo, un’allucinazione visiva, e si vide con le manine in quella di suo padre e sua madre mentre lo conducevano bambino alla messa di Natale. Un’aria azzurra, mai vista, faceva da sfondo alle luminarie. Per un istante riprovò lo stesso attonito stupore.
- Si potrebbe anche fare, mormorò. Un mese non è poi un’eternità.
Non osava guardare negli occhi Paolo e Sabina, ma lei era distesa sulla sedia e si era addormentata. La pillola aveva già fatto il suo effetto. Paolo invece sembrava alquanto incerto.
- Ci stai ad aspettare un mese, Paolo? Tanto, cosa vuoi che cambi?
- E lei?
- La terremo a bada entrambi.
In realtà si sentivano tanto sfiniti che avevano solo voglia di dormire. A entrambi parve di essere reduci da una battaglia. Non riuscivano a muovere le braccia.
Paolo allora biascicò:
- Facciamo così, se ne riparla domani.
Si avvicinò al finestrone e tolse con fatica il cartone per fare entrare aria fredda per riprendersi. Sulla strada passava qualcuno diretto verso il centro. Un’aureola intorno al capo di piccole luci impediva di vedere bene la sagoma. Non capì se apparteneva a un uomo o a una donna, ma di sicuro era una persona vestita da angelo che si avviava a qualche processione natalizia nelle vie della città.
Quando si girò anche Mirko Maria si era addormentato con la testa sul tavolo e le gambe nascoste tra coriandoli e foulard, come capita talora ai veglioni di capodanno o carnevale, ma Tommaso era scomparso. 

Fortuna Della Porta

 

Segnala questa pagina ad un amico



Piazza Scala News - Natale 2010