UNA STORIA DI
NATALE
di
Antonio Annunziata
C’era una volta in un paese
sperduto ai piedi del Gennargentu, una piccola chiesa
dedicata alla Vergine Maria posta proprio nel bel mezzo
della piazza principale circondata tutt’intorno dalle case
di sasso bruno e cemento, e i tetti di tegole antiche.
Nell’aria c’era il profumo della legna che già di buon
mattino era stata messa nei camini a bruciare per scaldare
le case, e per fornire la brace necessaria agli arrosti
della sera della Vigilia di Natale.
Don Peppino, il vecchio parroco, aveva il suo bel daffare a
preparare gli addobbi natalizi fatti di poche e povere cose
che
le donne devote gli avevano portato: collane di castagne,
bacche di ginepro, rami di corbezzolo e mirto, pigne
argentate.
Alla mezza avrebbe officiato l’ultima messa della sua lunga
vita di pastore di anime; poi con l’inizio del nuovo anno si
sarebbe ritirato nell’Ospizio dei Frati Cappuccini sul Monte
Limbara in attesa del giorno in cui il Signore aveva
scritto nel grande libro del Destino di prenderlo con sé.
Aveva più di ottant’anni Don Peppino, e quella notte se li
sentiva tutti. Gli pesano sulle spalle come tanti sacchi di
carbone, e le gambe malferme lo costringevano a muoversi
con cautela.
Ma era la Vigilia e non poteva badare ai malanni, ché alla
gente poco importava dei suoi lamenti.
Era la sua ultima funzione e doveva essere la più bella e la
più intensa affinché di lui avessero un buon ricordo.
E poi aveva promesso ai suoi fedeli un Presepe tutto nuovo
- anche quello l‘ultimo di tanti - che li avrebbe lasciati
senza parole.
Sulla destra dell’altare, entrando nella chiesetta, aveva,
con l’aiuto della perpetua Efisia e di alcune ragazze,
costruito la capanna della Natività usando ceppi di legna e
paglia.
Con un panno di raso, color blu intenso, aveva creato il
cielo.
Con la carta argentata aveva fatto le stelle, e sullo
sfondo, tutto intorno alla capanna, aveva chiesto ai bambini
della scuola di dipingere su vecchi cartoni palme e banani.
Al falegname Michele aveva chiesto di intagliare i
personaggi ad altezza d’uomo: così Giuseppe con Maria, il
bue e l’asinello, i pastori con le pecorelle e le caprette
parevano veri tanto aveva curato i lineamenti e accurati
erano i particolari.
Il tutto, naturalmente, veniva stato nascosto da un grande
lenzuolo bianco che sarebbe stato calato dalla perpetua allo
scoccare della mezzanotte perché i fedeli vedessero il
lavoro completato.
A Michele mancava di scolpire il bambinello Gesù, ma per
questo ultimo c’era ancora tempo e il falegname aveva
assicurato che avrebbe fatto di tutto per finirlo all’ora
stabilita.
Quell’anno del 1956 aveva buttato neve in modo eccezionale
coprendo di un abbondante manto bianco le case, le strade, i
campi, le piante e le montagne.
Nicola e Barbara avevano un bambino di nome Antonio.
Antonio era un bambino di cinque anni, piccolo di statura,
dalle gambette magre, un visino bianco, gli occhi tondi e
neri come il carbone, e i capelli ricci di un castano scuro.
Don Peppino, lo aveva visto nascere, battezzato, e visto
crescere tra un malanno e l‘altro. Era comunque l‘unico
capace di fare il chierichetto anche se molto spesso,
durante la santa messa combinava sempre qualche marachella.
Tra i due si era istaurato un bel rapporto di affetto e di
amicizia tant’è che li si vedeva sempre insieme, così che
in paese quel piccolino non lo chiamavano con il suo vero
nome Antonio, o Tonino o Ninu come si usava, ma in modo
affettuoso, “su fillu de su preri” (il figlio del prete).
Siccome Nicola andava a lavorare in miniera e mancava da
casa per mesi, e Barbara raggiungeva di buon’ora ogni
mattina con la corriera la città dove faceva la domestica,
il bambino veniva affidato alla perpetua che di lei era la
sorella maggiore.
Per questo motivo già all’età di due anni Don Peppino,
piuttosto che vederlo ciondolare in chiesa a far danni, si
caricava sulle spalle quello scricciolo per portarselo in
giro per i boschi, o su per gli impervi sentieri a vedere
l’aquila reale, il grifone, il nibbio.
Altre volte si appostavano dietro le macchie di corbezzoli
a spiare in silenzio le mosse del cinghiale, delle volpi o
del gatto selvatico.
E proprio per inseguire un gatto selvatico dal pelo ispido e
folto, che il piccolo Antonio era finito pochi giorni prima
nelle acque fredde del torrente e si era “buscato” una
brutta polmonite.
Don Peppino di ciò si sentiva colpevole, e non riusciva a
perdonarsi di non essere stato in grado di evitare al
bambino quel bagno fuori stagione.
La vecchia comare, alla quale ci si rivolgeva quando
qualcuno si ammalava seriamente, aveva consigliato come cura:
letto, riposo, brodo di pollo e impacchi caldi di lino e
camomilla da applicare sul petto dell’ammalato almeno due
volte al giorno.
Ma nonostante questi rimedi la febbre non calava e il
respiro del bambino si faceva sempre più pesante, tanto che
proprio Don Peppino si era preso l’incarico di telefonare al
medico per chiedere di andarlo a visitare
Antonio, nonostante il febbrone, aveva più volte chiesto
alla mamma di poter ugualmente andare in chiesa ad aiutare
il suo vecchio amico a dire messa. Ma soprattutto era molto
curioso di vedere di persona il nuovo Presepe che Don
Peppino quella mattina stessa, quando era andato a trovarlo
per portargli il latte, gli aveva descritto nei minimi
particolari.
“Quando guarisci, lo vedrai. E’ bellissimo!” gli aveva detto
baciandolo sulla fronte.
Anche la sua mamma gli aveva detto che non poteva alzarsi
dal letto perché rischiava di peggiorare, e di stare calmo e
quieto sotto le coperte, ché il Presepe c’era tempo di
vederlo fino al giorno dell’Epifania.
Così il piccolo quella sera della Vigilia, dopo aver mandato
giù a fatica una tazza di brodo bollente, si rassegnò e
quando anche gli occhi della sua mamma, che gli sedeva
vicino si chiusero, si assopì.
E nel sonno sognò che due angioletti biondi dalle piccole
ali bianche erano scesi dal cielo e si erano accomodati sul
suo lettino, uno a destra e l’altro a sinistra.
Gli sorridevano tenendolo per mano.
Poi uno dei due disse: “Antonio, se vuoi tanto vedere il
nuovo Presepe di Don Peppino, vieni con noi”
“Ma sono malato e la mamma non vuole che mi alzi dal letto”
rispose il piccolino
“Ma ti portiamo noi avvolto in questa bella coperta di
lana, così non sentirai freddo” intervenne l’altro
angioletto.
“Allora vengo”
I due angioletti avvolsero il bambino nella coperta di lana
e volando lo portarono in chiesa completamente deserta.
Antonio, con i piedini scalzi, avvolto nella coperta di lana,
appena entrò corse verso l’altare là dove Don Peppino aveva
disposto il nuovo Presepe.
“Oh, meraviglia!” esclamò il bambino nel vedere la casa di
legno e paglia, e tutti quei personaggi che parevano veri.
Li toccò ad uno ad uno e gli parve che ad un certo momento
si muovessero e prendessero vita.
Fu la Madonna che gli fece cenno di avvicinarsi, e quando le
fu vicino gli sussurrò dolcemente:
“Vieni, ci manca il bambino“
Poi allungando le braccia lo sollevò portandoselo al petto e
lo baciò delicatamente sulla fronte.
In quello stesso istante Antonio si svegliò, e
immediatamente si accorse che la fronte non gli scottava
più e che poteva respirare meglio.
Così si alzò dal letto e silenziosamente, dopo essersi
avvolto nella coperta di lana, infilò ai piedi gli
scarponcini e sgattaiolò, ancora in pigiama, fuori di casa
senza far rumore lasciando la sua mamma addormentata ai
bordi del lettino.
Corse così verso la chiesa, spinse il portone di noce
massiccio ed entrò per dirigersi velocemente verso il
lenzuolo bianco dietro il quale c’era il Presepe.
Don Peppino prese a dir messa alle undici e trenta, quando
ormai i fedeli si erano ordinatamente sistemati sulle sedie
di paglia.
Ogni tanto guardava il suo orologio da polso per vedere
quanto mancava alla mezza volgendo lo sguardo impaziente
all’ingresso per scorgere se Michele, il falegname, stava
portando con sé il bambinello Gesù.
Ma Michele alla mezza non si era ancora fatto vivo con il
personaggio più importante del Presepe, né mai quella notte
sarebbe stato in grado di abbandonare la sua bottega per
arrivare in tempo all’appuntamento dato che l’ultimo
bicchiere di vino rosso lo aveva mandato nel mondo dei
sogni.
Fu così che il prete, dieci minuti dopo la mezza, quando i
brusii della gente si stavano facendo più insistenti,
dovette, suo malgrado, fare cenno alla perpetua di calare
ugualmente il telo, in modo che i fedeli potessero ammirare
la sua opera.
“Cari amici come potete vedere Gesù non è ancora nato,
quest’anno c’è stato un piccolo…..“ma non terminò la frase
perché tra le braccia di Maria c’era un bambinello.
Ma non era fatto di legno come quello che Michele avrebbe
dovuto intagliare e che non aveva portato, bensì in carne
ed ossa.
Aveva il viso bianco come il marmo, e i capelli ricci color
castano scuro.
Ai piedini portava scarponcini con le stringhe slacciate e
indossava un pigiamino di lana rossa.
Sembrava dormisse tra le braccia della Vergine.
Ai piedi della statua c’era una copertina di lana grezza.
Quel bambino era il piccolo Antonio.
Solo quando Don Peppino gli si avvicinò tremando e lo toccò
sulla fronte si accorse che non stava dormendo.
Di quella Vigilia di Natale del 1956 in un paesino
sperduto ai piedi del Gennargentu i nostri vecchi parlano
ancora.
|