Reggio Calabria - Natale 1946

 

     IL PRESEPIO
 

Seduta tutta la famiglia, all'arrivo del freddo, intorno al braciere, i piedi poggiati sulla tonda pedana di legno con al centro incassato il contenitore di rame pieno di braci ardenti, per il calore del fuoco le gambe delle donne, nella parte interna del polpaccio, diventavano a chiazze rosse, definite dai reggini “satizzi”! Nell’angolo a destra della stanza il presepio in fase di costruzione.

Natale, il nuovo Natale finalmente senza guerra era vicino e il presepio quasi pronto. Pregustavo già i sapori del pranzo di Natale, le crispelle dolci e salate e la buona pignolata dorata e lucida di miele.

Una delle grandi preoccupazioni di papà prima dello sfollamento, era stata quella di dover lasciare incustodito a casa il materiale del suo presepio al quale era legatissimo: pastori, casette, rocce di sughero, carta di sfondo col cielo stellato, ponticelli in legno, tavole d'appoggio, ecc. Comunque lasciò tutto ben sistemato e chiuso dentro cassette di legno,  tranne i pastori che  conservò nel primo cassetto della  sua scrivania, dove del resto  li teneva sempre, però quella volta li coprì con un pezzo di coperta vecchia per meglio salvaguardarli. Prima di partire tutti per la campagna vicina - “Certo - disse papà chiudendo a chiave il cassetto della scrivania - dopo poco più di vent’anni non m’aspettavo un’altra guerra mondiale devastante peggio della prima. Bombe buttate dagli aerei, micidiali per i poveri civili. Se cade sopra il nostro palazzo una bomba, niente da fare. Però se cade  solo un po’ vicina, almeno così, protetti dalla coperta, i beddi pastureddi si potranno salvare dagli urti per eventuali spostamenti d'aria.

- E allora pure noi con una coperta sulle spalle ci potremmo salvare -  commentò mamma con ironia.

Si può dire che al suo presepio ci lavorava tutto l'anno papà, nel senso che lui stesso, nei momenti liberi, costruiva nuove piccole case di legno adoperando il seghetto, o inventava altri sistemi  di illuminazione, o cercava qua e là materiali diversi per formare o ricoprire le parti montuose. Di solito già a metà ottobre  iniziava a lavorare e prima di tutto sgomberava la grande scrivania su cui doveva sistemare il presepio: via libri, cartelle, porta-carte, porta-cenere, porta-penne,  porta-pipe, via naturalmente anche il grande libro della Divina Commedia illustrato da Gustave Doré. Quanto mi piaceva guardare Paolo e Francesca teneramente vicini e ondeggianti fra veli morbidi nel vuoto oscuro:

 

 “ …poeta volentieri parlerei 

   a quei due che ‘nsieme vanno

   e paion sì al vento esser leggeri…”

 

Il fatto che i cassetti della sua scrivania papà li tenesse sempre chiusi a chiave, creava in noi bambini un gran senso del proibito, il gusto del mistero. Così quando si accingeva ad aprirne uno, subito tutti intorno lì a guardare sia io che mio nipote Franco e poi gli altri nipoti man mano che nascevano e crescevano, così Eleonora la sorellina di Franco (figli di mia sorella Lina), e poi più tardi Cesare il figlio di mia sorella Alida. Sono nata molto tardi per cui le mie sorelle erano tanto più grandi di me, per questo ero già una zia, ma piccola anch’io, solo qualche anno più dei nipoti. Anzi ero già zia prima di nascere, Franco mio nipote infatti aveva un anno più di me!

Per aprire il primo cassetto, papà anzitutto tirava fuori lentamente dalla tasca destra dei pantaloni il grosso gruppo di chiavi agganciate tutte ad una lunga catenella che pendeva da un anello dorato infilato nel passante per la cintura dei pantaloni (così tante quelle chiavi che, accingendosi, quando si ritirava la sera, ad infilare la chiave giusta nella serratura della porta d'ingresso, tintinnando tutte insieme già rivelavano, a noi dentro casa, il suo arrivo ancor prima che la porta fosse aperta) poi lentamente, molto lentamente, almeno così a noi sembrava, infilava la chiave, scelta con cura fra le altre, nella toppa del cassetto misterioso e girava, girava lentamente, e noi lì a seguirne il movimento con occhi spalancati. Il primo dei cinque cassetti, pieno zeppo e pesante, finalmente con grande suspense, ecco, veniva tirato fuori con circospezione.  Dentro vi dormivano i pastori  il lungo sonno dell'anno fino a Natale. Ma accanto c’era anche una scatola con gallette e cioccolata. Ecco perché aspettavamo con ansia l’apertura del cassetto che, finalmente tirato tutto in fuori, ci mostrava al completo il suo contenuto.

In bella cornice la famosa cartolina di presentazione, quella che papà, per strada, aveva consegnato bruscamente a mamma senza ancora conoscerla, stava lì coricata fra i pastori:  
 

Amor le chieggo

o vaga fanciulla,

né mi far

sperare invano. 
 

Papà si sentiva un po’ poeta e con la poesia cominciò a corteggiare mamma. Gli piacevano vari tipi di poesia però, infatti sulla scrivania non solo c’era la Divina Commedia ma anche un libro di Lorenzo Stecchetti con poesie erotiche!

- "Davvero papà i pastori dormono tutto l’anno? Forse chissà, ogni tanto chiacchierano tra loro, vero?" - domandavo io. Immaginavo che la vecchietta filatrice, eterna conocchia lanosa tra le mani, forse parlava con lo scarparo che stava lì vicino, il braccio perennemente alzato pronto a battere il martello sul chiodino di una suola; 'u meravigghiatu da' grutta, che guardava sempre lontano, gli occhi socchiusi abbagliati dalla luce della cometa, forse ogni tanto parlava con il guardiano di pecore sdraiato lì accanto sotto l'albero di mele, o con la lavandaia dal viso rugoso bruciato assai dal sole, inginocchiata a strofinare i panni, sempre gli stessi panni, sulla pietra circondata dalle ochette.  
 

- "Le ochette del pantano

   vanno piano piano piano

   tutte in fila come fanti

   una indietro e l'altra avanti...” 
 

- “Te la ricordi la poesia? Su, dai, continua tu!" - mi sollecitava mia sorella Alida che cercava sempre d'insegnarmi qualcosa. 
 

- "Le ochette del pantano

   vanno piano piano piano

   tutte in fila come fanti

   una indietro e l'altra avanti;

   una si pettina, l'altra balbetta

   con voce querula la stessa parola... 
 

- ricominciò a recitare distratta Alida - e dai, adesso continua tu Mariella - aggiunse - continuala tu  la poesia!".

 

-  "...una è nell'acqua

    come una barchetta

    fatta di un foglio di un libro di scuola" .

“Brava!” esclamò mamma.  E adesso vediamo se ti ricordi la ballata del cavaliere Breus.

E io subito comincio a cantare:
 

- Mi daresti,  mi daresti, un bicchier d’acqua?

  Mi daresti, mi daresti un bicchier d’acqua?

- Non ho tazze né chicchere e bicchier

  Per dare a bere a voi cavalier.

- Monta sul mio cavallo

  ti porterò al castel!

  Monta sul mio cavallo

  ti porterò al castel!
 

E io sognavo un principe che avrebbe portato anche me a cavallo nel suo castello. Solo che non sapevo cosa fossero le chicchere!

Sul piano della scrivania ormai vuota, papà sistemava una larga tavola di  compensato  un po’ più lunga e più larga del piano, e su di essa, dopo averla rivestita di carta verde, iniziava a costruire l'impalcatura del paesino di Betlemme fatta di tavole inchiodate sulle quali poggiava rocce di  sughero e colline  di carta colorata. Nel mezzo della vallata centrale, fra le colline, faceva scendere tutta luccicante l'immancabile cascatella di stagnola che, divenuta placido fiume nella zona piana, finiva per  sfociare nel laghetto di specchio con al centro cinque ochette galleggianti e sulla riva la lavandaia che in ginocchio strofinava i panni su un grande masso, mentre le pecorelle intorno  bevevano curve e obbedienti con il muso   nell'acqua. In  altre piccole valli fra colline e pianura si dilatava, alla maniera dei presepi napoletani, il villaggio, con stradine e  slarghi e salite e discese e  ponticelli sul fiume, e grotte di sughero con dentro laboriosi artigiani al lavoro. Qua e là due o tre moschee con belle cupole dorate e alti minareti e tante case sparse: piccole in alto  sulle alture come viste in lontananza, più grandi in basso perché più vicine all'osservatore, tutte con carta di caramelle trasparente di vari colori incollata alle minuscole finestruzze dall'interno, così la lucina posta sotto ogni piccola costruzione, naturalmente vuota dentro, faceva trasparire dalle finestrelle una luce colorata.

Due angeli dalle grandi ali  proteggevano la grotta piena di luce azzurra che illuminava  Giuseppe e Maria accanto alla naca col Bambino, e il bue e l’asinello che lo riscaldavano. La stella cometa in alto nel cielo, proprio sulla grotta, splendeva luminosa.

A popolare il presepio si contribuiva tutti, e ognuno, figli e nipoti, sistemavamo i propri pastori preferiti. Sui monti venivano sistemati i pastorelli  più piccoli e fra questi, un  po’  isolato su un' altura, io sistemavo il mio pastore preferito che non mancava mai: u meravigghiatu da' grutta, quel tipico  personaggio, sempre presente in ogni presepe tradizionale, il quale da lontano, schermandosi gli occhi con la mano, guarda meravigliato e stupito la cometa che lo abbaglia di luce divina. In  pianura, fra sentieri di ghiaia e prati di  muschio  vero,  raccolto in giardino, belle pecorelle bianche sparse e gallinelle e cani e gruppi di pastori  più alti (visti in primo piano), tutti come in cammino diretti verso la grotta santa carichi di doni, tranne il guardiano di pecore che dormiva beato sotto un  albero.

- "Ma quel guardiano non si alza per andare da Gesù Bambino?" -  ho chiesto una volta a papà. 

- "Quello è un pastore che si chiama Sasà -  mi  rispose ridendo  -   chissà  se si è alzato Sasà, o come si  dice in Sicilia: “'sà  si  si susìu Sasà”. E andò avanti così a  ripetere per un po’ quella specie di scioglilingua:

 

- " 'Sà  si  si  susiu Sasà,

    'sà  si  si  susiu  Sasà..." -

 

quindi  aggiunse: - "Qualche volta Sasà parla con un'amica" - e  partì con  un'altra frase stavolta toscana aspirando la lettera « c »:

 

  - " L'amiha    della  mia    amiha,

      non è   miha    amiha    mia" -

 

E continuava a  ripetere,  a  ripetere, queste strane parole, si divertiva solo lui. E poi ricominciava con altri scioglilingua:

Io ripetevo con lui e ridevamo come scemi. Bello lo scioglilingua con tante erre:
 

“Trentatre  trentini

  vanno tutti

  e trentatre trottando”   


sempre seguito da: 
 

  “Sotto un palazzo

   c'è un cane pazzo

   toh pazzo cane

   'sto pezzo di pane”.
 

Grandi  risate quando qualcuno, nella fretta di ripetere queste ultime parole, si sbagliava e diceva toh c…zo cane invece di pazzo cane. 

Lassù sulla destra, da dietro la montagna più alta del presepio, spuntavano i Re Magi sui cammelli con i mantelli lunghi e le corone in testa, tutti e tre in cammino uno dietro  l'altro  al seguito della cometa. 
Ogni pastore rimaneva fermo al suo posto, per tutto il tempo delle  feste  natalizie,  i Magi invece sui cammelli venivano spostati da papà ogni giorno un po’ in avanti, finché all'Epifania, fatti arrivare ormai quasi nei  pressi della grotta santa, magari dietro una svolta, d'improvviso sparivano!  Certo,  sparivano quelli sui cammelli  ma  spuntavano come per incanto tre Magi appiedati, messi lì, uno in ginocchio e due in piedi, davanti alla Sacra Famiglia con in mano oro, incenso e   mirra.

- "Ma i cammelli dei Re Magi perché non ci sono più?" – ho chiesto un giorno.

- "Non si vedono perché i  Magi sono arrivati di notte, - mi spiegò papà - sono scesi dai cammelli e li hanno parcheggiati dietro la grotta".

Rimasi un po’ perplessa, ma poi distratta domandai ancora:
- "Papà, perché Gesù  è nato in una grotta?" .

Stavolta papà mi rispose in maniera ancora più strana, almeno per me:

- "Veramente il papà di Gesù voleva andare in albergo ma  l'albergatore,  come dice la famosa poesia, lo cacciò via  dicendogli con sussiego:

- "...non amo la miscela di alta e bassa gente". 

Uno dei due Magi in piedi, quello con l'oro, un giorno fu sostituito da un nuovo Re, un po’ più basso rispetto all'altro. 

- "Perché non c'è più il Re di prima? E perché questo è più basso?" - chiedo . 

- "Pirchì non criscìu..." - mi rispose ridendo papà - E mo' basta, finiscila cu’ tutti 'sti pirchì!".

Il fatto è che il primo Re era scomparso qualche giorno prima e papà non  era  riuscito a  trovarne nei negozi uno di  altezza uguale. Cambiarli tutti e tre costava di più. Così ne comprò uno solo, più basso degli altri.

Ma  il primo Re dove era andato a finire? Non si sa  come e quando, un giorno era sparito dal presepio. Mistero. Poi lo ritrovammo, dopo qualche mese, sotto il  materasso dello zio Damaso che non solo non vedeva ma anche non ci stava più ormai con la testa. Gli era piaciuto l'oro. Ma come aveva fatto a capire, senza poter vedere, che quello, e non  un altro, era proprio il Re con l'oro?  

-"L'oru è mio, l'oru è mio, è il tesoro dei pirati, lasciatemelo stare figli di bottana!"-  gridava Damaso, occhi spenti, battendo forte il bastone sul pavimento, quando  il  pastorello dopo Natale venne scovato. E fu così che il piccolo Re cadde per terra e si ruppe.  

Minuscolo, senza fantasia e neanche illuminato, il presepio del nostro vicino di casa, il compare Calogero. Solo i pastori erano belli, fatti con mollica di pane indurita e dipinta a colori assai vivaci.

Papà li  guardava sempre interessato, era lui l'esperto del presepio.

- "Non è male, non è male - diceva -  però, compare Calogero, non c'è anima in questo presepio, non è nemmeno illuminato e non si muove, è statico. Quello mio invece quest’anno è un presepio vivo!".
Si, quell'anno in casa ci fu il presepio vivo, nel senso che papà ebbe questa bella trovata:

- "Ma si, facciamoli muovere và, 'sti pastori, pure loro sono contenti per essersela scampata bella dalle bombe.

Così installò, nascondendolo alla vista, un motorino rudimentale  che, con un gran fracasso di ferraglia, faceva girare una pedana di legno rotonda posta al centro del presepio sulla quale i  pastori immobili   - tisi  tisi e caddusi (tesi e callosi, induriti) -  come disse mamma, entravano per una grotta, giravano nel vuoto, nascosti alla vista, sotto la montagna di sughero, e poi uscivano da un'altra grotta in apparenza allegramente, ma in effetti così bloccati lì in posa, uno dietro l'altro, sulla pedana che con gran rumore e stridii girava, girava, girava per la verità un po’ stupidamente, a  me sembravano tutti come dei robot con quello sguardo tristemente fisso. - Parunu tanti spiritati... -, decretò mamma.

In bella mostra su una panchetta, lì accostata al presepio del compare, troneggiava anche un bauletto-carillon con dentro un Gesù Bambino addormentato che al suono di «Tu scendi dalle stelle» si svegliava, apriva gli occhi e sbatteva lentamente le ciglia.

Il carillon funzionava male però, la musica perdeva tempo e così anche il movimento delle palpebre del Bambino subiva un rallentamento.

Infatti data la corda al carillon, prima si apriva lentamente il coperchio del bauletto un po’ bombè, tutto rivestito all'esterno e all'interno di velluto blu fissato con piccole borchie dorate, e dopo iniziava la musichetta mentre il Bambino, un bambolotto grassottello in camiciola bianca che dormiva dentro il bauletto su un comodo giaciglio di raso celeste tutto drappeggiato, lentamente si svegliava, cioè cominciava ad aprire gli occhi piano piano. Una volta spalancate le palpebre, poi le richiudeva lentamente, e  lentamente le rialzava di nuovo e lentamente le riabbassava. Però man mano che la corda si scaricava, la musica diventava più lenta, sempre più lenta:

- “Tuuuu sceeeendi daaaalle steeeelleeee...”

 e le palpebre orlate da lunghe ciglia nere si sollevavano adagio,  molto adagio...
-
O Diiiio del ceeelooo...”

e fra le palpebre ancora socchiuse si  intravedeva appena il luccichio degli occhi…

- “e  sceeeendi iiin uuuuna grooootta...”.

Con penosa lentezza si sollevavano ancora in po’ le palpebre, si sollevavano, si sollevavano... fino a far vedere infine completamente due grandi occhi azzurri che guardavano fissi nel vuoto senza pensieri.

-  'Sto carillon purtroppo non funziona bene, la musica non ha più il tempo giusto e gli occhi il  Bambino non li apre e chiude bene - si rammaricava don Calogero.

- E  cambiatelo  'sto  carillon  don  Calogero,  è  troppo vecchio ormai, fa proprio un grande sforzo 'u nutricu (il piccolo) a rapriri l'occhi che parunu 'mbiddati (incollati)! Pare che vuole dormire e basta – osservava mamma -

- “e  sceeeendi in una groooottaaa...”…

 Ecco, adesso le palpebre ricominciano a chiudersi ma la musica rallenta ancora di più...

- “aaaaal freeeddooo e aaal geeelooo,  e  sceeendi in unaaaa grooot...

Stop, silenzio. La musichetta si interrompeva addirittura del tutto bruscamente, e le palpebre del Bambino restavano bloccate, semiaperte, lasciando intravedere fra le due fessure il luccichio orribile di due occhi vitrei completamente immobili.

Nei solchi tormentati della nostra vita contemporanea, dove spesso  trovi assenza di veri e perduti valori, dimenticanza delle proprie tradizioni, preferenze per usi e tradizioni a noi estranei (Santa Claus e l’albero di Natale, Halloween) il percorso della memoria intreccia i fili dell’infanzia. Beh, ci si sente un po’ meglio raccontando e descrivendo ai nostri nipotini, il nostro Natale antico, forse fatto di troppa semplicità ma certamente più intimo e più autentico.

 

Mariella Di Pasquale - Piazza Scala News - Natale 2009