racconto tratto da EMOZIONI - Delta 3 Edizioni - 2008
La cravatta sgargiante
Abbiamo scelto questo giorno per festeggiare insieme il nostro
compleanno (quanti anni ! ! ! ) che ricorre a pochi giorni l'uno
dall'altro. Sono presenti le nostre mogli, i nostri figli, i nostri
nipoti. Cioè la mia famiglia, quella di Gigi e quella di Erminio.
L'esperienza ci ha insegnato che, anche dopo tragici eventi, la vita
continua. Per questo abbiamo deciso di festeggiare ed aprire
una bottiglia di spumante.
Nella vita abbiamo proceduto seguendo vite parallele. Apparteniamo
alla generazione che ne ha viste e patite tante. In silenzio.
Abbiamo frequentato la stessa scuola, fino al diploma.
A quel punto ci hanno separati: corso allievi ufficiali. Poi abbiamo
avuto appena il tempo di fare ancora una cena insieme. Un non
confessato commiato.
Quella sera facemmo tutti sfoggio di grande ottimismo. Fingevamo.
Ognuno di noi lo sapeva. Molto ottimismo: ci mandarono al fronte:
Russia, Albania, Africa.
Quando ci rivedemmo era l'estate del '45: c'eravamo tutti. Segnati
dentro l'anima, ma c'eravamo tutti. Non era poco.
A distanza di poco tempo l'uno dall'altro arrivarono i matrimoni, i
figli e poi i nipoti: in mezzo oltre mezzo secolo. Erminio mi
rivolge un invito:
“Racconta la storia del tuo ritorno a casa dopo la guerra, è tanto
simile a quello mio e di Gigi. Vale raccontarla per tutti”.
“OK” (ai nostri tempi non sapevamo neppure che volesse dire questa
parola).
Era un caldo giugno quando fui scaricato da un vagone di
un treno proveniente dalla Germania. Alle spalle avevo due
anni di prigionia c quasi uno di malattia.
Mi avevano sistemato in un ospedale militare, il primo di
una certa importanza subito dopo la frontiera.
La mia coscienza offuscata c la mente confusa mi avevano
relegato in una caverna buia ove, a poco a poco, avevo perso
il ricordo di tutto.
Ero in quello stato quando giunsi all'ospedale militare. Non
ricordavo più neppure le sofferenze. Mi ero abituato a
vivere in uno stato di limbo senza tenebre e senza luce,
senza disperazione e senza gioia.
Tutto questo aveva cominciato ad essere solo un ricordo da
cancellare quando sbrigate le formalità, inclusa la
corresponsione di un gruzzolo di arretrati e qualche pacca
augurale sulle magre spalle, mi trovai come rinnovato sulla
strada: libero.
Riscoprii la meraviglia che è la luce c sopraggiunse la
gioia, un sentimento che avevo dimenticato da tempo. Per me
la guerra era finita in quel momento. Mi mi misi a camminare
lento ed incerto verso la prima direzione che mi era
capitata seguendo il corso della strada. Alla stazione delle
corriere mi avevano informato che per raggiungere il
paesetto ove vivevano i mici genitori avrei dovuto
attendere. “Non prima delle 19,30. Non ci sono altre corse”
mi aveva informato la grassa bigliettaia che finsi di non
riconoscere. Mi era stata sempre antipatica.
Avevo deciso di impiegare il tempo andando a zonzo come mi
piaceva fare talvolta quando ero ragazzo.
Quella era la città ove avevo studiato e trascorso gran
parte della giovinezza.
Mi rendevo conto che man mano che avanzavo andavo incontro
al mio passato. Avevo deciso la cosa più importante: che
dovevo partire dal chilometro zero e ispirato dai luoghi
ricostruirmi dentro resuscitando i ricordi: senza di loro
non sarei esistito. Nella tarda serata giunsi a casa.
Trovai i miei genitori invecchiati e provati dall'attesa ma
in salute e feci l'incontro con un altro sentimento
dimenticato: la felicità.
Quando dalla finestra della mia camera, nella quale non era
stato spostato nulla perché la ritrovassi così come l'avevo
lasciata, rividi la verde collina e più giù le tegole rosse
di vecchie case, riscoprii l'estasi dei colori. Fu allora
che dopo aver ricostruito lo scenario, mi apparvero nel
ricordo, i comprimari della tragedia di una generazione,
della loro giovinezza sacrificata.
Cercai gli amici. Avevo acquistato un vestito ed una
camicia. La scelta della cravatta fu il segnale che
cominciavo davvero a respirare aria di riscossa. Ne scelsi
una che un tempo non sarebbe stata di mio gusto e che
neppure nel presente lo era ma aveva i colori sgargianti e
luminosi. Simboleggiava ciò che volevo divenisse la mia
coscienza e la mia mente”.
Il mio racconto terminò qui. Intorno a me occhi lucidi.
“Cari amici, cari coetanei, cari... commilitoni non so se
anche voi avete acquistato una cravatta sgargiante, ma sono
testimone che siete partiti come me a testa bassa con una
voglia pazza di non perdere il treno: la vita ricominciava.
Ci siamo riusciti non vi pare? Le difficoltà tante, le lotte
tante, delusioni, successi e sconfitte sono alle nostre
spalle. Nel nome della nostra amicizia e della nostra vita
brindiamo insieme ai nostri anni ed... al futuro!”
Prosit, cincin.
Giovanni Noera
|