LE DONNE NELL’ ANTICA GRECIA TRA REALTA’ E POESIA

Da DUEMILA E PIU' n.ro 56, anno 7, 17 aprile 2010
Un vivo ringraziamento a Carmelo Profeta (Ex Comit)

 

Le donne sono state sempre considerate in passato inferiori agli uomini, come storia e letteratura tramandano, oppure in determinate epoche esse hanno avuto invece un ruolo di rilievo nella società?
La risposta ci giunge da un passato lontano, di cui i poeti e gli archeologi portano prove che testimoniano come, in tempi remotissimi, le cose fossero diverse. Esiodo, ad esempio, nella Teogonia parla di Gaia (GH), origine di tutte le cose.
“La Terra dal largo petto, dimora sicura per sempre di tutti gli immortali”. Essa è la grande genitrice : “La Terra per prima
generò eguale a se stessa il Cielo stellato... generò ancora il Mare, senza l’aiuto del tenero amore... Quindi unitasi al Cielo
generò l'Oceano dai profondi vortici…”
Il poeta della Beozia racconta di quella antichissima religione che, prima dell'avvento degli Indoeuropei, era diffusa nel bacino del Mediterraneo. Molti reperti del paleolitico superiore sono costituiti da figure femminili con grossi seni e ventri pronunciati, mentre sono assenti le figure maschili; nel neolitico, lungo le coste del Mediterraneo erano molto comuni idoletti dalla figura femminile che allattavano un bimbo; e nel palazzo reale di Cnosso è possibile ammirare figure femminili con pettinature complicate e bellissimi vestiti, che denotano il posto che la donna di Creta aveva nella società del suo tempo, non chiusa nel suoi appartamenti ma partecipe della vita pubblica che si svolgeva a palazzo e intorno ad esso.
Le cose cambiarono con l’arrivo degli Indoeuropei; al culto della Dea-Madre si sostituì quello in Zeus padre e la nuova
religione manifestò segni evidenti di organizzazione patriarcale pur con le tante rappresentazioni antropomorfiche di divinità
femminili. Anzi queste, ad una analisi accurata, sembrano esprimere le tante attribuzioni della Dea-Madre: Atena ed
Artemide, le Parthenoi che rifiutano l'uomo; Afrodite, il potere fecondante; Hera, moglie di Zeus e signora degli dei e delle dee; Demetra, la dea misteriosa che ha potere sulle stagioni dell’anno, sul nascere dei frutti e delle messi. Grandi dee ma all’ombra di Zeus. Lo stesso avviene nella vita sociale degli indoeuropei: la donna vive in condizioni d’inferiorità nei confronti dell’uomo, presiede all’attività della casa, ma non prende parte alla vita politica, non ha potere sui  figli, è vista soprattutto come procreatrice, giuridicamente è sempre un minore, cioè è sempre figlia.
Se si guarda al mondo greco in particolare, questa struttura sociale è evidenziata da tanti elementi, come sostiene Pomeroy
(Donne in Atene e a Roma) e soprattutto dalla produzione letteraria; da Omero in poi se si passano in rassegna i personaggi
femminili della tragedia la situazione è diversa: si tratta di figure affascinanti e spesso terribili e misteriose, sia nell'accettazione della legalità che nella ribellione ad essa. E’come se nella catarsi che la tragedia invoca per l’autore e per gli spettatori si dovesse esorcizzare l'eterno femminino che, domato nella realtà, esercita sempre un grande potere sull’uomo.
Hoerderlin, in un passo della prima stesura dell’Empedocle fa dire alle vergini ateniesi: “Chi di noi ebbe presente Sofocle
quando creava la sua Antigone?”
Possibilmente tutte le donne greche si riconoscevano nelle grandi della tragedia, anzi, si riconoscevano quali erano nella profondità delle loro anime e nella molteplicità delle loro non vinte aspirazioni:
E gli uomini, gli uomini guardavano ai personaggi sorti dall’immaginazione dei poeti certamente con molto più realismo di quanto noi oggi possiamo immaginare. Inibite da ferree leggi familiari e civili, le loro donne erano di volta in volta Clitennestra, Elettra, Medea, Antigone, Ifigenia, Alcesti; Clitennestra che per vendicare il sacrificio della figlia, uccide prima l’immagine del marito-re, tradendolo nella sua stessa reggia, poi l’uomo che le ha strappato la figlia per ambizione.
Nell’Agamennone di Eschilo la regina risponde fieramente al coro che compiange il re ucciso: “Primo ei forse non fu che
in queste case feral fraude introdusse? Or ben, poich’egli mal trattò la mia figlia e figlia sua, la tanto pianta Ifigenia, di ferro giusta morte ne soffra, e giù nell'Orco vanto non faccia di misfatto inulto...(vv.1553-59)”. E quando il figlio Oreste, ucciso l’amante di lei Egisto, si appresta ad alzare l’arma su di lei, ella tenta disperatamente di fargli capire in quale abisso di dolore il marito l'aveva precipitata col sacrificio d'Ifigenia, cui egli da bambino aveva assistito. Ella grida:
"Parla, ma i falli anco del padre esponi”.
Ma il figlio risponde difendendo il padre: “Non accusare, tu che sedevi in casa, chi stava in campo e faticava” (Eumenidi v.v. 945-947).A questa visione maschilista del dramma di Clitennestra partecipa il discorso di Apollo nelle stesse Eumenidi, che dà una parte predominante al padre nel rapporto genitorifigli:
"Quella che madre appellasi, del figlio non è, non è generatrice; essa è del feto nutrice, E’ l'uom soltanto generator: serba la donna a lui, come ad ospite suo, l'accolto germe, se un iddio nol diserta... (Eumen, v.v. 712-717).
Grandi ma estremamente diverse sono l'Elettra e l’Antigone di Sofocle; ambedue si battono per la tutela della famiglia, la prima per vendicare la morte del padre Agamennone, la seconda per seppellire il fratello Polinice, il cui corpo era stato lasciato esposto allo scempio dei cani e degli uccelli. Anche lei nell'ottica maschilista, Elettra non è vicina alla madre che le ricorda il sacrificio cruento delle sorella, non capisce né accetta il suo odio contro il marito.
Custodi entrambe di leggi divine, esse sono pronte a sacrificare se stesse, a rinunciare alle nozze, ad uno sposo, per servire un ideale, come l'enigmatica Alcesti di Euripide, come la sua Ifigenia che prega Achille e la madre di lasciarla morire per la libertà della Grecia, e si dilunga in una tirata retorica per convincere se stessa e gli altri della necessità dell'atroce sacrificio.
Ifigenia, Alcesti, Antigone incarnano meglio l'ideale maschile del tempo, certo erano rassicuranti queste creature così intrepide e pronte al sacrificio. Diversamente Medea incarna tutto ciò che essi non volevano accettare nella donna: la rivendicazione del diritto d'amare senza divieti, la pretesa gratitudine per i servigi resi a Giasone, la non accettazione di un ruolo secondario accanto all'eroe ed alla nuova sposa, l'odio mortale per la rivale che non si estingue se non con la morte di lei, l'odio-amore par Giasone, che si riversa sui figli avuti da lui e che lei uccide, pur soffrendo sino allo spasimo.
Medea, una barbara, secondo Euripide, una creatura disperata che può esistere in ogni donna, in cui le Ateniesi riconoscevano con orrore i moti più oscuri del loro animo; e perciò portavano rancore ad Euripide che aveva portato sulla scena
un'immagine sconvolgente ed inaccettabile dalla società in cui esse vivevano.
Lo odiavano forse per averle rivelate a se stesse, prima che agli altri, distruggendo1'immagine stereotipa che gli uomini imponevano loro.


MARGHERITA DI MATTIA
SANTOCONO

 

 

 

 

Con questo intervento MARGHERITA DI
MATTIA SANTOCONO
raggiunge il n. 16 della sua rubrica “Spigolando, spigolando”.
In questo caso l’Autrice ha fatto un balzo indietro di secoli per andare a scavare, non più nelle pieghe della memoria
per narrare episodi della sua infanzia,
ma nelle opere della nostra tradizione
classica mediterranea al fine di
narrare quale fosse a quei tempi la condizione ed il ruolo della donna.

DUEMILA E PIU' - 17 aprile 2010

 

 

Piazza Scala News - maggio 2010