Le donne sono state sempre
considerate in passato inferiori agli uomini, come storia e
letteratura tramandano, oppure in determinate epoche esse hanno
avuto invece un ruolo di rilievo nella società?
La risposta ci giunge da un passato lontano, di cui i poeti e
gli archeologi portano prove che testimoniano come, in tempi
remotissimi, le cose fossero diverse. Esiodo, ad esempio, nella
Teogonia parla di Gaia (GH), origine di tutte le cose.
“La Terra dal largo petto, dimora sicura per sempre di tutti gli
immortali”. Essa è la grande genitrice : “La Terra per prima
generò eguale a se stessa il Cielo stellato... generò ancora il
Mare, senza l’aiuto del tenero amore... Quindi unitasi al Cielo
generò l'Oceano dai profondi vortici…”
Il poeta della Beozia racconta di quella antichissima religione
che, prima dell'avvento degli Indoeuropei, era diffusa nel
bacino del Mediterraneo. Molti reperti del paleolitico superiore
sono costituiti da figure femminili con grossi seni e ventri
pronunciati, mentre sono assenti le figure maschili; nel
neolitico, lungo le coste del Mediterraneo erano molto comuni
idoletti dalla figura femminile che allattavano un bimbo; e nel
palazzo reale di Cnosso è possibile ammirare figure femminili
con pettinature complicate e bellissimi vestiti, che denotano il
posto che la donna di Creta aveva nella società del suo tempo,
non chiusa nel suoi appartamenti ma partecipe della vita
pubblica che si svolgeva a palazzo e intorno ad esso.
Le cose cambiarono con l’arrivo degli Indoeuropei; al culto
della Dea-Madre si sostituì quello in Zeus padre e la nuova
religione manifestò segni evidenti di organizzazione patriarcale
pur con le tante rappresentazioni antropomorfiche di divinità
femminili. Anzi queste, ad una analisi accurata, sembrano
esprimere le tante attribuzioni della Dea-Madre: Atena ed
Artemide, le Parthenoi che rifiutano l'uomo; Afrodite, il potere
fecondante; Hera, moglie di Zeus e signora degli dei e delle
dee; Demetra, la dea misteriosa che ha potere sulle stagioni
dell’anno, sul nascere dei frutti e delle messi. Grandi dee ma
all’ombra di Zeus. Lo stesso avviene nella vita sociale degli
indoeuropei: la donna vive in condizioni d’inferiorità nei
confronti dell’uomo, presiede all’attività della casa, ma non
prende parte alla vita politica, non ha potere sui figli,
è vista soprattutto come procreatrice, giuridicamente è sempre
un minore, cioè è sempre figlia.
Se si guarda al mondo greco in particolare, questa struttura
sociale è evidenziata da tanti elementi, come sostiene Pomeroy
(Donne in Atene e a Roma) e soprattutto dalla produzione
letteraria; da Omero in poi se si passano in rassegna i
personaggi
femminili della tragedia la situazione è diversa: si tratta di
figure affascinanti e spesso terribili e misteriose, sia
nell'accettazione della legalità che nella ribellione ad essa.
E’come se nella catarsi che la tragedia invoca per l’autore e
per gli spettatori si dovesse esorcizzare l'eterno femminino
che, domato nella realtà, esercita sempre un grande potere
sull’uomo.
Hoerderlin, in un passo della prima stesura dell’Empedocle fa
dire alle vergini ateniesi: “Chi di noi ebbe presente Sofocle
quando creava la sua Antigone?”
Possibilmente tutte le donne greche si riconoscevano nelle
grandi della tragedia, anzi, si riconoscevano quali erano nella
profondità delle loro anime e nella molteplicità delle loro non
vinte aspirazioni:
E gli uomini, gli uomini guardavano ai personaggi sorti
dall’immaginazione dei poeti certamente con molto più realismo
di quanto noi oggi possiamo immaginare. Inibite da ferree leggi
familiari e civili, le loro donne erano di volta in volta
Clitennestra, Elettra, Medea, Antigone, Ifigenia, Alcesti;
Clitennestra che per vendicare il sacrificio della figlia,
uccide prima l’immagine del marito-re, tradendolo nella sua
stessa reggia, poi l’uomo che le ha strappato la figlia per
ambizione.
Nell’Agamennone di Eschilo la regina risponde fieramente al coro
che compiange il re ucciso: “Primo ei forse non fu che
in queste case feral fraude introdusse? Or ben, poich’egli mal
trattò la mia figlia e figlia sua, la tanto pianta Ifigenia, di
ferro giusta morte ne soffra, e giù nell'Orco vanto non faccia
di misfatto inulto...(vv.1553-59)”. E quando il figlio Oreste,
ucciso l’amante di lei Egisto, si appresta ad alzare l’arma su
di lei, ella tenta disperatamente di fargli capire in quale
abisso di dolore il marito l'aveva precipitata col sacrificio d'Ifigenia,
cui egli da bambino aveva assistito. Ella grida:
"Parla, ma i falli anco del padre esponi”.
Ma il figlio risponde difendendo il padre: “Non accusare, tu che
sedevi in casa, chi stava in campo e faticava” (Eumenidi v.v.
945-947).A questa visione maschilista del dramma di Clitennestra
partecipa il discorso di Apollo nelle stesse Eumenidi, che dà
una parte predominante al padre nel rapporto genitorifigli:
"Quella che madre appellasi, del figlio non è, non è
generatrice; essa è del feto nutrice, E’ l'uom soltanto
generator: serba la donna a lui, come ad ospite suo, l'accolto
germe, se un iddio nol diserta... (Eumen, v.v. 712-717).
Grandi ma estremamente diverse sono l'Elettra e l’Antigone di
Sofocle; ambedue si battono per la tutela della famiglia, la
prima per vendicare la morte del padre Agamennone, la seconda
per seppellire il fratello Polinice, il cui corpo era stato
lasciato esposto allo scempio dei cani e degli uccelli. Anche
lei nell'ottica maschilista, Elettra non è vicina alla madre che
le ricorda il sacrificio cruento delle sorella, non capisce né
accetta il suo odio contro il marito.
Custodi entrambe di leggi divine, esse sono pronte a sacrificare
se stesse, a rinunciare alle nozze, ad uno sposo, per servire un
ideale, come l'enigmatica Alcesti di Euripide, come la sua
Ifigenia che prega Achille e la madre di lasciarla morire per la
libertà della Grecia, e si dilunga in una tirata retorica per
convincere se stessa e gli altri della necessità dell'atroce
sacrificio.
Ifigenia, Alcesti, Antigone incarnano meglio l'ideale maschile
del tempo, certo erano rassicuranti queste creature così
intrepide e pronte al sacrificio. Diversamente Medea incarna
tutto ciò che essi non volevano accettare nella donna: la
rivendicazione del diritto d'amare senza
divieti, la pretesa gratitudine per i servigi
resi a Giasone, la non accettazione di
un ruolo secondario accanto all'eroe ed
alla nuova sposa, l'odio mortale per la
rivale che non si estingue se non con la
morte di lei, l'odio-amore par Giasone,
che si riversa sui figli avuti da lui e che
lei uccide, pur soffrendo sino allo spasimo.
Medea, una barbara, secondo Euripide,
una creatura disperata che può esistere in
ogni donna, in cui le Ateniesi riconoscevano
con orrore i moti più oscuri del loro
animo; e perciò portavano rancore ad
Euripide che aveva portato sulla scena
un'immagine sconvolgente ed inaccettabile
dalla società in cui esse vivevano.
Lo odiavano forse per averle rivelate a
se stesse, prima che agli altri,
distruggendo1'immagine stereotipa che
gli uomini imponevano loro.
MARGHERITA DI MATTIA
SANTOCONO
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