PROSSIMO VENTURO
 Un racconto di Fortuna Della Porta da "LABIRINTI"


 

Ecco, siediti lì. Tira indietro la pancia e non pestare i piedi di un pubblico tanto competente. Tanto competente che sto perdendo le parole anche se tocca a me tra pochi minuti. Non sai come sei capitato qui? Figuriamoci io.
Spettacolo psichedelico per iniziati: futurologi compunti e sussiegosi competono con la vastità delle pareti, coperte da schermi micropuntati, raggi fosforescenti e ovunque tagli di luce affilati come laser.
Io e te, sconosciuto spettatore dall'aria tanto smarrita, appena entrato in questa babele, temo che ci siamo persi in un posto col quale non abbiamo niente in comune.
Il futuro fa capolino in questa sala, altrettanto nelle relazioni dei congressisti, sullo sviluppo venturo dell'intelligenza artificiale e noi due vorremmo trovarci chissà dove, in mezzo al bailamme di una tormenta ma non qui. Ti leggo in faccia fastidio più che indifferenza.
Ho capito: un giornalista.
Un giornalista sa che congressi simili a questo spesso sono solo una perla mondana che travalica qualsiasi proposito scientifico, perciò non riesce talvolta a tenere a bada la noia. Quattro frasi per un trafiletto che pesano quanto tre colonne in prima pagina se non ti va a genio l'argomento, suppongo.
Porta pazienza come porto pazienza io che ho preso l'impegno più insensato della mia vita.
La settimana scorsa sollevo la cornetta e un mio lontano compagno di studi di cui avevo perso ogni strada mi chiede una relazione per un incontro internazionale in cui si metterà a punto il futuro dell'informatica.
-Cosa ne so di computer, io che scrivo a penna d'oca?
Se non è penna d'oca è penna stilografica, ma siamo sempre fermi all'inchiostro, mi pare.
-Serve il contributo di un'intellettuale su come l'arte e la cultura in generale recepiscono questa rivoluzione che coinvolge e sempre più coinvolgerà anche questi settori apparentemente meno in debito con le nuove tecnologie. Un modo di chiudere dopo cifre e ipotesi in tutta leggerezza, ti prego. Ti prego, non ti costerà niente.
Mi chiede dei capelli, mi ricostruisce pezzo per pezzo, oltre il decennio trascorso, m'incontra di nuovo all'ultima fila del primo spettacolo nel cinema sotto casa, dove, a quell'ora, non si trovava nessuno, se non noi soli e il desiderio che ci bruciava. Mi fa trasalire:
-Basta, non ti sembra di esagerare?
Gli domandai se non facesse apposta a tornare a quei giorni per intenerirmi.
-Cosa ho da ammorbidire, se ho moglie e due figli.
-Sola, dissi. Io continuo a rincorrere quello che voglio a briglie sciolte.
-Così ti immaginavo, cosa pensi? Se ti facessi legare da qualcuno, per prima cosa abbandoneresti il lavoro. Ti conosco. Leggo le tue pubblicazioni ad una ad una.
Aveva ragione. Alcuni uomini mi confondono. Quelli importanti nella mia vita mi hanno sempre confuso, se pur ravveduta prima dell'irreparabile.
Lui mi confuse più di quanto volessi e la mia bocca esitante emise un bisbiglio lieve:
-Va bene, ci penso un attimo.
-No. Tu non ci pensi, lo fai.
Ho concepito una relazione di una decina di pagine e poi ho voluto incontrarlo per parlarne, prima di mettere nero su bianco.
-Quanto sei bella! Quanto sei giovane, accidenti! Quanto…
-Smettila. Dobbiamo parlare.
-Di che dobbiamo parlare? Anzi lo so di cosa dobbiamo parlare. Dobbiamo parlare di noi. Mi sto separando da mia moglie e dall'altra sera mi sto domandando come possa essere finita tra noi. Sono stato uno stupido.
-Ma dove trovi il tempo di perfezionare i computer se hai sempre la testa occupata dalle donne.
-E tu ti occupi troppo di Cicerone e non di me.
-Ho una cattedra di latino, che ammette la conoscenza di Cicerone, perciò me ne occupo.
Travolse la mia relazione. Così impaurita dal dover esporre giudizi in un campo tanto specialistico mi lasciai influenzare e nemmeno ho compreso alla fine cosa leggerò.
Tacciono tutti. Il microfono ha gracchiato il necessario per annunciare il mio nome e mi stupisco che in parecchi mi conoscano. Hanno applaudito vorticosamente prima ancora che fossero lette per sommi capi le mie gesta d'insegnamento universitario e di scrittura.
Caro giornalista, mio interlocutore, non ti vedo più, con questa luce che mi hanno applicato sul viso per la telecamera. Non sbuffare, fra poco ci liberiamo. Non andartene, ti prego. Fa' che ti ritrovi al tuo posto, perché mi sembra di essere entrata in un circolo iniziatico da cui mi esclude il linguaggio. Dopo, fra poco, voglio bere un caffè con te.
Me lo ha proposto anche il mio ingegnere informatico che si è vantato con tutti della nostra antica amicizia, strizzando l'occhio come per dire all'interlocutore: dopo concludo il discorso.
L'ho colpito alle caviglie col tacco della scarpa e lui ha finto di niente, ma forse non sono stata abbastanza determinata.
Come ho fatto a cacciarmi in questo guaio.
Signori, buonasera, vorrei esporre il punto di vista di un'incompetente sulle nuove tecnologie.
Respiro meglio, sono abituata ad argomentare in pubblico. 
Comincio subito.  Si è parlato della rivoluzione in atto nel campo dei computer e cioè del passaggio da una memoria minerale, di parti silicee, ad una biologica di cellule neuronali per i futuri elaboratori e su questo mi pare che il congresso abbia trovato gli studiosi d'accordo. La sperimentazione fa continui progressi nei laboratori e, quando si raggiungerà lo scopo, l'andamento del processore sarà simile a quello del cervello umano.
A quel punto il computer potrebbe acquisire la coscienza. Da profana, da questi illustri ospiti, vorrei capire se ho compreso le loro parole che mi inducono a questa conclusione.
Ma io non mi occupo di numeri e inseguo piuttosto la fantasia che vola, la mia e quella degli altri. In questa circostanza mi sono permessa un azzardo, una follia o un sogno, se volete. Ho immaginato che le cellule biologiche polifunzionali di cui si è parlato possano un giorno essere impiantate nel cervello umano. Un nuovo computer inserito arditamente nel nostro computer naturale. Lascio la mia relazione e parlo seguendo l'ispirazione del momento.
Tra il pubblico gli incompetenti cercano lo sguardo di un vicino, scettici e un po' ironici, mentre la luce continua a infierire sui miei occhi.
Ancora non ho finito. Descrivo scenari surreali, sublimi interazioni craniche, soluzioni e cifre. D'improvviso mi metto a sciorinare numeri, io che ho avuto contro la tabellina. Chiedo un mouse per muovermi sullo schermo alle mie spalle, collegato ai comandi. Il silenzio è sempre più fitto ma percorso da movimenti. Le pareti riflettono la mia dottrina.
Dico che sarebbe come far entrare tutte le galassie dell'universo in un solo cervello con la rispettiva catalogazione, latitudine, longitudine, dimensioni, buchi neri. È solo un esempio per qualche inesperto, per il mio giornalista, per dare consistenza alla vastità esorbitante che ipotizziamo, altrimenti incomprensibile, come quando si parla di una cifra di mille milioni e non si sa esattamente a cosa corrisponda.
La sala si illumina su tutte le sedie vuote e solo tu, mio cuore, mio amico, col piccolo registratore poggiato sulla borsa, accenni un applauso.
A te un simile balzo, questa affascinante ipotesi, questo volo audace è piaciuto.
Il caffè lo prenderemo perché io ti seguirò.
Ti seguirei se il mio ingegnere non mi torcesse un braccio e mi accusasse con violenza di aver reso pubblico un esperimento tanto segreto.
I miei neuroni si sono ribellati. Un caso di rigetto. Dico.
 


 

 

 

 

 

SUGGERISCI QUESTA PAGINA A UN AMICO!
Inserisci l'indirizzo mail del destinatario:

 

 

 

 

 

Piazza Scala News - maggio 2010