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MARGHERITA DI
MATTIA SANTOCONO ha inviato il racconto che segue dove, con
grande tenerezza e malinconia, scava nell’animo della
protagonista, mettendone a nudo pensieri, ricordi,
sentimenti e stati d’animo che coprono l’intero arco della
sua esistenza, ora che la stessa sembra essere giunta al suo
epilogo.
maggio 2011 |
PER DIRE ADDIO
L’ aveva capito ormai, dai sorrisi più affettuosi, troppi sorrisi tutti per
lei, dalle insolite premure, dai bisbigli interrotti al suo apparire, che
per lei non c’era più speranza.
Erano state tutte queste premure ad insospettirla più dei dolori che
avvertiva ogni tanto, e del senso di debolezza che non l’abbandonava più. Ma
non aveva percepito l’imminenza della cosa; dopo averla tanto attesa ora le
sembrava strano, innaturale, pensare che la Signora era vicina e veniva per
lei. Quando era morto suo figlio Paolo aveva creduto che sarebbe morta
presto e, per mesi, per anni si preparava a raggiungere il figlio. Ma il
tempo era passato e lei si era quasi abituata all’idea che la sua ora non
sarebbe venuta tanto presto, rimase nel suo animo come una strana presenza
che le ispirava repulsione ed attrazione insieme.
Quella mattina aprendo la finestra, il sole già alto nel cielo e l’aria
profumata di Marzo le fecero sorgere un improvviso desiderio: “è primavera,
tutto è bello attorno a me, ma presto perderò ogni cosa, come vivrò questi
ultimi mesi? O forse sono soltanto giorni? Diventerò sempre più magra, starò
tra letto e poltrona, ogni giorno il dottore mi dirà che mi trova meglio,
che ho una bella cera; ma io so che non è così…..” Le venne voglia di stare
fuori tutto il giorno, fino a sera. Perché gli altri non volevano?
Aveva desiderio di rivedere i luoghi più belli, più cari, di salutarli, di
dire addio al mondo. Decise di uscire, si vestì lentamente per non farsi
venire l’affanno, e, temendo che qualcuno la sentisse e accorresse per
impedirle di fare ciò che si era proposto, sgattaiolò nel corridoio verso la
porta
d’ingresso che aprì e rinchiuse senza fare rumore, evitò il portiere e fu
fuori, finalmente!
Passava un autobus, lo prese per allontanarsi da casa, ma sedutasi cominciò
a chiedersi dove andare; giunta a Piazza Europa decise, sarebbe andata ad
Acitrezza, un luogo dove era stata tanto felice. Sull’ autobus di linea che
la portava verso la riviera dei Ciclopi si sentì male e temette di non
farcela, cercò di distrarsi osservando i suoi compagni di viaggio, cercando
d’indovinare chi fossero, dove andassero, cosa pensassero, era un gioco che
faceva da ragazzina. Certamente erano tutti lontani mille miglia dal suo
pensiero dominante, la morte. Pensava forse alla morte il bigliettaio che
scherzava con la vecchietta dai corti capelli d’argento? Pensava alla morte
quella signora così dolce e serena? O forse alla sua casa, ai suoi figli,
alle sue faccende pressanti e urgenti ? Certamente non ci pensavano quei due
ragazzi che ridevano tra loro chissà a quale gustoso racconto. A quella età
ci si sentiva immortali, i padroni del mondo. La morte, su quell’ autobus,
era solo la sua meta, la sua ultima fermata.
Scendendo non volle entrare in paese, non le andava di sedersi sulle
panchine del lungomare, o sugli scogli dove per tante estati aspettava con
ansia che i suoi ragazzi col gommone tornassero dall’Isola Lachea.
Voleva restare sola. Così lentamente salì sulla collina che sovrasta
Acitrezza tra le ville che erano sorte come funghi a rubare bellezza al
paesaggio e si fermò tra l’erba alta di primavera, al riparo da sguardi
indiscreti.
Di là poteva ammirare tutta la riviera dei Ciclopi, i Faraglioni e il mare
azzurro meraviglioso; seguiva il movimento del piccolo porto di pescatori;
ammirava gli ultimi vecchi che facevano a mano le reti,
al sole. I bambini più piccoli rincorrevano le galline tra le barche tirate
a secco. Aveva tanto amato quel mare, quegli scogli, sin da bambina, quando
veniva a villeggiare ad Acitrezza, con i genitori e le sorelle.
Secondogenita, si era sempre sentita insignificante tra la grazia e il
sorriso accattivante
della sorella maggiore e il fascino, la vivacità della più piccola. Lo
sentiva dire spesso agli amici di famiglia, e a fior di labbra anche sua
madre ammetteva che sì, Anna era diversa dalle altre sorelle, ma era così
studiosa, così a modo, così brava! Le lodi affettuose per nascondere la sua
mediocrità
l’ umiliavano fino alle lacrime; così anche a mare, Anna fuggiva la
compagnia allegra e chiassosa dei coetanei; finita la mattinata passata tra
le onde, a gara con esse, o a tuffarsi dagli speroni di roccia più alti,
andava sugli scogli in cerca di granchi, seguita dal suo cane, saltava
leggera da uno scoglio
all’altro, felice se gli spruzzi del mare le bagnavano ancora i capelli. A
poco a poco nel sole e nel vento dimenticava di essere bruttina e infelice e
cantava a squarciagola, accompagnata dall’abbaiare festoso di Fido.
Fido era il suo più grande amico, non si lasciavano mai, studiavano anche
insieme, e lui sospirava se la vedeva stanca, abbaiava piano quasi
seguendola quando ripeteva ad alta voce. Di notte sentiva i suoi sospiri e
le sue sbuffate in terrazza, dietro il balcone della sua camera. Era rimasta
un po’ sola anche da grande, ma si era ormai abituata.
La colse di sorpresa la corte discreta, e via via sempre più serrata di un
giovane avvocato venuto in casa come amico della sorella più piccola e
considerato tacitamente da tutti un suo corteggiatore. Egli dovette lottare
a lungo per vincere la sua ritrosia …. e la sua incredulità: egli le disse
teneramente che sì, le prime volte l’aveva considerata, come diceva, poco
interessante: ma certi
suoi sorrisi improvvisi, la luce che accendeva a volte i suoi occhi castani
l’avevano incuriosito. Poi una sera l’aveva scoperta sugli scogli, sola, a
cantare, i capelli al vento, le braccia strette attorno alle gambe: la luce
della luna la faceva magica, una piccola, misteriosa Sirena uscita dal mare,
e
l’aveva amata.
Ma Anna non gli aveva creduto subito allora, e il fatto d’essere stata da
lui prescelta la riempiva sempre di stupore. La sua incredulità le aveva
impedito di lasciarsi andare anche nei momenti di maggiore intimità, e di
rivelargli la donna calda, viva, che egli aveva intravisto in lei e che
ormai lo amava ogni giorno di più. Ma forse lo aveva deluso, questo era il
suo rammarico dopo tanti anni, la loro unione era stata quella di due che si
vogliono bene, e si stimano abbastanza per vivere insieme la loro vita,
niente di più: per colpa sua si diceva, amareggiata.
Viva, vera, vibrante d’amore era stata invece come madre: la nascita di
Paolo l’aveva fatta impazzire di gioia, era suo figlio, una cosa veramente
sua, da piccino l’avrebbe amata sopra ogni cosa come lei lo amava Dopo era
venuta Sandra, poi Vera; ora, ora la sua vita era completa, piena,
inebriante.
Per lunghi anni era stata bambina con loro, poi adolescente e aveva vissuto
le loro crisi.
Poi li aveva visto diventare adulti, fare le loro scelte, andare ciascuno
per la loro strada, sposarsi. Ma niente poteva strapparla dalla sua
esaltante avventura di madre, nessun distacco addolorarla, perché li sentiva
sempre suoi. Poi venne per lei una prova molto dolorosa, morì suo marito
all’improvviso, Anna soffrì terribilmente, perché si accorse di quanto si
era appoggiata a lui in tutti quegli anni, quanto si era sentita protetta;
si strinse ai suoi figli rassegnandosi a vivere di ricordi. Poi, improvvisa
la morte di Paolo: sembrava un male da niente, poi i primi timori, i medici
scuotevano la testa, si sentivano impotenti, e vennero le lunghe ore di
terrore in clinica, accanto a lui assieme alla moglie. Ma fu tutto vano,
impotente se l’era visto strappare dalla Morte beffarda
quando già si sperava in una guarigione. Ricordava il grido disperato di
Tea, la nuora, che l’ aveva scossa dal suo agghiacciato silenzio. Sussultò a
quel ricordo, si guardò attorno quasi sentisse quel grido ora, tra gli
alberi, sulla collina. O era la sua carne che gridava, o la sua anima che
rifiutava ancora l’ingiustizia della fine di una giovane vita che si era
spenta, mentre il sole continuava a
sorgere e tramontare, e le onde lunghe a lambire i neri scogli dei Ciclopi
tra i quali suo figlio non sarebbe passato mai più, sfrecciando sul suo
gommone; anno dopo anno i suoi amici, le sue sorelle sarebbero invecchiati,
egli solo, il suo Paolo sarebbe rimasto giovane con la sua prepotente
vitalità
e la sua gioia di vivere. Anna guardò i fili d’erba, così odorosi al caldo
sole di Marzo, prese in mano un pugno di terra, la fece scorrere tra le
dita, alcune formiche caddero furiose d’essere state interrotte sul più
bello della loro laboriosa giornata, si rimisero in cerca del loro bottino
perduto, stette a guardarle, pensosa. Il sole, le erbe, le formiche, la
terra, e quel mare che sembrava immoto
laggiù, e le barche che si allontanavano dalla riva per la pesca notturna,
oh mio Dio, tutta questa era la vita, non il pulsare lento del suo cuore
ammalato. A questa vita suo figlio
non apparteneva più, e tra poco anche lei sarebbe stata lontana, da tutto e
da tutti, certamente in pace. Quella pace l’aveva cercata invano da anni da
allora; si era come spenta, rinchiusa in se stessa, sensibile
solo ai richiami delle figlie e dei nipoti e alle loro esigenze: ma per se
nulla, si era allontanata da tutti, era vissuta nell’ombra quasi
dimenticata, felice di esserlo: quella pace ora stava per arrivare, le
pareva di essere stata tutti questi anni sulla collina a guardare gli altri
vivere, preparandosi alla
partenza. Si chiese se le sue figlie erano consapevoli della gravità del suo
male o speravano nelle cure, se erano rassegnate o non si davano pace; si
ripropose di aiutarle ad accettare la sua morte come cosa naturale,
inevitabile, e di credere alle parole del Cristo, che ci rivedremo lassù.
Lei credeva, sperava soltanto questo: la certezza che dopo tanto soffrire
nel buio che si sarebbe fatto
attorno a lei Paolo le sarebbe apparso tra tanta luce, la sua voce avrebbe
rotto il silenzio improvviso: “mamma eccoti, finalmente!” Si sentì felice,
le venne quasi voglia di cantare davanti al
mare di Acitrezza, come quando era bambina, ma era tardi, doveva tornare: si
guardò ancora una volta attorno, prima di scendere.
Disse addio a tutto, a tutti, alla vita: addio vita, crudele, disumano
scorrere di giorni, addio dolce, terribile, meravigliosa vita, addio per
sempre, addio! Sull’autobus si rasserenò, si sentì un po’ meglio, pensò che
a casa tutti erano preoccupatissimi per la sua fuga. “Ma erano cose da farsi
queste?
Uscire di casa senza avvertire, nelle sue condizioni: dove sei stata mamma?”
Anna sorrise “sono stata ad Acitrezza, perché? Per dire addio a tutto, al
mare, ai Ciclopi, alle case, ai fiori sulla collina……addio al mondo.”
Dapprima nessuno parlò, poi Vera l’abbracciò, “mamma sarai stanca, ti aiuto
a metterti a letto, riposati, sta per venire il dottore”. Lei voleva dire di
no, ma poi pensò “perché no?” Tese la mano alla figlia, “va bene cara, vado
a letto ad aspettare il dottore” e la morte, pensò. sorridendo dentro
di sé.
MARGHERITA DI MATTIA
SANTOCONO
Piazza Scala News - giugno 2011