Sulle
tracce di Erik il Rosso - All'origine della vita
Appunti di viaggio - decima puntata
Ancora una splendida giornata
di sole, la temperatura è ideale per affrontare la nostra avventura sul
ghiacciaio. Durante tutta la notte il Rasmussen ha trasmesso il suo concerto
di suoni, cui ora aggiunge con la luce del mattino la grandiosità dei suoi
colori, gli icebergs giù nella rada dal colore blu-pervinca ci danno il loro
buongiorno, stamani sembrano quasi formare un piccolo fiume di ghiaccio che
lento scorre nel fiordo. Terminate le necessarie ed usuali attività del
primo mattino, convergiamo verso la tenda madre per la colazione, quando,
all’improvviso, tra gli scogli appare un musetto furbo sovrastato da due
occhietti, un piccolo ciuffo peloso: è una volpe artica nel suo abito estivo
grigio antracite; lungi da noi l’idea di spaventarla, ma è sufficiente il
clic delle nostre macchine fotografiche per vederla sparire. Superata la
sorpresa, tutto sommato emozionante, la presenza della volpe ci fa correre
verso la dispensa, dove, ahinoi, era già arrivata anche lei, stamani il
nostro simpatico animaletto si è concessa una colazione ar(istocra)tica a
base di trote salmonate, 3 belle e saporite trote sono sparite, nonostante
tutte le precauzioni adottate per nasconderle, l’unica fortuna è che la
volpe si è saziata così, senza attaccare le altre riserve alimentari,ma per
forza, erano tutti cibi in scatola. Con qualche improperio, ma in fondo
anche con un sorriso e un pizzico di comprensione, archiviamo il caso “volpe
ar(istocra)tica” e ci carichiamo d preziosi zuccheri e di serotonina da
scaricare lungo la salita verso la pancia del ghiacciaio. Controllati gli
zaini, rollini, nastri e il prezioso lunch box, tutto ok, in marcia; la
prima parte è assai gradevole, quasi in piano, è il solito terreno ricoperto
di muschio un pò molle e tra le zolle scorrono mille rivoli d’acqua dai
nevai sovrastanti. Guadando, guadando, arriviamo lì dove basterebbe tendere
una mano per toccare Rasmussen, che nel frattempo ha continuato indefesso il
suo brontolio, tanto per mantenere alta la nostra attenzione nei suoi
confronti. Siamo davanti alla morena e il gruppo si sfalda, Grazia ed Emilia
danno forfait, preferendo restare qui a godersi lo spettacolo senza
ulteriori fatiche, quelle che cominciano proprio da qui, hanno cibo, libro e
lasciamo loro anche il termos del caffè, bel gesto, tanto è quello
americano. Noi attacchiamo la morena, che via via va restringendosi sempre
più fino a diventare uno stretto cunicolo, dove passare non è certamente
agevole, dove i massi sono tutti malfermi, dove il terreno quasi sabbioso
frana ad ogni passo, sembra quasi di essere su una duna del “nostro”
deserto, quello vero, che evidentemente si sente un pò tradito e non vuol
farsi dimenticare. Ancora un passaggio stretto e difficile, è un canalone
che sale su con una delle due pareti già di ghiaccio, è pieno di grossi
massi su cui bisogna a volta arrampicarsi, altre volte aggirarli,
non è agevole e meno male che Grazia con le sue caviglie malmesse è rimasta
sul fronte. Con fatica, ma con soddisfazione, siamo fuori, siamo lungo la
parete destra del ghiacciaio, facciamo una piccola sosta prima dell’ultimo
balzo. Davanti a noi, tra i monti che fanno da cornice, scende una lunga
lingua di ghiaccio, c’è il solito grande silenzio, lontano solo il rumore di
un torrente che scende impetuoso e fragoroso, mentre intorno a noi
percepiamo il sibilar di una bava di vento. Toh, a guardar bene con il
binocolo, si scorge un redjem, il caratteristico segnapista dei deserti,
anche qui sta ad indicarci il sentiero dove attaccare l’ultimo balzo per
arrivare sulla crosta ghiacciata, evitando le insidie dei crepacci, ei
saracchi e dei camini lungo il cammino. Anche noi quindi, giunti al piccolo
redjem, aggiungiamo il nostro sasso per renderlo sempre pù grande, sempre
più visibile a chi domani si troverà a salire lungo questa pista! Ora sotto
i nostri piedi comincia lo scricchiolio del ghiaccio, ci avviciniamo alla
pancia del ghiacciaio e i gorgoglii delle sue viscere cominciano ad essere
chiaramente percepiti, sono i mille rivoli delle acque che scorrono al suo
interno, quasi un fiume di sangue, la linfa che alimenta la sua vita. Andrea
ora ci vuole tutti vicino a lui, siamo ad un passaggio pericoloso, d’ora in
poi dobbiamo camminare in fila indiana, cercando ognuno di calcare le orme
di chi lo precede, siamo sul bordo di un crepaccio abbastanza ampio e pieno
d “pozzi”, buchi dove sotto scorre un fiume, tanto azzurro da sembrare quasi
un calamaio del “vecchio” inchiostro Pelikan. E’ il momento di qualche foto,
e qui di cose da immortalare ce ne sono parecchie, dallo scenario veramente
entusiasmante ai piccoli rigagnoli d’acqua che concentrandosi creano pozze
dai colori quasi incredibili, da Santaniello che saltella come un pinguino a
Caterina che con stile poco sabaudo, ma con fame, addenta un paninazzo,
d’altra parte dopo la lunga marcia siamo arrivati all’ora del pasto dei
muratori e la nostra madamina non sa resistere molto ai morsi della fame.
Sorge quasi il dubbio che quei gorgoglii di poco fa non provenissero proprio
dalla pancia del ghiacciaio, ma dalla pancia di qualcun’altra. Quindi tutti
a fare lo spuntino e per me con problemi odontoiatrici c’è la solita scatola
di maccarello, che per fortuna mi piace molto, e una bella birra, che,
bevuta quassù, sembra avere un sapore del tutto particolare, nonostante gli
sfottò del gruppo sul mio poco spirito di rinuncia ai piaceri della vita,
celebro questo spot alla Carlsberg Skatteclasse1 brindando alla salute di
tutti (o alla faccia?), anche di chi ci vuol male, con la solita battuta
triestina: se questo è un colpo che Dio ce ne mandi un altro! Dopo pasto in
sciallo totale e con le parti basse ben fresche a goderci questo splendido
sole, che riscalda e fa risplendere i colori che si disegnano sul
ghiacciaio, dai celesti quasi verdi, al grigio fumo sui gianduiotti dei
saracchi, al bianco della pancia (quasi come quella di Tobias), mentre lo
sguardo spazia fino al ghiacciaio Idrac sulla destra e alla grande curva del
Rasmussen lassù sulla sinistra. Chissà ora dove saranno Paola, Giovanni,
Maurizio, Mario1, Mario2 e Rocco con la loro pulca a traino: in qualche
punto proprio lassù! Questi pensieri, che forse lasciano trasparire anche un
pò di invidia, testimoniano quanto l’obiettivo di questo viaggio sia stato
raggiunto in pieno, l’operazione brain wash ha avuto successo. Ancora un
flash per fissare sempre meglio l’immagine e il ricordo di quest’oasi di
serenità, poi, ordinati come soldatini, riprendiamo il nostro cammino in
fila indiana per il ritorno sotto l’esperta guida di Andrea. Ritroviamo
quasi i nostri passi dell’andata e al redjem si compie ancora il rito della
pietra che si aggiunge alle altre di quanti sono passati qui prima di noi
facendo crescere il piccolo totem in modo che domani possa funzionare da
punto di riferimento certo e sicuro per chi affronterà la salita su questo
spicchio di cielo a testa in giù. Facciamo ancora una piccola sosta prima di
affrontare la morena, siamo proprio davanti al torrente che scorre da una
lingua laterale con un rumore quasi assordante (tutto è relativo dove regna
il grande silenzio) ed è una buona occasione ancora per scattare qualche
foto, poi giù lungo quel sentiero di capre saltellando su rocce malferme
fino a ritrovare il piccolo laghetto interno, da qui solo un ultimo balzo e
poi siamo fuori. Non è stato certo facile e siamo un pò stanchi, quindi
facciamo sosta e da quassù si intravedono le sagome di Emilia e Grazia, che
al riparo di un grosso masso se ne stanno tranquillamente a ciacolare,
disteranno forse una cinquantina di metri, ma per noi sono ancora sassi,
piccoli guadi e quel micidiale terreno molle di muschio che spezza le gambe
di chi come me coltiva il superbo peccato della pigrizia. Tutti insieme
prendiamo chi un caffè e chi un the, poi marcia verso il campo a branco
sciolto, ognuno con il suo passo, anche per poter così tranquillamente
operare qualche sosta fisiologica in una non proprio riservata pissing room
del tutto open sky. Al campo in libertà, chi pisola, chi legge un libro
godendosi i caldi raggi di sole,chi arricchisce di appunti di viaggio il suo
Moleskine, chi approfitta per una “doccia nature o semi nature” nelle gelide
acque del ruscelletto, chi ancora si accontenta di un pediluvio, comunque
benefico dopo la lunga marcia del mattino. Giusto il tempo per un the (avete
provato mai a farlo senza acqua? beh io ci ho provato, e come risultato ho
distrutto il filtro di plastica del caffè, che si é azzeccato alla pentola,
poi Andrea con qualche moccolo....) quindi cominciano le attività di cucina
con la preparazione di una prelibatezza assoluta, magari non proprio
originale, trote salmonate di sapore eccellente e assai gustose che saranno
precedute da una smerdolik pietanza che Andrea ha ormai acquisito nel suo
catering menù. C’è ancora un pò di sole da godere, c’è ancora Rasmussen che
ci regala altre favolose rotture nel suo fronte e che manifesta con i soliti
cupi boati, ma stasera ci sono anche brutte nuvole nere che si profilano da
est dietro la montagna, il tempo sta cambiando, nel contrasto con il sole
degradante si creano riflessi di luce ancora più sorprendenti, che esaltano
vieppiù l’incantevole scenario, dove noi stiamo scrivendo la nostra storia
lunga un giorno, ma, possiamo dirlo, che giorno!
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Piazza Scala News - giugno 2011