Sulle tracce di Erik il Rosso - All'origine della vita

Appunti di viaggio - decima puntata

 

   Testo e fotografie di Filippo Furia   
 

 

 

Ancora una splendida giornata di sole, la temperatura è ideale per affrontare la nostra avventura sul ghiacciaio. Durante tutta la notte il Rasmussen ha trasmesso il suo concerto di suoni, cui ora aggiunge con la luce del mattino la grandiosità dei suoi colori, gli icebergs giù nella rada dal colore blu-pervinca ci danno il loro buongiorno, stamani sembrano quasi formare un piccolo fiume di ghiaccio che lento scorre nel fiordo. Terminate le necessarie ed usuali attività del primo mattino, convergiamo verso la tenda madre per la colazione, quando, all’improvviso, tra gli scogli appare un musetto furbo sovrastato da due occhietti, un piccolo ciuffo peloso: è una volpe artica nel suo abito estivo grigio antracite; lungi da noi l’idea di spaventarla, ma è sufficiente il clic delle nostre macchine fotografiche per vederla sparire. Superata la sorpresa, tutto sommato emozionante, la presenza della volpe ci fa correre verso la dispensa, dove, ahinoi, era già arrivata anche lei, stamani il nostro simpatico animaletto si è concessa una colazione ar(istocra)tica a base di trote salmonate, 3 belle e saporite trote sono sparite, nonostante tutte le precauzioni adottate per nasconderle, l’unica fortuna è che la volpe si è saziata così, senza attaccare le altre riserve alimentari,ma per forza, erano tutti cibi in scatola. Con qualche improperio, ma in fondo anche con un sorriso e un pizzico di comprensione, archiviamo il caso “volpe ar(istocra)tica” e ci carichiamo d preziosi zuccheri e di serotonina da scaricare lungo la salita verso la pancia del ghiacciaio. Controllati gli zaini, rollini, nastri e il prezioso lunch box, tutto ok, in marcia; la prima parte è assai gradevole, quasi in piano, è il solito terreno ricoperto di muschio un pò molle e tra le zolle scorrono mille rivoli d’acqua dai nevai sovrastanti. Guadando, guadando, arriviamo lì dove basterebbe tendere una mano per toccare Rasmussen, che nel frattempo ha continuato indefesso il suo brontolio, tanto per mantenere alta la nostra attenzione nei suoi confronti. Siamo davanti alla morena e il gruppo si sfalda, Grazia ed Emilia danno forfait, preferendo restare qui a godersi lo spettacolo senza ulteriori fatiche, quelle che cominciano proprio da qui, hanno cibo, libro e lasciamo loro anche il termos del caffè, bel gesto, tanto è quello americano. Noi attacchiamo la morena, che via via va restringendosi sempre più fino a diventare uno stretto cunicolo, dove passare non è certamente agevole, dove i massi sono tutti malfermi, dove il terreno quasi sabbioso frana ad ogni passo, sembra quasi di essere su una duna del “nostro” deserto, quello vero, che evidentemente si sente un pò tradito e non vuol farsi dimenticare. Ancora un passaggio stretto e difficile, è un canalone che sale su con una delle due pareti già di ghiaccio, è pieno di grossi massi su cui bisogna a volta arrampicarsi, altre volte aggirarli,
non è agevole e meno male che Grazia con le sue caviglie malmesse è rimasta sul fronte. Con fatica, ma con soddisfazione, siamo fuori, siamo lungo la parete destra del ghiacciaio, facciamo una piccola sosta prima dell’ultimo balzo. Davanti a noi, tra i monti che fanno da cornice, scende una lunga lingua di ghiaccio, c’è il solito grande silenzio, lontano solo il rumore di un torrente che scende impetuoso e fragoroso, mentre intorno a noi percepiamo il sibilar di una bava di vento. Toh, a guardar bene con il binocolo, si scorge un redjem, il caratteristico segnapista dei deserti, anche qui sta ad indicarci il sentiero dove attaccare l’ultimo balzo per arrivare sulla crosta ghiacciata, evitando le insidie dei crepacci, ei saracchi e dei camini lungo il cammino. Anche noi quindi, giunti al piccolo redjem, aggiungiamo il nostro sasso per renderlo sempre pù grande, sempre più visibile a chi domani si troverà a salire lungo questa pista! Ora sotto i nostri piedi comincia lo scricchiolio del ghiaccio, ci avviciniamo alla pancia del ghiacciaio e i gorgoglii delle sue viscere cominciano ad essere chiaramente percepiti, sono i mille rivoli delle acque che scorrono al suo interno, quasi un fiume di sangue, la linfa che alimenta la sua vita. Andrea ora ci vuole tutti vicino a lui, siamo ad un passaggio pericoloso, d’ora in poi dobbiamo camminare in fila indiana, cercando ognuno di calcare le orme di chi lo precede, siamo sul bordo di un crepaccio abbastanza ampio e pieno d “pozzi”, buchi dove sotto scorre un fiume, tanto azzurro da sembrare quasi un calamaio del “vecchio” inchiostro Pelikan. E’ il momento di qualche foto, e qui di cose da immortalare ce ne sono parecchie, dallo scenario veramente entusiasmante ai piccoli rigagnoli d’acqua che concentrandosi creano pozze dai colori quasi incredibili, da Santaniello che saltella come un pinguino a Caterina che con stile poco sabaudo, ma con fame, addenta un paninazzo, d’altra parte dopo la lunga marcia siamo arrivati all’ora del pasto dei muratori e la nostra madamina non sa resistere molto ai morsi della fame. Sorge quasi il dubbio che quei gorgoglii di poco fa non provenissero proprio dalla pancia del ghiacciaio, ma dalla pancia di qualcun’altra. Quindi tutti a fare lo spuntino e per me con problemi odontoiatrici c’è la solita scatola di maccarello, che per fortuna mi piace molto, e una bella birra, che, bevuta quassù, sembra avere un sapore del tutto particolare, nonostante gli sfottò del gruppo sul mio poco spirito di rinuncia ai piaceri della vita, celebro questo spot alla Carlsberg Skatteclasse1 brindando alla salute di tutti (o alla faccia?), anche di chi ci vuol male, con la solita battuta triestina: se questo è un colpo che Dio ce ne mandi un altro! Dopo pasto in sciallo totale e con le parti basse ben fresche a goderci questo splendido sole, che riscalda e fa risplendere i colori che si disegnano sul ghiacciaio, dai celesti quasi verdi, al grigio fumo sui gianduiotti dei saracchi, al bianco della pancia (quasi come quella di Tobias), mentre lo sguardo spazia fino al ghiacciaio Idrac sulla destra e alla grande curva del Rasmussen lassù sulla sinistra. Chissà ora dove saranno Paola, Giovanni, Maurizio, Mario1, Mario2 e Rocco con la loro pulca a traino: in qualche punto proprio lassù! Questi pensieri, che forse lasciano trasparire anche un pò di invidia, testimoniano quanto l’obiettivo di questo viaggio sia stato raggiunto in pieno, l’operazione brain wash ha avuto successo. Ancora un flash per fissare sempre meglio l’immagine e il ricordo di quest’oasi di serenità, poi, ordinati come soldatini, riprendiamo il nostro cammino in fila indiana per il ritorno sotto l’esperta guida di Andrea. Ritroviamo quasi i nostri passi dell’andata e al redjem si compie ancora il rito della pietra che si aggiunge alle altre di quanti sono passati qui prima di noi facendo crescere il piccolo totem in modo che domani possa funzionare da punto di riferimento certo e sicuro per chi affronterà la salita su questo spicchio di cielo a testa in giù. Facciamo ancora una piccola sosta prima di affrontare la morena, siamo proprio davanti al torrente che scorre da una lingua laterale con un rumore quasi assordante (tutto è relativo dove regna il grande silenzio) ed è una buona occasione ancora per scattare qualche foto, poi giù lungo quel sentiero di capre saltellando su rocce malferme fino a ritrovare il piccolo laghetto interno, da qui solo un ultimo balzo e poi siamo fuori. Non è stato certo facile e siamo un pò stanchi, quindi facciamo sosta e da quassù si intravedono le sagome di Emilia e Grazia, che al riparo di un grosso masso se ne stanno tranquillamente a ciacolare, disteranno forse una cinquantina di metri, ma per noi sono ancora sassi, piccoli guadi e quel micidiale terreno molle di muschio che spezza le gambe di chi come me coltiva il superbo peccato della pigrizia. Tutti insieme prendiamo chi un caffè e chi un the, poi marcia verso il campo a branco sciolto, ognuno con il suo passo, anche per poter così tranquillamente operare qualche sosta fisiologica in una non proprio riservata pissing room del tutto open sky. Al campo in libertà, chi pisola, chi legge un libro godendosi i caldi raggi di sole,chi arricchisce di appunti di viaggio il suo Moleskine, chi approfitta per una “doccia nature o semi nature” nelle gelide acque del ruscelletto, chi ancora si accontenta di un pediluvio, comunque benefico dopo la lunga marcia del mattino. Giusto il tempo per un the (avete provato mai a farlo senza acqua? beh io ci ho provato, e come risultato ho distrutto il filtro di plastica del caffè, che si é azzeccato alla pentola, poi Andrea con qualche moccolo....) quindi cominciano le attività di cucina con la preparazione di una prelibatezza assoluta, magari non proprio originale, trote salmonate di sapore eccellente e assai gustose che saranno precedute da una smerdolik pietanza che Andrea ha ormai acquisito nel suo catering menù. C’è ancora un pò di sole da godere, c’è ancora Rasmussen che ci regala altre favolose rotture nel suo fronte e che manifesta con i soliti cupi boati, ma stasera ci sono anche brutte nuvole nere che si profilano da est dietro la montagna, il tempo sta cambiando, nel contrasto con il sole degradante si creano riflessi di luce ancora più sorprendenti, che esaltano vieppiù l’incantevole scenario, dove noi stiamo scrivendo la nostra storia lunga un giorno, ma, possiamo dirlo, che giorno!




Continua

 

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Piazza Scala News - giugno 2011