Sulle tracce di Erik il Rosso - All'origine della vita
Appunti di viaggio - quattordicesima puntata
  Testo e fotografie di Filippo Furia

 

Filippo Furia

 

E’ proprio dura svegliarsi alle 03,30 di un mattino livido, sapendo anche che bisogna prendere un aereo, che ti riporterà sì a casa, ma anche a Milano, dove c’è quel luogo demenziale che qualcuno chiama ufficio, e dove, secondo le notizie pervenute, c’è un caldo torrido e insopportabile. Bisogna arrendersi, la vacanza è proprio finita, anzi bisogna far presto, perché i taxi per il terminal arriveranno da un momento all’altro e, pur senza caffè, bisogna trovare lo spazio-tempo per una sigaretta. Arrivano i taxi per raggiungere il terminal, ormai la strada è quasi familiare, saliamo sulla collina dove sorge l’Università, a destra il grande ospedale e a sinistra il grande vialone, che percorriamo fino al cavalcavia, conversione e siamo al terminal dei bus, puntuali all’appuntamento. C’è già luce piena, una fitta pioggerellina continua a cadere, poi, completate le operazioni di carico bagagli, si sale a bordo, non c’è più posto, pazienza, faremo il viaggio in piedi, anzi no, ho il posto panoramico proprio davanti, vicino all’autista. Con una velocità esasperante percorriamo la superstrada che porta a Keflavik, certo che questi islandesi sono proprio ligi ai limiti, non c’è che qualche rara macchina, eppure noi procediamo a velocità lumaca. Possiamo goderci il paesaggio, peccato i colori, che, ripeto, sono lividi, il cielo è grigio lavagna, le nuvole sono gonfie di pioggia. Ad ogni cartello stradale cerco di trovare nella memoria un nome, un particolare che mi riporti ad un altro mattino di qualche anno fa quando iniziammo proprio da qui il nostro “ring tour”, con la prima tappa al vecchio villaggio di Reykjanesviti e al pinnacolo di Karl, nome che qui vuol dire uomo. Quando il nostro autista rallenta, che eufemismo, ci siamo, con le sue sculture ornamentali (come dimenticare quello strano uovo o quella vela multicolore) e con la struttura in vetro-acciaio ecco l’International Airport di Keflavik. Nella sala del check in c’è una folla impressionante, e sono appena le 05.30, d’altro canto qui c’è stato il lungo week end per la festa nazionale e poi, stranamente, nello spazio di un’ora sono concentrate le partenze di almeno una decina di aerei, in pratica in quest’ora quasi tutte le capitali o le maggiori città europee vengono servite, tutte tranne Roma e Milano. La nostra particolare condizioni di viaggiatori in waiting list, per il momento, ci risparmia il lungo serpentone che si snoda fino ai banchi dell’accettazione, dobbiamo aspettare l’apertura dell’Ufficio Icelandair per riposizionare tutto il nostro piano dei voli, saltato per la cancellazione del volo da Kulusuk. E’un’incombenza che curano Rocco e Andrea, noi un pò bighelloniamo, un pò usciamo a fumare nell’aria quasi fredda di questo mattino d’estate, ma che per noi sarebbe più tardo autunnale, un pò sonnecchiamo in attesa che ci venga dato l’OK all’imbarco,…. che non arriva. Rocco e Andrea tornano trafelati portando la “ferale” notizia, Icelandair ci assicura il viaggio fino a Francoforte, poi da qui dobbiamo provvedere noi, autonomamente, per raggiungere Milano, in alternativa ci assicura la copertura con il volo di domani diretto su Malpensa. Ci si propone il solito dilemma cornuto che in realtà ha un corno solo, quindi si resta tutti ancora un altro giorno a Reykjavik, solo Giovanni, medico romano, affronta l’incognita, lasciando Paola, che forse …, ma il pensare 15 persone in waiting list da Francoforte per Milano non è proponibile, quindi non ci resta che aller a reculons. Bus, taxi e infine Pavi, come assassini siamo tornati sul luogo del delitto, maliziosamente andiamo ad augurare il buongiorno a Catterina nella sua suite (che stanza!), proprio a lei che pensava che ci saremmo finalmente tolti dalle croste…poi, dopo aver fatto anche colazione, ci lasciamo cadere nei nostri letti ancora caldi, ed Emilia, prendete nota figli, cambia ancora una volta compagna di letto, pardon, di stanza, stavolta tocca a Paola, lei che aveva detto ad inizio viaggio “ma come si fa a dormire con un’estranea”, si fa, si fa!. Quando finalmente ci risvegliamo, il tempo non è certamente migliorato, ma almeno sembra che non piova più, possiamo pensare di fare quattro passi sull’ormai familiare corso. Così senza meta ci avviamo, quando a Sergio viene il desiderio di soddisfare un’altra incompiuta del nostro precedente viaggio: trovare lo scultore di rocce laviche, che assolutamente non volle, con le sue opere, entrare a far parte della nostra collezione di strani souvenir di viaggio. E’ un momento di grossa esaltazione per Sergio che può chiedere in inglese informazioni, quasi sempre a ragazze bellocce, commesse di libreria, per guadagnare, come sempre, al massimo un sorriso, che sia per il suo inglese? A questo punto, per non fare sempre lo stesso percorso, decidiamo di ritornare alla mostra fotografica in piazzetta, ma seguendo il lungomare, una botta di pura vita vista la giornata, che ora tende decisamente verso il freddo con un vento teso e pieno di umidità. Lungo la strada c’è una scultura stilizzata rappresentante una nave vichinga, non bellissima ma caratteristica, simbolo dell’amore per il mare e dello spirito d’avventura di questa gente, della loro voglia di affermare che da qui partì la vera scoperta dell’America con Eric il Rosso, della cura con cui cercano con grande senso civico di rendere bella la loro città, del loro indubbio benessere. E’ un momento tappa-foto classico a giudicare da piccoli gruppetti che stazionano in posa davanti alla nave, foto di gruppo, foto single, poi riprendiamo il cammino rientrando sul corso ed arriviamo così in piazzetta. Ancora Sergio, che cerca di sfruttare l’ennesima commessa dell’ennesima libreria alla ricerca di informazioni sullo scultore, ma non ne cava un ragno dal buco, poi incontro casuale con i ragazzi e con Andrea completamente senza voce, quindi supermarket tour, si avvicina l’ora della pappa, e, considerata l’esperienza di ieri sera, è meglio organizzarci in modo spartano. Verso Pavi a fare la pappa e poi cosa c’è di meglio di un pisolo per sentirsi in vacanza?, dopo le fatiche groenlandesi questo sciallo fuori programma è una vera manna, se poi penso che a Milano…… Pomeriggio avanzato, il gruppo, con anche Catterina stavolta, ritorna sui suoi passi verso il corso, in qualche modo dobbiamo far arrivare l’ora di cena e fare shopping è l’unica cosa che possiamo concederci, è domenica ed è pure festa nazionale, ma un bel cappellino di lana bianca con la scritta Iceland si trova sempre da comprare, insomma non si respira certo aria intellettuale, nessuno che proponga di andare a visitare un museo ad esempio…d’altro canto alcuni di noi hanno già una certa esperienza delle opere dei celebrati artisti islandesi, opere veramente “mirabili” per il senso delle proporzioni….ricordate quel marinaio con bambino nello Snaefellsnes?!? Senza quasi accorgerci che il tempo passava, siamo arrivati alle 19.00, è quasi ora di decidere dove andare a cena, il gruppo, prima sparso, si ricompatta alla panchina davanti all’Ufficio informazioni e…Maurizio propone un localino che ha individuato nella zona del porto, lascia a noi la scelta se aderire alla sua proposta, sembra quasi non voglia assumersi responsabilità, comprensibile dopo quanto successo ieri sera. La scelta è presto fatta e per decisione unanime si va verso il porto, con un vento possibilmente ancora più teso e freddo, camminiamo sul molo proprio mentre una nave da crociera portoghese compie le manovre per riprendere il largo. E’ sempre un momento di curiosità guardare i piccoli rimorchiatori che spostano questi giganti, le corde che volano nel vento, i crocieristi che vivono questi momenti come un must del loro viaggio e se ne stanno, tutti o quasi, affacciati ai ponti, nonostante il vento e il freddo. Arriviamo a dei capannoni che funzionano da depositi e qui c’è la nostra bettola, un locale poco più grande di una stanza, dove tre “sveglioni” cucinano il pesce, i tre sono veramente tipi buffi e devono essere tra di loro consanguinei, alle pareti vecchie ed interessanti foto di pescatori, di navi, di caccia alle balene, foto sbiadite e ormai lontane nel tempo. Il menù della casa è semplice, una zuppa di aragosta (?), servita in bicchieroni di cartone Coca Cola style, rivelatasi poi gustosissima, oltre ogni aspettativa, spiedini di pesce fresco o di halibut o di merluzzo e, per i più esigenti, spiedini di carne di balena. Da non credere, mangiato benissimo e speso relativamente pochissimo, appena 20 euro, siamo convinti che Rocco ed Andrea ne faranno uno dei must nelle loro soste qui a Reykjavik, potranno venderlo come un momento di puro colore locale a costi contenuti. Con passo pigro, caratteristico di chi ha la pancia piena, ritorniamo verso Pavi, ma…non c’è voglia di andare a dormire, anche perché domani non siamo costretti ad alcuna alzataccia, il volo per Milano prevede la partenza alle 12.50, quindi c’è voglia di vivere un pò la notte, lo facciamo anche per Catterina, già “costretta” a stare con noi, almeno facciamolo vedere che anche noi siamo dei dolcevitaioli (!), capaci di folleggiare. Tappa perciò in una birreria, non è proprio una libido, ma e’ meglio che andare a letto a dormire, quattro ciacole in compagnia possono aiutare a fare della notte una noche, poi se la birra è strong….si va a dormire più rapidamente. Ed è ciò che accade, non per la birra, ma solo perché è ormai tempo di pensare che la vacanza è veramente finita, sta calando il sipario, un pò come la luce di questo lungo giorno che diventa sempre più fioca. Dalla Pavi guesthouse anche per questa notte, una buonanotte ancora tutta islandese.

 

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Piazza Scala News - febbraio 2012