A pranzo con un ragazzaccio di 89 anni Enzo Apicella

Si era annunciato con una telefonata Enzo Apicella, dicendomi che aveva voglia di tornare a Capranica dopo 50 anni e così è andata che sono andata a prenderlo Fuori Porta, per portarmelo dentro il paese, a casa mia questo signore, con cui da qualche anno intrattengo un’amicizia via mail, da vedere dal vero e non crederci…Pantaloni bianchi di velluto, pare che li usi solo così, in ogni stagione e ha fatto moda a Londra, dove risiede dal 1954, lui nativo di Napoli…mangia beve e fuma, ha 89 anni ed io mi sono
sentita complice di questa sua apparente svagatezza, perchè non gli sfugge nulla ed è curioso, immensamente curioso…
Aveva infatti un quotidiano tra le mani, di cui mi ha confessato di non aver letto neanche una riga, perchè Enzo guarda fuori, acchiappa ogni colore e guizzo di vita. E aveva in mezzo al giornale anche un libro che mi ha donato delle sue vignette, Dio benedica l’America, che detto e disegnato in inglese da lui sulla
copertina è, God bless America, Zambon Editore, grande suo amico, che risiede a Francoforte in Germania e i cui obiettivi e pratiche sono chiarissimi, basta leggerli sul sito. Nel retro copertina c’è una piccola foto di Enzo con la sua moglie-musa Sophie, l’unica donna che ha sposato e nel proposito mi ha raccontato brevemente la sua ricetta anche di lungo amore da tenere in vita a distanza…Monicelli docet, ho aggiunto io. E sempre dietro il libro,Un Uomo contro l’Impero, un articolo a lui dedicato da Tariq Alì, conclude con affetto la sua versione critica e e analitica dell’amico che viaggia contro l’ Impero, così: “C’è un vecchio detto “L’erba cattiva non muore mai. Grazie a Dio, a volte
neanche quella buona.” Libro ricchissimo delle sue sole vignette con traduzioni in molte lingue, che se non fosse un peccato staccare, sarebbero da incorniciare e mettere bene in evidenza, e il tutto per 20 euro e mi è sembrato per un libro di arte, molto contenuto, per non dire prezzo politico…Eppure questo libro non ha avuto una critica e una presentazione che avrebbe meritato ma da noi in Italia si sa, siamo molto amici ed ospitali e si ama il coro partecipativo dei cori altrui… Dell’attività incessante di Enzo non ne parlo, perchè sono i suoi disegni a raccontarla e a farci capire come cammina, non solo figurativamente, nel mondo che lotta. E’ stato con grande piacere che da tempo contribuisca, “giornalmente” ,con un suo disegno a Reset Italia, che è un po’ casa nostra, per l’amore comunicativo che si respira. In comune abbiamo un’ intolleranza profonda per gabbie muri e confini.
Tre ore scarse volate via, troppo rapidamente…tra pasta e fagioli fritti di broccolo e carciofi e rape bianche ripassate in padella. Della pasta e fagioli se ne è fatto due porzioni, un assaggio di un dolce fatto da mia sorella, che sembra si chiami torta del vescovo…potete capire come ce lo siamo gustato, il tutto con vino e liquore finale: lui sempre più leggero e lucido, un ragazzaccio. Digerito tutto.
Si è detto di lui anche quanto scrissi il 24 dicembre 2008 per, Il bambino senza pigiama – Gaza- da Enzo Apicella, censurato : “L’ennesima vignetta di Enzo Apicella che Liberazione non ha voluto pubblicare cari compagni, vi invio questa vignetta che NON troverete sul nostro giornale domani perche’ il direttore mi ha fatto sapere che “non pubblica una vignetta che fa riferimento al fascismo”. sono rimasto senza parole e mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate. un abbraccio COMUNISTA, Enzo Apicella”. Nel mosaico infinito della censura e del controllo dell’informazione, satira compresa, c’è anche la “mano sinistra”, fosse pure quella che oggi è fuori dal Parlamento e la strada una volta ancora, è in salita. E vi invio come chiede il grande amico Enzo. Per chi non lo c
onoscesse , riporto pari pari: “Vincenzo Apicella (Napoli, 26 giugno 1922) è un autore di fumetti, designer, pittore e giornalista italiano. Dal 1954 vive a Londra. Ha collaborato e tuttora collabora con quotidiani e riviste di fama internazionale come il «Guardian», l’«Observer», «il manifesto», «Punch», l’«Economist», «Private Eye» e «Harpers & Queen». Inoltre ha progettato oltre 140 ristoranti e dipinto numerosi murales. E’ designer e grafico, architetto e decoratore. Ma soprattutto cartoonist: il profilo di un creativo che ha scelto di stare con i più deboli. Da Cuba alla Palestina”.
Ringrazio Georgia, amica di rete, per segnalare che la vignetta si è ispirata alla locandina del film: “Il bambino con il pigiama a righe”.
Vogliamo vederlo in movimento, che lui non si sta mai fermo? Enzo Apicella y Maria Cristina Gonzalez, presidenta de Radio YVKE, en la Feria del Libro de Venezuela. Caracas, 17/11/2007 E una bella carrellata finale di Vignette di Enzo Apicella , aggiornate a giugno 2010.
Enzo Apicella è anche su Facebook, gentile e sintetico come pochi, e inoltre di lui potete leggere di seguito, a mio avviso, una esauriente intervista per chi pose le domande e come fu risposto. C’è da giurarci, che non era preparata, come questo pezzo, concordato con nessuno: non sono una giornalista ma quando amo una persona o un tema, ne scrivo.
Buona vita Enzo a te e a noi che ti leggeremo sempre. Scordavo: anche se non c’è lo trova,
Enzo ama il sole.

Doriana Goracci - gennaio 2011


Incontro con Enzo Apicella
L’Intifada in prima pagina
Designer e grafico, architetto e decoratore. Ma soprattutto cartoonist: il profilo di un creativo che ha scelto di stare con i più deboli. Da Cuba alla Palestina Le sue vignette sono incisive come editoriali.
Eppure, a vederlo, sembra tutto meno che un severo militante: curato nel vestire, un innegabile savoir faire. Sicuramente un edonista. Ma anche un uomo da prima linea. Brillante, ma rigoroso. Un dettaglio anagrafico: Enzo Apicella, cartoonist di Liberazione, e designer e, diciamolo, comunista, ha ottant’anni. Meravigliosamente portati.
E a vederlo ora ci si chiede: chissà com’era nel ’90, laggiù in Nicaragua, insieme a un gruppo di giornalisti piombati da tutto il mondo per le cruciali elezioni che videro la sconfitta di Ortega. Lui era lì come inviato, per l’Observer. Inviato cartoonist. “C’era anche Bianca Jagger, ricorda, molto schierata, assolutamente antiamericana. Lei è nicaraguense. E c’era Gad Lerner: era l’unico del gruppo a gettare acqua sul fuoco delle nostre certezze. Diceva: non è detto che si vinca”. Ma nel suo (brillante) passato
da militante (certo, un militante dall’alto senso estetico) c’è molto altro. Ad esempio: il lavoro come grafico in alcuni giornali (“ho lavorato a Epoca, con Enzo Biagi, e per la testata Melodramma: quando chiuse, cercai di venderla a Giangiacomo Feltrinelli. Io ero sordo, lui balbuziente: dopo venti minuti di conversazione ci salutammo completamente sudati, senza avere concluso assolutamente nulla”).
E poi, naturalmente, nella vita di Apicella c’è la scelta comunista: “Sono diventato comunista… nei Guf, gruppi universitari fascisti (cultura come apriscatole della mente)”.
E l’Apicella designer? Non si può scordare: visto che il portentoso Enzo è anche il creatore di alcuni tra i più modaioli ristoranti londinesi. “Ne ho disegnati 140. Sono stato il pioniere della ceramica (italiana), delle luci a basso voltaggio e delle tende veneziane in legno. Ho anche creato un paio di milionari (in sterline): erano i proprietari di due tra i locali meglio riusciti. Ho dipinto grandi murali (lo considero il modo più onesto di dipingere)”.
Come sei diventato cartoonist, invece?
Le due cose convivono benissimo: siamo sempre nel supermarket delle idee. Le prime esperienze le feci a Napoli, con Pazzaglia e Vittorio De Filippis. Publicammo il primo giornale umoristico del dopoguerra, e fu un vero successo. La seconda esperienza: a Roma, al Cronache di Gualtiero Jacopetti. Lì mi meritai il titolo di “primo cartoonist italiano senza parole”. Fu Scalfari, a darmelo. Insomma, cominciai a disegnare cartoons quando mi accorsi che si faceva prima a riempire un foglio con disegni che a non a
scrivere (si è più concisi ed efficaci).
Sembri molto a tuo agio nei dibattiti politici come nelle situazioni mondane. Come convivono in te queste due anime?
Salvador Allende andava pazzo per le cravatte italiane, eppure è morto con il mitra in mano. Comunque: le due anime continuano a bisticciare, ma anche loro, come il cartoonist e il designer, riescono a convivere piuttosto bene.
Qual è il tuo rapporto con Napoli? Cosa ti manca e cosa ti infastidisce della tua città d’origine?
Sarà banale, ma si tratta di un rapporto di amore e odio. L’intelligenza, la filosofia, la creatività della gente ancora mi stupiscono. La camorra mi fa male al cuore. Però mancavo da Napoli da un po’ di tempo (vi sono tornato recentemente, per la mostra che esponeva i cartoon sulla Palestina raccolti in questo quaderno) e l’ho trovata molto cambiata. In meglio.
E il tuo rapporto con Londra?
Una volta aveva il fascino del diverso, e per questa ragione le perdonavi molte cose. Adesso passano con il rosso, ti spintonano e non ti dicono nemmeno “sorry” (troppa pizza e caffè espresso?).
Vivi a Londra da molto tempo?
Da 45 anni. Ma li porto bene, mi dicono. Me ne danno non più di 10 o 12.
Dove ti senti davvero a casa?
Mi sento a casa in strada, sono un vero uomo da marciapiede. Dammi una città sconosciuta, della gente da incontrare, e sono felice. “World, sweet world”.
Perché hai deciso di “emigrare”?
Puro caso. L’unica volta che ho davvero deciso di emigrare fu per lasciare Napoli e andare Roma: lunghe discussioni sul sì o no con Luigi Compagnone, Pasquale Prunas ecc.
La storia del tuo impegno politico.
Odio la verbosità della politica. Mi piace il “fare”. Dalla parte dei deboli e delle minoranze. Tutto cominciò, comunque, a Napoli: quando Maurizio Barendson, Renato De Fusco, Antonio Ghirelli, Gianni Scognamiglio, mi introdussero a Marx.
Hai dedicato alla Palestina molti dei tuoi cartoon. Quali sono le ragioni di questo impegno?
È come per Cuba: sto con i deboli e sono contro lo strapotere capitalista.
Sei stato in Palestina?
No, spero proprio di andarci presto. La prima vignetta sulla questione palestinese la disegnai molti anni fa, durante la prima Intifada.
Vuoi raccontarci della tua decisione di boicottare le merci “made in Usa”?
È paradossale che gli Stati Uniti siano così forti da vendere anche a noi della sinistra i loro prodotti! Invece di scrivere lettere a il manifesto e a Liberazione, i frustrati dovrebbero scoprire il piacere di usare Pasta del Capitano invece di Gillette, Mennen invece di Noxzema, Gauloise invece di Malboro. In fondo si tratta di un embargo (dal basso) nei confronti del paese più potente del mondo.
Quindi pensi alla disobbedienza civile come a un modo di fare militanza politica?
L’unico modo.
Cosa vorresti dire agli israeliani?
Liberatevi di Sharon e anche di Barak. Ascoltate le tante anime della vera sinistra che sono in voi.
Due parole sulle accuse di antisemitismo che colpiscono, sempre più frequentemente, chi critica il governo israeliano.
È come l’antiamericanismo, il velo mimetico dietro cui si nascondono le atrocità di Sharon e di Bush.
Come è iniziata la tua collaborazione con Liberazione?
Mi chiamò Lucio Manisco: aveva visto i miei disegni sull’Observer, il manifesto, The Guardian.
Come descriveresti il tuo “stile”?
Europeo. Anzi, mondiale. Le piccole beghe nostrane non mi interessano.
Da cosa parti per disegnare le tue vignette? Ricevi indicazioni da Liberazione?
Leggo i giornali, guardo la tv e decido in completa autonomia. Indicazioni: solo qualche volta.
È vero che, nell’era della posta elettronica, mandi ancora in redazione i tuoi cartoon via fax?
Sì: li ho mandati da Cuba, dal Nicaragua, dalla Corsica. Ovunque mi trovi. E continuo a farlo. All’inizio fu un po’ difficile. Ma poi, il limite si trasformò in un vantaggio: è un mezzo che ti costringe ad essere conciso, essenziale. Ad arrivare all’idea, liberandola dai fronzoli.
Ti hanno mai censurato (anche a Liberazione)?
Una o due volte: per eccesso di estremismo.

Anna Assumma

 

 


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Piazza Scala News - febbraio 2011