Reggio Calabria di un tempo   

 

   A festa 'i 'Maronna - fine anni '40  



Dalla collina del Santuario dell’Eremo, come tradizione, anche nel settembre di quell’anno, venne portata giù in città, sulle spalle dei Portatori, la Vara con il venerato quadro della Madonna della Consolazione.
Finita la guerra e il triste periodo dello sfollamento, i reggini tornavano alle loro tradizioni antiche col piacere d’esser vivi fra le macerie intorno. Né più colpivano quei palazzi sventrati, i lunghi ferri che ancora spuntavano dalle pareti aperte come lunghe ossa nere di scheletri danzanti fra tappezzerie sbiadite di stanze vuote scoperchiate, impunemente intraviste nella loro intimità senza segreti.
Era festa: il quadro della Madonna scendeva in città, e tutti erano contenti.
Perché per i reggini, ieri come oggi, il quadro non rappresenta semplicemente l’immagine dipinta della Vergine, per i reggini il quadro “è” la Madonna.
- “ Arriva, arriva!”.
- “Stannu purtandu ‘a Maronna!”.
- “A Maronna sta arrivandu!

si sentiva infatti mormorare con gioia di qua e di là.

 

Il primo piccolo quadro della Madonna della Consolazione (come nella Sacra Scrittura Consolazione ha il significato di soccorso, aiuto e assistenza) si dice sia stato trovato su una collina vicino Reggio detta “La Botte” da un contadino mentre zappava la terra e che, trasportato più volte nel Duomo di Reggio, riapparisse prodigiosamente nello stesso luogo dove era stato trovato. ..............

 

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Alla fine della Via Cardinale Portanova (nella cosiddetta piazza della Consegna) il quadro, secondo tradizione, dai frati Cappuccini venne consegnato al clero del Duomo di Reggio. La processione, che comprendeva una larga parte del clero e autorità comunali e centinaia di devoti, superato il Museo di Piazza De Nava, cominciò quindi a snodarsi lungo il Corso Garibaldi per avviarsi lentamente, con dietro la banda al gran completo, verso la Cattedrale dove il quadro sarebbe rimasto esposto all’adorazione dei reggini fino a novembre.
Una processione immensa. Con la celebrazione della festa tutti volevano ancora ringraziare la Madonna per la fine della guerra, come sempre avevano fatto i loro padri nei secoli passati, secondo promessa antica, per essere stati protetti in occasione di tante disgrazie: carestie, pestilenze, terremoti, invasioni nemiche.
Impressionante la folla che invadeva le strade e la piazza del Duomo, e si accalcava intorno alle bancarelle che allora venivano schierate sia sui marciapiedi del Corso che ai lati della piazza davanti alla Cattedrale, tutte piene di svariate cose in vendita come a voler scongiurare, con l’abbondanza della merce, la miseria patita durante la guerra.
L’aria profumava di torrone, di mandorle tostate dolci e salate, e di stomatico, e di ‘nzuddi di Soriano, quella sorta di biscotti dolci fatti di farina e vino cotto e miele, dalle svariate forme strane, ornati con pezzettini di stagnola colorata.
- “ ‘A calia cotta, ‘a calia cotta!” – bandiava in piazza Camagna il venditore di ceci tostati, ma anche di lupini a mollo nell’acqua dentro le bagnarole, e di simenza nei sacchi, i semi quelli grossi e leggermente salati della zucca gialla.
In mezzo alla gente, che dalle varie traverse continuava a riversarsi sul Corso pressando da tutti i lati, passava intanto in precario equilibrio il quadro santo, come traballando, perché i Portatori facevano un’immensa fatica a camminare reggendo sulle spalle la Vara che nel suo insieme pesava enormemente.
In quel tempo i Portatori per tradizione erano tutti pescatori per il voto fatto, già al tempo del terremoto del 1908, per ringraziare la Madonna che aveva protetto la loro vita e li aveva aiutati a riavere una casa. Infatti caritatevoli stranieri, accorsi da diverse nazioni in aiuto dei terremotati, si erano adoperati all’epoca per ricostruire appunto le case che erano andate in rovina durante il terribile sisma. Fu così che nacque un nuovo rione, “U Riuni pescatori”, sulla strada che oggi, subito dopo il Rione Ferrovieri, porta allo Stadio, al campo sportivo ( ‘a strata chi porta o’ campu, come si dice a Reggio) con delle abitazioni piuttosto lontane dalla tradizione abitativa dei reggini. Case unifamiliari che, pur facendo parte ognuna dello stesso blocco composto da più appartamenti, erano strategicamente disposte in maniera indipendente l’una dall’altra. Al piano terra un grande ambiente soggiorno con angolo cottura e veranda, al piano di sopra la parte notte raggiungibile attraverso una scala interna con i gradini che pare fossero di marmo. Però i pescatori, che certo vivevano in condizioni economiche un po’ grame, pare che ogni tanto si sfogassero dicendo:
“ ‘Ndi ficiru ‘i scali ‘i marmu e intantu murimu ‘i fami!”.

 

I portatori della vara, oggi non solo pescatori ma anche appartenenti a varie categorie sociali, hanno creato da alcuni anni l’Associazione dei Portatori della Vara “Madonna della Consolazione” (segreteria in Via Sbarre n.14) che ha lo scopo di tenere sempre vivo il culto della Vergine..........

 

 

 

I Portatori-pescatori avanzavano dunque sopportando coscienziosamente la fatica, ma non sempre in silenzio. A volte, forse per le spinte o perché inciampavano, imprudentemente volava anche qualche parolaccia...
- “ ‘Na lira, ‘na lira ‘nu bicchieri!” - gridava per strada il venditore d’acqua fresca reggendo con una mano ’u bumbulu trasudante poggiato su una spalla. E ce n’era bisogno! Non esisteva la gran quantità di bar che oggi sono sparsi quasi in ogni via della città.
- “Grida comu unu d’ ‘a vucciria ‘i Palermu” – mormorò qualcuno. Dai tratti somatici in verità quell’uomo poteva sembrare anche un venditore d’acqua di Marrakesh.
Sempre sbuffando sotto il peso della Vara e ansimando per il caldo afoso, a volte i Portatori, al suono del campanello agitato con fervore, si fermavano al comando del Capo per riposare un po’, e allora la banda suonava con più fierezza mentre più frequenti balenii di luce degli ottoni risplendenti accarezzavano i muri delle case e le preziose coperte damascate, stese sulle balaustre dei balconi. Al nuovo suono del campanello si risollevava la Vara e tutti continuavano a proseguire verso il Duomo.
Come per smorzare le smanie della folla da delirio paganeggiante, i sacerdoti spesso sollecitavano ancor più al canto sacro le pie donne al seguito le cui voci subito si levavano stridule nell’aria:
Mira il tuo popolo
o bella Signora
che pien di giubilo….

Nell’affollatissima piazza della Cattedrale era difficile trovare passaggio tra la gente in attesa che pigiava di qua e di là. Molti aspettavano lì la Madonna, lasciando che i bambini si accalcassero gioiosi sulle scale del sagrato, o accanto alle bancarelle di giocattoli o intorno al pentolone da cui fuoriuscivano le bianche nuvole dello zucchero filato.
Dalla traversa a destra della piazza arrivava a zaffate un forte odore di carne di maiale, frittole e curcuci, che ribollivano nei grandi calderoni fumanti con sotto un allegro fuoco ardente, acceso proprio là sui marciapiedi davanti alle macellerie. Invece, ai lati della piazza, sia a destra che a sinistra, nei larghi spiazzi sotto l’ombra dei pruni marini così ricchi di foglie che non c’era stacco fra una chioma e l’altra, si danzava la tarantella.

Mariella Di Pasquale

 

 

Piazza Scala - gennaio 2010