alcune fotografie di Fernando con Pietro Mennea e una cartolina dalle Olimpiadi di Los Angeles
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Sono passati ormai diversi giorni da quel 21 marzo 2013 e i riflettori sull’improvvisa e immatura scomparsa di Pietro Mennea si sono ormai spenti. E oggi, quando l’onda emotiva si è sopita, desidero raccontare anch’io qualcosa di questo Campione, magari di inedito che non trovereste mai sulle biografie ufficiali.

Per le generazioni di oggi Pietro Mennea è solo un lampo che non può accendere la memoria, anzi la sua storia trapuntata di fatica e sacrifici andrebbe raccontata ai ragazzi delle scuole per spiegare loro cosa significhi avere carattere, tenere duro, non mollare dinanzi alle contrarietà. Per me, invece, è l’occasione di rivivere una parte della Sua e della mia vita che si incrociarono nel lontano 1980 a Barletta. Pietro, fresco recordman mondiale dei 200 metri piani realizzato a Città del Messico il 12 settembre 1979 con un fantastico (specie per quei tempi) 19”72; io, giovane Vicedirettore della Filiale Comit di Barletta sempre a caccia di nuove “opportunità” che riesce a procurarsi in un freddo gennaio un incontro “di lavoro” con Mennea per spuntare con successo l’apertura di un conto corrente a nome del “campione”. Fu subito amicizia di quelle giuste, disinteressate, una vera empatia: ci accomunava la passione per l’atletica leggera che io praticavo sin dal remoto 1956. Ero diventato anche il Presidente dell’A. S. Atletica Barletta e organizzavo gare di livello nazionale di corsa su strada come la “Strabarletta”.

Ma i ricordi più belli rimangono quelli legati ai Suoi tanti allenamenti (quando non era a Formia) in pista e in una palestra malamente ricavata nella parte sottostante le gradinate dello stadio. Qualche volta, io che ero un corridore di fondo, mi prestavo a fargli da “lepre” nelle prove ripetute di resistenza: Pietro partiva dai 250 metri ed io, contemporaneamente, dai 200 metri. Ovviamente, sul traguardo riusciva a rimontare tranquillamente l’handicap iniziale dei 50 metri. E quando non c’era nessuno a “trainarlo” spuntava una malandata motoretta guidata dal suo eccentrico compagno di merende Savino Albanese detto in barlettano “u cavedd” (il cavallo) che gli “tirava” le ripetute. Uno scanzonato perdigiorno che trascorreva la sua vita fra palestre e pista di atletica, amici sin dall’adolescenza, che aveva trascinato Pietro da giovincello nelle scommesse sulle corse da 50 metri contro Porsche e Alfa Romeo compiute notte tempo sul Viale Giannone a Barletta e che Pietro regolarmente vinceva! Molte volte, finito il lavoro Banca, Lo raggiungevo allo stadio sulla pista e Gli cronometravo i tempi e aggiornavo il Suo inseparabile diario che teneva puntigliosamente e meticolosamente annotato giornalmente con i “lavori” eseguiti. Era un uomo molto schivo, di una timidezza sconcertante che appariva agli occhi degli altri come scontrosità: poi con la maturità è riuscito quasi a superarla. Aveva bisogno di amici leali che gli stessero accanto, disinteressati: è per questo che la nostra è stata un’amicizia vera. Il Suo record è durato 17 lunghissimi anni e quel primato resta l’impresa più celebre, uno dei tanti acuti come l’oro olimpico di Mosca, nella lunghissima carriera di un atleta capace di partecipare a cinque Olimpiadi consecutivamente e raggiungere quattro finali. Questo “negrobianco” del Sud che volle sfidare i “coloured” senza possederne né la struttura, né la predisposizione alla corsa, che li affrontò sul loro stesso terreno animato da una straordinaria forza di volontà (Brain Power come coniò il compianto giornalista Mino Damato) e dal sostegno tecnico di un grande allenatore come Carlo Vittori. Eppure, nel Suo “studio” sul retro del negozio di articoli sportivi “Menneasport” a Barletta ne ho sentite di telefonate roventi fra Pietro e il “Professò” come Lui lo chiamava. Tranne che per le metodiche di allenamento, per il resto non erano quasi mai d’accordo su nulla, specie sulle partecipazioni alle gare; ma, intanto, Pietro correva e vinceva e come vinceva con quel Suo dito indice rivolto al cielo che non era soltanto il segno dell’emancipazione di chi arriva dal basso e da dietro, ma rappresentava anche un vero e proprio “gesto di protesta” contro i Suoi denigratori…….e Pietro, nonostante le apparenze, ha dovuto lottare anche contro coloro che gli remavano contro: uno per tutti, il noto episodio di Formia con Berruti che rilasciò delle dichiarazioni (sospettandolo di doping) che a Pietro non piacquero è uno dei tanti esempi che si potrebbero raccontare. Ma questa è storia, mentre nella mia mente galleggiano tanti ricordi personali che mi riesce difficile mettere in ordine. Al rientro da un incontro triangolare con la Francia e la Polonia, mi regalò una tuta Adidas elasticizzata della nazionale polacca, bellissima rossa e bianca che, ovviamente, conservo ancora gelosamente. Rammento la prima volta che venne a casa mia e i miei figli che lo guardavano “in trance”; invece Pietro (Piero/Pierino per i suoi famigliari e per gli amici intimi), che veniva da una famiglia piccolo-borghese, papà Salvatore sarto e mamma Vincenza casalinga (ironia della sorte, è morta anche lei tre anni fa nello stesso giorno di Pietro il 21 di marzo), mise tutti a loro agio. Un’altra volta, ricordo, mentre faceva la preparazione invernale, il Prof. Vittori aveva previsto nel suo piano di lavoro di doverGli far correre una tantum un “lungo” di una diecina di chilometri sullo sterrato. Oltre a me, c’erano un altro paio di amici fondisti che facemmo da “gabbiani” come si suol dire in gergo; ma quella volta ci eravamo riproposti di metterlo alla corda e di “tirargli il collo” a tutti i costi. Ci riuscimmo solo in parte perché negli ultimi tre/quattrocento metri Pietro si involò leggero come una gazzella lasciandoci quasi “sur place”. Appena ricongiunti, un po’ provato e con il fiatone ebbe ad apostrofarci pesantemente a denti stretti chiamandoci “bastardi”!!! (per l’esattezza ci disse “bastérd” in barlettano).

Quel pomeriggio dell’estate 1980 ero in villeggiatura a La Thuile in Val d’Aosta e avevo preso in fitto con la famiglia un appartamentino che era sprovvisto di televisore. Guardai con i miei figli la finale dei 200 metri attraverso la vetrina di un negozio o di un bar, non ricordo bene, e naturalmente dopo quei fatidici venti secondi eravamo come impazziti di gioia per strada e gli altri villeggianti ci guardavano un po’straniti.

Avevamo consolidato il rito della “prima colazione al bar” quando si trovava a Barletta: io, al mattino prima dell’ingresso in banca, e Pietro prima di recarsi a fare la Sua seduta mattutina di allenamento: si allenava duramente due volte al giorno, al mattino due ore di lavoro con i pesi e al pomeriggio altre tre ore in pista per dare vita a una serie interminabile di ripetute alattacide alternate a quelle lattacide più dure e faticose. Rigorosamente cappuccino e brioche con marmellata e poi tirava fuori il Suo fazzolettino di carta che conteneva le Sue “vitamine” in pillole. A pranzo e a cena per Lui tassativamente spaghetti al filetto di pomodoro fresco! E, infine, a nanna presto dopo una seduta con borse di ghiaccio ai tendini d’Achille! Non ha mai subito un benché minimo infortunio in tutta la sua longeva carriera! Qualche strappo alla regola se lo concedeva quando proprio era costretto a partecipare ad alcuna cena “istituzionale”. Talvolta gli facevo compagnia e, prendendomi per un gomito, mi sussurrava “non allontanarti, stammi seduto accanto, non lasciarmi da solo con questa gente”.

Un lunedì mattina si presentò al bar con un sorrisetto strano, era appena rientrato dal meeting internazionale di Rovereto. Mi disse che dovevamo fare “urgentemente” un bonifico ad Alberto Cova. Quindi, mi confessò sghignazzando che gli aveva fatto un tiro mancino, il giorno prima negli spogliatoi, sfilandogli dalla tasca posteriore dei jeans la busta con i soldi dell’ingaggio!!! E fu lì che capii veramente  quanto fosse rimasto un ragazzino dentro questo atleta granitico, un fascio di muscoli e nervi che faceva dell’umiltà una leva e della rabbia un biglietto da visita, che viveva una vita da asceta pur di ottenere i risultati e che interpretava lo sport come un sacrificio, una missione da compiere! Si allenava 365 giorni all’anno!

Poi è venuta la stagione dell’abbandono dell’attività e Pietro ha intrapreso altre strade ma, come se fosse indispensabile a se stesso, voleva essere sempre un po’ più avanti rispetto agli altri “drogandosi” di interessi, collezionando lauree, facendo anche il politico, lo scrittore, il tributarista, il procuratore di calcio. Insomma, un novello Peter Pan che si rifiutava di crescere per conservare eternamente la sua immagine di “vincente”. Io sono stato trasferito altrove e i nostri incontri si sono diradati, ma ci siamo sempre tenuti in contatto per telefono o per e-mail. Di tanto in tanto, ho presenziato a qualche Sua conferenza in occasione della presentazione di un Suo libro o di un convegno sul tema del doping o della giurisprudenza sportiva. In una di queste circostanze,  mi ero sistemato in modo molto defilato in platea,  si svolse uno strano dibattito a tre fra Pietro, i giornalisti o gli ospiti intervenuti che Gli ponevano le domande che Lui a distanza faceva rimbalzare verso di me ed io che Gli tenevo bordone accompagnando le Sue risposte! Era geniale anche in queste cose!

Mi aveva invitato a Roma al Suo matrimonio con Manuela.  Era sempre il primo a mandare gli auguri per Natale ma quest’ultima volta, quando il male ormai incalzava, evidentemente non ce l’ha fatta. Mi resta il rammarico di non aver potuto aderire al Suo invito nello scorso mese di Novembre a presenziare  alla cerimonia per la consegna del premio “Città di sfide” pensato per Lui dal sindaco di Barletta. Il cancro, l’unico avversario che Pietro non sia riuscito a sconfiggere, lo stava già divorando ed Egli, restando in silenzio, non aveva detto niente a nessuno, tranne che alla moglie Manuela, per coerenza con il Suo codice comportamentale.

Ci eravamo incontrati l’ultima volta esattamente un anno fa il 4 marzo 2012 e, come sempre, ci eravamo abbracciati e raccontate le nostre cose come solo due vecchi amici sanno fare.

Sul mio cellulare sono rimasti i Suoi numeri telefonici e credo che mi riuscirà difficile, anzi direi che sarà impossibile, aprire “Rubrica” e cercare Pietro Mennea, cliccare su “opzioni” e poi su “cancella numero”.

Ciao Pietro.

 

Fernando Mazzotta (Taranto)

 

 

 

 

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