Piazza Scala News  aprile 2009

UN DUBBIO AMLETICO 

Chi preferisci? La discussione è aperta: GATTO O CANE?

 

Per me è impossibile dirlo. Ho amato appassionatamente, come può esserlo un amore adolescenziale, la mia gatta Minnie (sì, proprio come la moglie di Topolino!), una soriana nata quando avevo circa otto anni e che mi accompagnò nel cammino della crescita sino ai diciannove. E ho amato di un grande amore reciproco la mia lupa, un pastore tedesco di nome Gerta (si legge Gherta e deriva da Trudy, diminutivo di Gertrud, la moglie di Gambadilegno).

 

1° Parte – Il gatto

Nacque in un fienile e mamma gatta concesse a me ed alla mia amichetta il privilegio di vedere i suoi due piccoli prima di nasconderli in mezzo alla paglia. Ogni giorno salivamo la ripida scala per andarli a trovare mentre le nostre di mamme ci urlavano di fare attenzione ai graffi protettori di mamma gatta. Io scelsi la femmina, aggraziata, con luminosi e furbi occhi gialli, anzi per onestà dovrei dire che fu lei a scegliere me strofinando il suo nasino umido sulla mia mano.

Al momento di ritornare in città scoppiò la tragedia: volevo assolutamente la mia gattina che aveva già trascorso tante ore nella casa di campagna nella quale avevamo passato l’estate. Era stata accolta dopo i quaranta giorni e ci aveva deliziato con le sue acrobazie, con le sue fusa e la sua furbizia. Per esempio facemmo una gita più lunga del solito trattenendoci a dormire in un paese vicino. Quando l’indomani arrivammo a casa, lei si era aggiustata e per sfamarsi aveva fatto rotolare due uova dal contenitore sul pavimento: quando, cadendo si erano rotte, il gioco era fatto e lei si saziò.

Si giunse dunque alla partenza e, dopo miei solenni giuramenti di trattarla bene e di studiare (condicio sine qua non all’epoca), Minnie fu portata, in una bella cestina chiusa, a Torino. E qui iniziarono i guai: la casa era tutta da scoprire. Volete che un gattino non provi l’ebbrezza di arrampicarsi sui tendoni di organza per vedere il mondo dall’alto? Volete negare al povero micio di affilarsi le unghie sulle poltrone appena rifoderate del salotto? Avete il coraggio di mortificare il suo istinto predatore negandogli il furto di una cotoletta? Io non di certo, ma i miei genitori erano di parere diverso e così la miciotta ripartì per la campagna. Io non accettai e piansi disperatamente per una settimana, cosa inusuale perché non ero capricciosa (se lo fossi stata la genitrice mi avrebbe riempito di sante botte). E così il tenero papà convinse la mamma a riportare la gatta a casa. Ma qui inizia il dramma. Quando mio fratello maggiore giunge in campagna la gatta è introvabile. La vedono ma lei scappa terrorizzata: come mai? La prima spedizione essendo andata buca, ha inizio un’altra settimana di pianti disperati e perciò la domenica successiva riparte una nuova spedizione di ricerca. Stavolta vanno a cercarla solo i miei fratelli, senza estranei e Minnie si precipita loro incontro, così si comprende la causa del suo terrore: il suo nasino sarà per sempre segnato dalla zoccolata che la padrona della casa da noi affittata le aveva tirato quando lei ci cercava. L’arrivo a casa è una di quelle scene che ancora mi commuovono: Minnie entrò e iniziò a correre, strofinarsi, miagolare, saltare come impazzita dalla felicità ed i suoi occhi, come i nostri, erano, lo giuro, umidi di pianto.

Da allora fu sempre con noi a condividere gioie e dolori, vittorie e sconfitte. Come dimenticare la sua presenza muta ed affettuosa sul tavolo, coricata sul libro o sul quaderno che stavo per aprire:aveva un sesto senso infallibile per capire quale mi serviva (o forse era una mia scusa per interrompere lo studio?). O quando la notte prima degli esami dormì sul mio letto anziché nella sua cuccia, quasi a darmi fiducia. Non si può scordare quando, due minuti prima di Carosello veniva a chiamarmi perché andassi in sala ad accendere la TV (in sala perché era un oggetto importante la TV allora, i vicini ti salutavano con più rispetto e cordialità per poi chiederti di venire a vedere “Lascia o Raddoppia”). E che dire della sua abilità ad aprirsi le porte delle camere chiuse (che lei odiava) saltando sulle maniglie e facendole abbassare con il peso; oppure della sua curiosità che la portava ad esplorare tutti i mobili fino a restarci chiusa dentro e a chiamarci con flebili miagolii. Quando lei morì noi eravamo in vacanza e la nostra vicina di casa si era occupata di lei. Il mio dolore fu immenso, come può esserlo quello di una ragazza cresciuta con un piccolo esserino dolce e morbido e che si trova ad affrontare per la prima volta la grande ed imprescindibile realtà della morte. E giurai che mai più avrei avuto un animale per non soffrire così tanto.

 

2° Parte – Il cane

 

Ma non mantenni il patto. Da poco sposata, mio marito ricevette in dono un pastore tedesco, a sua scelta in una cucciolata. E anche in questo caso fu lei a scegliere noi: al nostro tocco fu l’unico cucciolo, nato da poche ore, a tentare di avvicinare la sua testolina alle nostre mani. Dopo i canonici quaranta giorni, forniti di scatola di cartone e panno di lana, andammo a prenderla: era bellissima, nera sul dorso, macchia bianca sul musino e calzette bianche alle zampe (presente “Due calzini” in “Balla coi lupi”?). Di stare nella scatola neanche a parlarne: mi ruppe subito le calze tentando di salirmi in grembo e fu amore, grande e reciproco amore. Per noi era un po’ come un figlio: giocavamo, la coccolavamo, era sempre con mio marito in ditta e, nel weekend, sempre con noi. Con lei viaggiammo in mezza Europa: era educatissima, sapeva bene che non doveva abbaiare negli hotel, che non doveva sporcare i marciapiedi, che doveva stare accanto a noi e sopportare la museruola, oggetto che la offendeva moltissimo. Sospettavamo che capisse almeno il senso delle nostre parole e decidemmo di fare un esperimento: viaggiando in auto (lei era sempre sdraiata sul sedile posteriore in quanto allora non era necessaria la rete) mio marito ed io iniziammo a parlare in francese, lei si alzò, mi mise il muso sulla spalla e, premendola, cominciò a protestare (e chi non mi crede vuol dire che non ha mai avuto un cane intelligente!). Una volta si ferì con una lattina abbandonata su un sentiero di montagna: mi guardò con sguardo sorpreso e corse lamentandosi a farmi vedere la zampa sanguinante. Adorava l’acqua e difatti, a soli tre mesi, sul lago Maggiore, vide dei cigni e, senza pensarci né uno né due, si gettò nell’acqua per giocare con quelle strane cose bianche. Fracasso indescrivibile degli uccelli, urletti disperati della sottoscritta per il timore che affogasse e tranquilla nuotatina sua dopo il primo attimo di smarrimento. Conclusione: ritorno a Torino con i finestrini chiusi ed il riscaldamento acceso perché ci avevano detto che non doveva bagnarsi nei primi mesi (dimenticavo di dire che era agosto!) Al mare poi era uno spasso: le gettavamo, in zone consentite, dei rami in acqua e lei nuotava per prenderli e riportarceli; se invece erano pietre, che andavano quindi a fondo, chiudeva le orecchie, stile foca, e si tuffava a recuperarle. Fu immortalata centinaia di volte da foto e filmini da persone che si erano fermate incantate a vederne le prodezze. Ci venne persino offerto un assegno in bianco per acquistarla: ma come si fa a vendere un pezzo di famiglia?

In due occasioni ci difese veramente. La prima volta fu quando fece scappare a gambe levate un drogato che, non avendola notata, ci si era avvicinato di sera con brutte intenzioni truffaldine. Ma la seconda volta ci salvò veramente. Eravamo a pranzo a casa di mia madre la quale, dopo il pasto, si avvicinò alla cucina a gas per preparare il caffè, ma Gerta le piazzò le zampe sulle spalle allontanandola dal fornello. Subito non capimmo e ci preoccupammo per il suo comportamento. Ma poco dopo passarono nel corso le auto dei vigili del fuoco che avvisavano, con i megafoni, di non accendere gas e luce: era scoppiata una centralina del gas in zona e, pochi minuti più tardi, scoppiò una appartamento. Il suo fiuto finissimo ci aveva salvati.

Ma il mio ricordo più tenero è relativo al periodo della mia gravidanza: lei mi si avvicinava, si drizzava sulle zampe posteriori e con quelle anteriori mi cingeva la vita appoggiando il muso sul mio pancione: probabile che sentisse il battito del cuore di mio figlio. Quando il bimbo giunse a casa e le fu presentato il suo sguardo pareva dire:”Ma che cos’è questa cosa puzzolenta e frignante?” Ebbe un po’ di gelosia, tanto che ingrassò e produsse latte dalle mammelle: una gravidanza virtuale, ci spiegò il veterinario, che curammo con un bambolotto sul quale poteva sfogare i suoi malumori; ma poi fu grande amore anche con mio figlio del quale, ne sono certa, si considerò sempre la sorella maggiore. Della sua morte non voglio parlare perché è ancora una ferita aperta nonostante gli anni trascorsi; preferisco ricordare il suo sguardo buono, sincero e leale, uno sguardo che vorrei vedere anche in tanti occhi umani. E quindi il mio dilemma, cane o gatto, non può avere che una risposta: entrambi!

PIERA FAVETTO - marzo 2009