CHARLIE ROMPIBALLE
Stavo bene in
casa mia e nel mio giardino, quest’ultimo da me
considerato quasi d’esclusiva proprietà. Guai ai gatti
che osavano attraversarlo in cerca di qualcosa da rubare
o ai cani che, attraverso qualche buco nella siepe, vi
s’intrufolavano violando diritti ormai acquisiti.
In casa avevo il mio cestino di vimini con alcuni comodi
cuscini sui quali facevo lunghe dormite, cullato dai
programmi televisivi preferiti dalla mia padrona. In
particolare mi conciliavano il sonno i programmi del
pomeriggio, soprattutto quello di Limiti con le sue
canzoni antiche e Forum, dove la gente andava per
litigare.
Il giardino è molto grande ed è tutto a mia
disposizione. Vi sono siepi piene di merli, lumache,
lucertole e di tanto in tanto riesco a scovare qualche
scoiattolo, ma non sono mai riuscito ad agguantarne uno
e la stessa cosa mi è
successa con i gatti. All’ultimo momento riescono sempre
a saltare su un albero, dove io non posso arrampicarmi e
non mi resta che sfogare il mio disappunto abbaiando
inutilmente, beccandomi anche gli sguardi ironici delle
mancate vittime.
Le zuppe che di sera il mio padrone mi prepara
raccogliendo il meglio degli avanzi di tavola, sono
veramente squisite. Quelle della padrona un po’ meno ed
ho capito il motivo. Lei non vuole che ingrassi perché
sostiene che tutte le donne devono curare la loro linea
per attirare gli sguardi vogliosi dei maschi.
Figuriamoci quanto me ne importa. Preferisco i piatti un
po’ grassi, i brodini un po’ unti, con pezzetti di lardo
o di pelle galleggianti. Adoro le ossa e la padrona mi
raziona anche quelle perché sostiene che mi fanno venire
la cispa sugli occhi.
Nel complesso, comunque, sono una cagna felice, amata,
nutrita, coccolata, spazzolata, spulciata e depurata
periodicamente di zecche ed altri noiosi parassiti. O
meglio, ero pienamente felice fino a qualche mese fa,
quando comparve sulla scena come un turbine la mia
collega Charlie, un’antipatica e prepotente cucciolina.
Confesso di essere un po’ prevenuta nei suoi confronti e
chi non lo sarebbe? La figlia dei miei padroni e suo
marito, prima, venivano spesso a trovarmi ed io li
accoglievo con gioia incontenibile perché loro mi
accarezzavano, mi coccolavano, mi prendevano sulle
ginocchia e mi rifilavano di nascosto qualche buon
biscottino. Per un po’ non si fecero vedere ed io
cominciavo a stare in pensiero. Un giorno arrivarono
improvvisamente ed io stavo per slanciarmi verso di loro
con il consueto entusiasmo, lanciando quegli urli
incontenibili che facevano credere ai vicini di casa che
i miei padroni stessero torturandomi, magari
sventrandomi, quando vidi con orrore indicibile una
cagnetta che mi somigliava moltissimo lanciarsi verso di
me, contro di me, assalendomi, mordicchiandomi, tentando
di salirmi sulla groppa, correndo nel mio cestino e
subito rubando i miei giocattoli, slanciandosi come una
forsennata sulla ciotola della mia zuppa, leccandola da
cima a fondo, oh che schifo. Orrore, anche i miei
padroni cominciarono ad accarezzarla, a dire “ma che
bella, che carina, che amore”. Ohibò.
Si fermarono un’ora o poco più. Io non li degnai più di
uno sguardo, i traditori, i fedifraghi. Fu un’ora di
tormenti, di sevizie da parte di quello sgorbietto di
cane. Non ero addestrata alla difesa e feci quello che
potei. Digrignavo i denti, cercavo di imitare alcuni
cani nervosi che avevo incontrato in paese, ma quella
non mi prendeva sul serio.
Finalmente la tortura cessò e se n’andarono. Che
sollievo. La rividi altre tre o quattro volte e mi
sorpresi ad odiarla con tutto il cuore. Si, la odio, la
odio.
Giacomo Morandi - marzo 2009 |