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Umberto Di Donato scrive:
 

"fin dall’ultimo quarto del Cinquecento l’uomo ha cercato una magica macchina che realizzasse una scrittura meccanica, ma ancora all’inizio del Novecento i documenti pubblici erano scritti a mano, come quelli privati.

Per dare loro chiarezza ufficiale erano vergati da una nobile e spesso ferocemente irrisa categoria di artigiani: i calligrafi.

A quei tempi gli impiegati erano ancora pochi e la calligrafia, la bella scrittura, richiedeva, tuttavia, tempi di lavoro piuttosto lunghi.

Inventori di tutto il mondo civile si misurarono per offrire al secolo industriale in arrivo strumenti di scrittura di massa che risolvessero negli uffici il problema di tenere assieme la nitidezza della scrittura e i tempi di esecuzione.

Di quell’epopea, oggi archiviata dal computer, fa qui la storia, colpi bassi compresi, questo libro di Umberto Di Donato, creatore nella capitale economica del Paese, del Museo della macchina da scrivere.

Questo nobile strumento del lavoro intellettuale e di concetto ha finalmente una sede in cui se ne celebra la memoria."

 

Il collega Umberto Di Donato ha recentemente (2008) creato a Milano il Museo della Macchina da scrivere (che potrebbe essere una meta culturale della prossima "pizzata" milanese), nel quale sono raccolti 1380 pezzi (anno 2013). La passione del collega emerge con chiarezza dalla lettura del suo libro LA PENNA IL TASTO E IL MOUSE (EDB Edizioni Milano) dal quale abbiamo estrapolato un significativo capitolo che di seguito vi proponiamo.
Piazza Scala - gennaio 2014

 

 

 

Io e la macchina da scrivere

Durante la mia vita lavorativa ho avuto occasione di usare diverse macchine da scrivere. La padronanza del mezzo acquisita col tempo e il piacere di usarlo hanno fatto nascere in me una vera e propria passione per questo strumento. Successivamente, poi, è anche maturata l'idea di costituire un Museo per raccogliere quelle che avevo già presso di me e le altre che man mano venivo acquisendo.

1. Le macchine di una vita
La prima macchina l'ho avuta in uso al Distretto Militare di Caserta, dove lavorava mio padre come impiegato. Anno 1951.
Allora questo Ufficio era ubicato nel cuore della città, a pochi passi dalla centrale Piazza Dante, nella via Vittoria; dopo qualche anno fu trasferito alla periferia di Caserta, oltre il Palazzo Reale, lungo la Via per Santa Maria Capua Vetere.
Mio padre, accorto e premuroso verso tutti i suoi figli, invitava spesso me e mio fratello, giovani studenti di scuola media superiore, ad andare nel suo Ufficio, verso la fine del turno di lavoro, per farci "divertire a scrivere a macchina". Specialmente nel periodo in cui le scuole rimanevano chiuse per le vacanze. In effetti egli si era reso conto che quello strumento, da poco in uso nei luoghi di lavoro am-ministrativi, rappresentava un sicuro vantaggio per chi riuscisse ad adoperarlo con sicurezza e velocità. Così, quasi per gioco, feci la conoscenza della macchina da scrivere.
Era una macchina nera, portante in bella mostra la marca scritta in corsivo, in colore oro, pesantissima, con tasti neri e lettere bianche, incorniciati da un rivestimento metallico rotondo e luccicante. Era la classica macchina Olivetti M20, appoggiata su un robusto basamento in legno con due maniglie di metallo per gli spostamenti, prodotta negli anni 1920/30, e solo da qualche anno introdotta negli uffici pubblici.
A quell'epoca in Italia erano rare le macchine da scrivere, e quasi tutte appartenevano alla Olivetti, perché durante il ventennio fascista il sistema economico, rigidamente autarchico, non permetteva di importare prodotti stranieri. Fu solo dopo la fine della guerra (1945) che si incominciarono a vedere macchine di produzione estera.
Le prime incerte battute, spingendo forte per muovere le pesanti leve, le feci proprio su questa Olivetti, insieme a mio fratello. Ogni mossa era un'avventura, con risultati imprevedibili e sorprendenti. Non so quante volte scrissi il mio nome e cognome, sbagliando, ripetendo, scoprendo la strana funzione della maiuscola, il movimento di ritorno. Anche l'inserimento del foglio ed il suo allineamento dovemmo inventarceli.
Fummo colti di sorpresa quando il carrello si bloccò. Pensammo ad un trucco per non fare usare la macchina o a un guasto causato dalla nostra imperizia e, fifoni per natura, eravamo quasi alla disperazione, quando bastò un semplice spostamento del carrello che la macchina ricominciò a funzionare. Non era successo proprio niente: era solo arrivata a fine rigo e non lo sapevamo.
La seconda era la Olivetti M40, differente dalla precedente solo per alcune funzioni aggiuntive, che ebbi modo di incontrare a Gaeta, quando la guardia scelta Restivo, dattilografo del Comando della Scuola Allievi della Guardia di Finanza, per mettermi alla prova, prima di decidere di farsi aiutare, mi invitò a copiare un modulo. Era il mese di luglio dell'anno 1955. A Gaeta m'imbattei per la prima volta anche in una macchina con carrello doppio, pure della Olivetti, e sempre classicamente nera, con la quale mi occupai della compilazione dell'elenco dei finanzieri che avevano superato il corso, da inviare al Comando Scuole di Roma, per il rilascio delle tessere di riconoscimento di appartenenza al Corpo.
La terza (l'anno successivo: il 1956) era quella che mi fece adoperare il brigadiere comandante della Brigata di Antronapiana. Era la prima portatile e di produzione straniera che ebbi modo di usare, ed esattamente la Olympia Werke A.G. Wilhelmshaven (Bassa Sassonia in Germania). Tasti e fronte della carrozzeria colore panna e fiancate marrone. Solo i due tasti per ottenere le maiuscole erano verde pisello. Pur essendo più compatta rispetto alle classiche Olivetti, mi adattai rapidamente, con manifesto giubilo del comandante che non credeva ai suoi occhi quando mi vide scrivere. Si rendeva conto che stava liberandosi di un compito niente affatto di suo gradimento.
La quarta, al Comando di Circolo di Novara, era ancora una Olivetti M40.
Dal mese di settembre 1956 in avanti.
A questo punto mi sentivo bravissimo e veloce. In quell'ufficio ebbi modo di affiancare il capo sezione, maresciallo Cencini, che, considerati i suoi studi classici, mi insegnò ad usare correttamente la lingua italiana.
Le lunghe relazioni contro i ricorsi fiscali, indirizzate alla magistratura e gli studi per i Comandi superiori circa l'attività svolta dal Circolo, mi aiutarono a perfezionare il mio italiano e ad usare con proprietà verbi, aggettivi e complementi.
La quinta, alla prova per l'assunzione nella Banca Commerciale Italiana, nel luglio del 1958, fu una Lexikon 80, carenatura nuova, di colore non più nero ma beige. Ormai la Olivetti aveva abbandonato il colore classico, sotto la spinta di Marcello Nizzola, stilista di fama mondiale.
Il primo incarico, nello stesso anno, alla BCI fu di sommare e quadrare giornalmente la contabilità in valuta di tutta la banca.
Quindi non dovevo più usare la macchina da scrivere, bensì la calcolatrice. La sesta fu, appunto, una calcolatrice, ed esattamente una Olivetti elettrica, Summa Prima 20, con la quale si facevano quasi solo somme e sottrazioni. Si poteva fare anche la moltiplica, ma era laboriosa. Nelle prime due settimane di lavoro frequentai un corso, dalle ore 7,30 alle ore 8,30 (prima di iniziare la giornata lavorativa) per imparare ad usare la tastiera di questa macchina alla "cieca", senza guardare i tasti, perché lo sguardo doveva essere sempre fisso sui documenti contabili, dai quali leggere le cifre da sommare.
La settima fu la mia cara Lettera 22, acquistata da un giovane agente della Olivetti, con il quale condividevo una camera con due letti, presa in affitto nella centrale Piazza Castello, al n. 3, di Milano. Era corredata dal disco Musica per parole, metodo Olivetti per insegnare a scrivere con l'uso di tutte le dieci dita e, contenuta in una cassettina di cartone, chiusa con una cinghia di cotone, bloccata da due anelli metallici.
A questo punto penso di aver perso il conto e la sequenza delle macchine usate.

Nel 1960, la Banca mi trasferì all'Agenzia di Sesto San Giovanni, dove ebbi modo di conoscere diverse altre macchine da scrivere e svariate macchine calcolatrici.
Allo sportello, infatti, si utilizzava la Everest, grigia e marrone, con leva per l'inserimento e l'espulsione automatica del foglio.
Per la chiusura trimestrale dei conti in rosso: la macchinetta a manovella multisumma della Facit n. 60336 commercializzata in Italia dalla Lagomarsino e prodotta dalla Aktiebolaget Facit Atvidaberg - Sweden, marchio depositato e protetto per la Svezia e tutti gli altri Paesi. Bisogna essere molto abili per usare questo attrezzo, perché manovrando la manovella nei due sensi si possono fare agevolmente le quattro operazioni, ma usando la logica di quando si eseguono i calcoli a mano.
Per le somme normali durante i lavori interni ed allo sportello: altre macchine calcolatrici a manovella Olivetti Summa 14 e la Multisumma 15, adatte per somme e sottrazioni, stilizzate dal noto Marcello Nizzola.
Nel 1962, fui impiegato come addetto alla segreteria, e lì trovai, quasi ad aspettarmi, una classica Lexikon 80, sempre su disegno di Marcello Nizzola, che mi fece compagnia per molti anni.
Ancora oggi a fianco della mia scrivania da lavoro, c'è un piccolo tavolo sul quale fa bella mostra di sé una macchina da scrivere IBM 6781 degli anni 1980, grigia, con correttore automatico, piccola memoria, display, avanzamento automatico, grassetto, etc. e scrittura a getto d'inchiostro. La sua tastiera incorporata è molto simile a quella dei computer. Non ne posso fare a meno, perché le lettere più importanti devo ancora scriverle con la "macchina da scrivere".

Non voglio perdere l'occasione per riflettere su un particolare: l'emozione ed il piacere che procura la scrittura con la macchina meccanica è esclusivo, soprattutto perché consente una maggiore concentrazione. In me suscita anche tanta emozione se rincorro con un lampo mentale alcuni passaggi della mia lunga vita lavorativa.

 

2. Nascita di un Museo della macchina da scrivere
Come nasce la mia passione per la macchina da scrivere è ben spiegato nel mio libro "Il Tasto Magico". È stato pensando a Gaeta, a Antronapiana, a Novara, ai vari servizi svolti all'interno della Banca Commerciale Italiana che gradatamente e sempre più intensamente è affiorato, nel mio intimo, un senso di amore e di riconoscenza per questo strumento.
Il mio istinto di collezionista ha fatto il resto.
Da ragazzo raccoglievo insieme ai miei fratelli, più grandi di me, il giornalino "L'Intrepido"; per l'ansia di leggerlo, andavamo a comperarlo direttamente alla Stazione Ferroviaria di Caserta, la domenica pomeriggio, per averlo appena veniva aperto il plico arrivato da Napoli.
Durante la guerra iniziai a raccogliere monetine lasciate o perse dalle truppe tedesche, mimetizzate sotto i monumentali e secolari platani di viale Carlo III. Dopo la guerra aggiunsi, alla mia minuscola raccolta, le monetine degli alleati, inglesi e americane, e a dieci anni avevo già riempito un astuccio metallico di Formitrol (pasticche per combattere il mal di gola) con monete di varie nazioni, per non parlare della inevitabile raccolta di francobolli, comune a tutti i giovani di quella generazione.
Da qui il passaggio fu breve.
Dopo le esperienze di Caserta, Gaeta, Antronapiana, Novara e Milano, acquistai personalmente, nel 1959, la Olivetti Lettera 22, di colore verdino pallido, che costituì il primo esemplare della mia collezione di macchine.
Da allora, quando capitava di trovare vecchie macchine, le tesorizzavo. Dalla Banca di Sesto San Giovanni, quando le macchine meccaniche furono rimpiazzate dalle Audit Olivetti e dalle calcolatrici elettriche Multisumma, mi feci autorizzare a tenere per me una Everest con inserimento automatico, la Facit a manovella, e della Olivetti due calcolatrici a manovella, la Lexikon 80, nonché la Summa Prima 20 elettrica.
Senza accorgermi, ben presto mi trovai in possesso di una cinquantina di pezzi, tra cui due Olivetti M20, una M40, due Underwood, tre Remington, due Adler, una Royal di inizio secolo '900, e anche una Mignon di fine '800. Tutte perfettamente funzionanti. Alcune mi venivano regalate da parte di amici, venuti a conoscenza della mia raccolta.
L'evento che segnò una vera svolta, si verificò nel mese di dicembre dei primi anni Ottanta.
Era la vigilia di Natale. Mi arrivò una telefonata strana, da parte di un uomo che si presentò come Walter, il quale disse di essere venuto a conoscenza della mia piccola raccolta. Mi chiese di poterla vedere, perché aveva lavorato molto sulla macchina da scrivere.
Io, anche se ero molto impegnato per gli inevitabili e gradevoli auguri della vigilia di Natale, fui incuriosito dalla richiesta e mi prestai a fissare con il personaggio un appuntamento presso la mia abitazione, dove nello studio privato avevo allestito una piccola mostra delle macchine più significative.
Alle 15,30, puntualmente, dal balcone vidi parcheggiare sotto casa un vetusto furgoncino Ape 50 della Piaggio. Si aprì lo sportellino del guidatore e uscì prima una lunga barba bianca, seguita da un vecchio, vestito alla buona, con in mano una busta di plastica gialla, della Esselunga. Si muoveva a fatica, ma aveva un portamento molto dignitoso e deciso. Io lo scrutavo dal balcone con incredulità, perché non volevo credere che fosse quello l'uomo della telefonata. Invece bussò proprio alla mia porta. Era quindi lui.
Lo feci accomodare nello studio con fare circospetto e incuriosito nello stesso tempo. Ci presentammo e lo sconosciuto confermò di essere Walter. Si fermò come incantato di fronte alle Olivetti, alle Facit, alle Underwood, alle Royal, alle Remington, alle Adler, e di tanto in tanto sfiorava qualche tasto, con estrema delicatezza.
Non parlava ed io, per non distrarlo, tacevo a mia volta, seguendo con stupore ogni suo movimento. Egli stringeva sempre nella mano destra la borsa di plastica, come se nascondesse un tesoro. La mia sorpresa cresceva sempre più ed ero come impietrito davanti a quel personaggio.
L'uomo guardava e si lisciava la lunga barba bianca, che scendeva sino a sopra le ginocchia, quasi a volere trovare maggiore concentrazione. Dopo avere passato in rassegna attentamente l'intera collezione, emise un grosso sospiro, aprendo la bocca rossa e mettendo in evidenza una dentatura sana, ma mal curata, e disse: "Bravo! Non mi aspettavo tanto! Auguri per il Santo Natale e per il futuro della tua iniziativa! Sono venuto a portarti un omaggio, spero proprio che tu voglia accettarlo!".
Parlava in un chiaro italiano, con inflessione lombarda ed era molto serio e determinato.
La mia sorpresa diventò irrefrenabile. Cosa mai poteva avermi portato dalla Esselunga quell'uomo mai visto, mal vestito, che girava con un furgoncino Ape, ma garbato e sensibile?
A quel punto egli aprì la borsa e ne trasse una macchina da scrivere, rigorosamente antica e nera, che non avevo mai visto prima. Aveva la forma di una farfalla, con due cestelli di leve a forma di ali messe di fronte alla tastiera; e i martelletti, muovendosi come zampe di cavallette, battevano sul rullo centrale, che rappresentava il corpo della farfalla. Non era provvista di nastro inchiostrato; i caratteri riuscivano a scrivere perché appoggiati direttamente su un cuscinetto inzuppato di inchiostro. Il foglio girava intorno al rullo, ma avendo poco spazio veniva convogliato, accartocciandosi, all'interno di due avvolgimenti metallici.
Con la sua voce robusta e cavernosa, data la sua avanzata età, Walter mi spiegò che si trattava di una Williams, costruita a Brooklin, N.Y., nel 1891, in soli 1647 esemplari. E aggiunse di conservarla bene, perché si trattava di un pezzo raro.
Tutto mi sembrava come un fantastico sogno: la sua improvvisa apparizione, la sua voce forte e decisa, il suo inatteso ed inspiegabile regalo.
Rimasi come paralizzato con la bocca aperta nel dire qualcosa. Non feci in tempo a chiedergli niente: chi lo aveva mandato?, come si chiamava?, come dovevo ricompensarlo? Velocemente aveva già guadagnato la porta e uscito nella strada, salutandomi con un gesto affettuoso della mano.
Chi era mai quell'uomo?
Corsi al balcone per fare appena in tempo a vederlo ripartire con la sua vecchia Ape, di gran carriera come sospinto da un forte alito di vento.
Quando mi ripresi dallo stupore era già lontano. Quell'uomo non poteva essere altro che Babbo Natale, venuto a portarmi il più importante dono da me mai ricevuto.
Non lo vidi mai più, né mi chiamò più al telefono. Tentai anche una piccola indagine tra parenti ed amici per scoprire se si era trattato di uno scherzo da loro messo in scena per farmi un regalo tanto gradito.
Ma non approdai a nessun risultato.
Quell'evento, quella persona, quella situazione mi convinsero a proseguire nella mia raccolta, ed iniziai ad esporre le macchine in un appartamentino di proprietà, a disposizione di chiunque avesse piacere di vederle.
Era nato il mio Museo.

 

Umberto Di Donato

 

 

 

 

 

Nota biografica
Umberto Di Donato è nato in una luminosa e lussureggiante frazione del piccolo comune di Carinola, denominata Casanova, il 5 giugno 1935.
E vissuto, dall'età di tre anni, a Caserta, conseguendo il diploma di Ragioniere presso l'istituto Tecnico "Terra di Lavoro", situato in un'ala della sontuosa Reggia Vanvitelliana. Porta sempre nel cuore la sua Caserta, e questo traspare in ogni dettaglio dalla lettura dei suoi scritti. Ha avuto, per lungo tempo, un sogno nel cassetto: raccontare ai figli, ai parenti ed agli amici le fasi più significative della sua vita, all'inizio molto dura e piena di sacrifici, ma sempre pervasa dal grande entusiasmo del suo carattere. Dopo il diploma ha prestato servizio per tre anni nel Corpo della Guardia di Finanza; ha poi lavorato per 30 anni in Piazza della Scala a Milano, nella prestigiosa Banca Commerciale Italiana di Raffaele Mattioli e, successivamente, per un innato attaccamento al lavoro, ha condotto per diversi anni un avviato studio professionale.
Il 5 giugno 2005, al compimento del suo settantesimo anno, ha stampato la sua prima autobiografia, denominata Più forte della vita..., scritta principalmente per l'amore di rivivere il dolce ricordo del fratello Pio, mancato all'età di 29 anni e proporre, all'attenzione di parenti ed amici, una nutrita raccolta di affascinanti racconti e di poesie, inedite, scritte dallo stesso.
Dopo quella prima esperienza e sollecitato da chi lo aveva letto, ha pubblicato, al compimento del settantunesimo anno, Il tasto magico che raccoglie i ricordi della sua vita negli anni 1955 e 1956. Lo scorso 31 marzo il Consiglio comunale di Antrona-Schieranco gli ha conferito all'unanimità la Cittadinanza onoraria (per le affascinanti descrizioni della valle Antrona riportate sul libro e per il rispetto con il quale ha descritto la comunità antronese nel periodo in cui vi prestò servizio). A lato degli impegni lavorativi, ha coltivato più passioni. Nei ritagli di tempo, con la tecnica "mordi e fuggi" degli hobby, oltre al collezionismo di monete e di macchine da scrivere, dal 1973 ha preso corpo in lui l'impulso di dipingere ad olio su tela vedute alpine, calette marine, spiagge assolate e librati voli di aquile e di gipeti. Ama la contemplazione della natura, ha imparato ad apprezzarne le infinite ed affascinanti bellezze, in cui vede chiaramente riflesso il disegno supremo di un Superiore regolatore della vita. Le sue tele elementari, ma dai colori forti come il suo temperamento, si trovano in case amiche in varie località della Penisola ed anche in alcune isole del basso Mediterraneo.

Nella fotografia in alto: Umberto Di Donato (a sinistra) nel 1962 nella Segreteria della Banca Commerciale Italiana. In primo piano la Olivetti Lexikon 80
 

 

 

 

 

 

 

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Piazza Scala - gennaio 2014