Carissimi: abbiamo parlato prima, durante e dopo il lauto
pranzo. di Piero Camporesi che è il nome dell'Autore
italiano che la mia compagna giapponese sta traducendo; con
il testo dell'Artusi "La scienza in cucina e l'arte di
mangiar bene". Non solo di Cesare Pavese. Eppure eravamo a
casa sua, tra le umide e splendide colline delle Langhe, in
un weekend di fuga da Venezia. "La bella estate" è il titolo
di uno dei suoi lavori. "Tra donne sole", "Il diavolo sulle
colline", completano la trilogia. Ma è anche il nome di un
agriturismo speciale. Ovviamente appena giunto a casa è
venuto immediatamente in mente, il convegno di Forlì "Camporesi
nel mondo". L'opera e le traduzioni, e gli "Atti del
Convegno Internazionale di Studi" svoltosi il 5-6-7- marzo
2008, con interventi di Maria Gioia Tavoni, Paolo Tinti,
Marino Biondi, Giuseppe Ledda, Francesca Gatta, Umberto Eco,
Diego Zancani, Stijn Van Hamme, Luisa Rubini, David
Gentilcore, Etsuko Nakayama, Maria Carrerars i Goicoechea,
Adele D'Arcangelo, Anabela Cristina Costa da Siva Ferreira,
Licia Reggiani, Marcello Soffritti, Elide Casali e del
sottoscritto, sono rintracciabili anche se di poca rilevanza
per il tema dei discorsi che ho avuto il piacere di
intrattenere con chi ci ha presentato i piatti, con
signorile eleganza e simpatia, al quale non ho chiesto il
cognome e della cui cosa mi scuso. Etsuko Nakayama è la mia
compagna. "....Camporesi è un intellettuale che, come Pier
Paolo Pasolini, si situa nel punto di cesura fra il mondo
contadino e quello industriale, ma a differenza del poeta di
Casarsa, non rimpiange il passato, bensì si propone, sulla
scorta di Walter Benjamin, di completare i percorsi non
completati nel passato stesso. Dalla matassa delle culture e
dei saperi popolari infiniti sono i fili che si srotolano.
Il pane, per esempio, il pane selvaggio che nelle campagne
povere era il pane mitico dei denutriti, che si condiva di
suggestioni ipnotiche, fino ai così detti "pani truccati",
di cui Camporesi trova tracce in molte ricette, pani dal
potere leggermente allucinatorio, come quello mescolato coi
semi di papavero e conosciuto dalla medicina galenica. La
letteratura medica è un altro dei fili di cui Camporesi
segue il tracciato, imbattendosi, per esempio, nelle ricette
contro l'insonnia. E poi il sangue. <<La storia è sangue>>,
disse una volta, <<e anche la letteratura gronda sangue>>.
E, ancora, la corruzione del corpo. Camporesi collezione le
prescrizioni di un medico contemporaneo di Dante, il quale
esalta la flebotomia come rimedio generale, inducendo vecchi
e giovani <<a quel gioco universale, a quel grande
spettacolo che era lo svenamento di massa, un grande
spettacolo che rientrava nel concetto di purgatio
universalis>>.Il suo obiettivo è quello di esplorare
cunicoli marginali nella storia dei secoli fra il Medioevo e
l'età moderna, nei quali, a dispetto della visibilità, è
però scorso un fluido tanto sotterraneo quanto produttivo.
<<Io vorrei far emergere il momento in cui la medicina si
libera dalla condanna ecclesiastica del corpo, la lunga
battaglia che la medicina conduce per la propria autonomia,
per sottrarsi alla giurisdizione del sacerdote>>. E il
risultato d questo processo, i cui segnali si avvertono già
nel Cinquecento, aggiunge Camporesi, è quello di veder
distinta la malattia, problema del corpo, dal male, problema
dell'anima. Sotto la superficie attestata nei documenti,
sostiene Camporesi, esiste uno strato di altri documenti,
che non sfuggono allo sguardo insinuante del filologo.
Nascono così, negli anni successivi, Le officine dei sensi,
La casa dell'eternità, I balsami di Venere, Il brodo
indiano, Le belle contrade. Nascita del paesaggio italiano,
Le vie del latte, fino a Camminare il mondo. Vita e
avventura di Leonardo Fioravanti, medico del Cinquecento
(tutti editi da Garzanti). Camporesi non esclude di provare
una qualche forma di nostalgia per l'intensità, ad esempio,
di certi modelli corporali propri dei secoli che studia. Ma
avverte: <<Quanto a me, ho largamente dimostrato che il
passato era peggiore del presente, e che era addirittura
terrificante>>. Eppure, in quel peggio c'era qualcosa che
doveva sopravvivere, <<forse il gusto dell'avventura, della
via che andava guadagnata e praticata, della vita non
protetta, del gioco personale>>. La nostalgia prende qui le
forme di una "critica dell'abbondanza", che Camporesi adatta
ai costumi alimentari praticati oggi nella parte ricca del
mondo. <<Quel che è certo>>, concludeva, <<è che la povertà
crea, l'abbondanza appiattisce>>. Con quest' ultimo pensiero
ringrazio per l'accoglienza e saluto tutti Voi, uomini
diversi da "lavorare stanca", ma sempre gente di Langa,
ringrazio chi ha saputo cucinare stupendamente
nell'abbondanza delle porzioni, piatti relativamente poveri
perchè tradizionali, ove il termine povero viene assunto
come sinonimo di semplicità.